L'episodio che leggiamo in Mt 15, 21-28 è carico di intensa e illuminante drammaticità. Da una parte c'è Cristo, Colui che compie la millenaria attesa del suo popolo, vissuto nella sofferenza, nella dispersione, ma mantenuto compatto dalla certezza che da lui sarebbe spuntato il Germe, il Salvatore; dall'altra un’umile donna della terra di Canan, che forse nulla sa della religiosità del popolo ebraico, con il quale la sua nazione era in lotta, politica e religiosa, da secoli. Essa è angosciata dalla grave malattia della figlia; sotto la sferza della disperazione, superando tutte le ostilità di popolo e di religione, ricorre a Cristo implorando la guarigione. La prima risposta che riceve è dura e provocatrice: "Sono stato inviato alle pecorelle perdute della casa d'Israele; non è bene togliere il pane ai figli e darlo ai cagnolini". La risposta di Gesù porta la richiesta della Cananea su un piano differente: lei domandava la guarigione fisica della figlia, lui risponde di essere stato inviato a sanare lo smarrimento delle pecorelle del popolo d'Israele. La donna comprende e la sua risposta è una confessione di fede: "I cagnolini si nutrono delle briciole che cadono dalla mensa dei padroni". Come dicesse: "Tu sei il pane per i figli del padrone di casa, ma anche il nutrimento per i cagnolini che raccolgono le briciole che cadono dalla mensa".
Il cane, animale collegato al culto della Grande Madre e delle divinità infernali, era il nome con cui venivano designati gli infedeli, gli increduli, i peccatori. Quest'uso lo possiamo riscontrare anche nel Nuovo Testamento: "Non date ai cani ciò che e santo" (Mt 7, 3-13); "Guardatevi dai cani" (Fil 3, 2); "Fuori i cani... gli idolatri" (Ap 22, 15).
La risposta di Cristo trasferisce la domanda del miracolo a favore della figlia della Cananea sul piano della nuova Parola che era venuto a portare alle pecorelle smarrite d'Israele, ai fedeli di una forma religiosa che ormai era sclerotizzata e per questo si sentivano smarriti. La donna comprende e la risposta che dà è una illuminazione: "Non ci sono più figli del padrone e infedeli, degli uni e degli altri tu sei il nutrimento". Ed è questa la fede che ottiene la guarigione della figlia "crudelmente tormentata da un demonio". "Grande è la tua fede, o donna". La fede della Cananea scavalca quella divisione tra le varie religioni che Cristo aveva trovato nel suo tempo, e va diritta a Lui proclamandolo centro e origine di tutte le forme del credere. Fede è per lei aderire a quanto nella sua illuminazione ha compreso, fede è per lei fondere se stessa, per interiore convincimento, con l'intuizione del vero che è Cristo stesso.
I confini della fede non sono segnati dai brevi limiti delle religioni storiche, l'anima può sempre superarli se in lei arde l'intelletto d'amore che la fa aderire a Cristo, fonte e origine di ogni andito religioso che ricollega la coscienza con il Padre. Invano noi, piccoli uomini, ci affanniamo a creare dei compartimenti stagni per separare, attraverso sistemi e istituzioni, l'anima umana dal suo naturale principio che è Dio, Padre amoroso di tutti. Invano religioni storiche e teorie filosofiche e teologiche innalzano contro il cielo, in una tragica battaglia di Titani, le torri delle loro affermazioni. Sopra tutti e sopra tutto si eleva la grande fede della Cananea che ha intuito che Cristo è il centro di tutte le fedi, e che chiunque abbia fede in Lui viene liberato dal carcere delle piccole fedi e lasciato volare nel libero cielo della grande fede, ove chiunque crede in Lui, avrà la vita.
Quasi al termine del secondo millennio è tempo ormai che, anche da noi cattolici, la grande fede della Cananea sia proclamata e vissuta fuori dalle paratie stagne delle varie interpretazioni e ideologie. Cristo appartiene all'umanità: è il gioiello del fiore di loto, fiorito in tutto il suo splendore al vertice dell'umana coscienza. Come il sole che, unico in cielo, è visto e goduto da miliardi di occhi, così Cristo è presente, intuito da miliardi di cuori. Egli è l'aria che ogni uomo respira; è vano cercare di chiuderlo nella rigidezza di sistemi dogmatici: l'insegnamento di Cristo è quanto di più umanamente divino si trovi in tutti i tempi e in tutti i luoghi.
Noi cristiani dovremmo, alla luce della "grande fede", rivedere le nostre correnti, confessioni, sette. La "grande fede" ci apre la via all'universalità di Cristo, mentre i provincialismi cristiani hanno sottolineato soltanto un qualche particolare aspetto del Signore. In genere si è trascurato l'aspetto illuminatore e trasfiguratore di Cristo, a vantaggio di un pietismo che, se resta confortevole al sentimentalismo, ripugna spesso all'intuito della retta ragione; cosi, poco per volta, si è esteso il fenomeno di un distacco dell'umanità dall'idea cristiana. La formazione cristiana è stata basata essenzialmente sul rito e ne ha smarrito la simbologia conoscitiva.
L'insopprimibile aspirazione alla "grande fede" tipica di ogni uomo non si è spenta. Oggi come ieri, Cristo universale vive nel cuore degli uomini; se si perdono dietro falsi ideali, ciò accade perché i dottori dei templi hanno volutamente "smarrito la chiave e non entrano e non fanno entrare".
Giovanni Vannucci
(da Adista, 16 luglio 2005, p. 14)