Una santità perdonata e i nostri idoli
di Severino Dianich *
Nel Credo professiamo che la Chiesa è santa, mentre Gesù a colui che lo chiamò "Maestro buono " rispose: "Nessuno è buono se non uno solo, Dio ". Ne deriva che la professione di fede nella propria santità, così come la grande e costante parenesi ecclesiale, con l'elaborazione delle pratiche dell'ascesi destinate a perseguirla, per restare fedeli a quell'uno solo che è veramente buono, dovranno essere accompagnate costantemente dalla coscienza del proprio peccato: "Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa. Se diciamo che non abbiamo peccato facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi" (1 Gv 1,8-10). Una sola professione di santità è possibile alla Chiesa, quella del grato riconoscimento del perdono di Dio: la santità che ci possiamo attribuire è sempre e solo una santità perdonata.
Una Chiesa che pretendesse di proporsi al mondo come dotata di santità, senza riconoscere contemporaneamente i suoi peccati e il bisogno del perdono di Dio, porrebbe se stessa al posto di quell'uno solo e cadrebbe nell'idolatria. La grande tradizione apologetica del cristianesimo non può avere come fine la difesa della Chiesa a qualsiasi costo, come se essa fosse inattaccabile, collocata al di sopra del giudizio degli uomini e della storia. La stessa difesa di Dio è al limite dell'accettabile, perché Dio non ha bisogno di avvocati su questa terra: la storia di Giobbe e dei suoi amici ce lo insegna. L'unica apologetica ammissibile è quella della difesa della verità dei fatti, fra i quali brilleranno i doni di santità che Dio fa alla Chiesa ma, allo stesso tempo, appariranno le ombre dei suoi errori e dei suoi peccati. Ci sono grandi tentazioni capaci di sconvolgere le impostazioni di fondo della coscienza ecclesiale; ma ci sono anche piccole tentazioni che si insinuano nella banalità delle cose quotidiane. Anche una reliquia o un'icona, un cippo, uno spazio, un edificio che definiamo sacro, una terra che chiamiamo santa, così come un'istituzione che riteniamo importante, o una comunità che ci sembra vitalmente indispensabile, o alcune persone che riteniamo determinanti per la storia nostra e della nostra Chiesa possono più o meno coscientemente diventare i nostri idoli. In un altro e ben lontano contesto fu coniata e divulgata l'espressione "culto della personalità": ora, la Chiesa sta in continua ammirazione della ricchezza e della bellezza dei carismi di cui lo Spirito Santo adorna i credenti. Ma è qui che anche si insinua la tentazione del "culto della personalità", tante volte riscontrabile nella considerazione smodata per i propri leader carismatici come negli eccessi di una certa venerazione per il papa, nella consegna indebita delle proprie decisioni di coscienza ai propri maestri spirituali come nella irresponsabile accettazione del clericalismo dei propri pastori, nel favorire e assecondare l'aspirazione a essere pubblicamente riconosciuti e onorati come nell'alimentare l'invadente protagonismo di persone di Chiesa sul palcoscenico dei media.
Può essere del tutto sproporzionato accennare a questi fenomeni di piccola dimensione in rapporto al grandissimo tema dell'adorazione di Dio e di Dio solo. È vero però che l'adorazione di Dio e di Dio solo è una scelta di fondo così esigente, da pretendere che neppure un'ombra venga a turbarne la nitidezza. Tutto ciò che viene a occupare un posto nel cuore dell'uomo ha bisogno di essere sottoposto all'interrogativo fondamentale intorno alla scala dei valori sui quali si muove l'anima e il suo desiderio. Là dove la comunità cristiana non gode di quella gioiosa libertà che viene dal distacco da cose e persone, dalle mete che ci si è proposti di raggiungere e dagli ideali che si intendono realizzare là si annida l'idolo e l'adorazione del solo Dio resta oscurata.
Solo la libertà dello spirito, nella quale a tutto si può rinunciare fuorché all'adorazione di Lui, e persone e cose hanno un valore relativo rispetto all'imponenza della sua volontà garantisce quella "vera religione" che prima di ogni altra cosa è accoglienza del fondamentale comandamento: "Io sono il Signore, tuo Dio... non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra né di ciò che è nelle acque, sotto la terra, perché io il Signore sono il tuo Dio" (Dt 5,6-9).
(tratto da Idoli della Chiesa, in PSV/46, EDB, Bologna)