Vita nello Spirito

Lunedì, 05 Maggio 2008 23:00

Il risveglio identitario (Serge Lafitte)

Vota questo articolo
(1 Vota)

di Serge Lafitte



Oggi non si nasconde più la propria appartenenza a una comunità religiosa, ma la si afferma e la si ostenta.

Giovani donne velate, lubavich vestiti tutti di nero, inaugurazione di una nuova sinagoga qui, di una nuova moschea là, moltiplicarsi di negozi kasher o hallal, ripetizione di grandi raduni religiosi, come le Giornate mondiali della gioventù (GMG), rivendicazione della “eredità cristiana dell’Europa”… Da una ventina d’anni non finiscono di sorprenderci le riaffermazioni di identità a carattere religioso. Sembrano persino accentuarsi in questo inizio di XXI secolo, soprattutto nelle forme estreme.Al punto che il mondo moderno sembra ridiventare religioso, mentre la nostra concezione di modernità immaginava che esso si fosse inesorabilmente sbarazzato del fatto religioso. Anzi, secondo alcuni, delle religioni stesse. Non si può non constatare che per molti il fatto religioso rimane una dimensione fondamentale dell’identità.

Tra i musulmani

Saint-Fons, nella banlieu lionese. Prima era una piccola officina di falegname; oggi è la moschea Bilal. Sono passati quindici anni. Ben presto l’edificio avrà completato il suo cambiamento esteriore con l’aggiunta di fregi verdi e di un piccolo minareto del tutto simbolico. Promosso dalla creazione di una associazione nel 1990, il progetto è partito solo nel 1995. “È il risultato di una presa di coscienza: siamo francesi, ma pensiamo che dobbiamo assumere la nostra identità di musulmani, senza nasconderci, spiega Abdelkader Bendidi, presidente dell’associazione, Dapprima ci hanno guardato con diffidenza…”. Ormai la moschea fa parte del paesaggio. “Essa rassicura”, riassume Abdelkader Bendidi. “Oggi c’è un interlocutore. Se c’è un problema, si sa a chi rivolgersi!, precisa Sid Ahmed Tadjer, studente di biochimica e segretario generale dell’associazione. Per lui, l’impegno associativo e religioso va da sé: “Noi ci diamo da fare, in particolare con i giovani che si pongono dei problemi in rapporto all’eredità dei genitori. Bisogna aiutarli a comprendere i principi e le virtù dell’islam perché, di fronte alle difficoltà culturali o sociali, come il razzismo o la discriminazione, lottino per il Bene. Chi conosce bene la sua religione si protegge meglio dalle idee estremiste…”.

Ma in Francia, come in altri paesi occidentali, sono i predicatori rigoristi dell’islam che fanno parlare di sé, sullo sfondo del malessere identitario musulmano. “I genitori ci dicono di non guardare le ragazze, di essere un buon musulmano. Ma abbiamo imparato l’inglese, i nostri compagni bevono birra… Non sappiamo più dove siamo” confessava il compagno di quartiere di uno degli autori degli attentati londinesi del 7 luglio. (1) Riflessione che fa pensare a quella di un giovane francese che spiega il motivo della creazione di una associazione musulmana con il bisogno “di ritrovarci, potrei dire ‘di trovarci’…”. (2)

“Per questa generazione la riappropriazione dell’islam è avvenuta partendo da un vissuto discriminatorio. È un islam riparatore, ‘vendicatore’ talora, spiega l’antropologa Dounia Bouzat. Questo modo di procedere ha urtato la società francese dando l’impressione di un rifiuto di integrazione, mentre invece è un mezzo per raggiungere i valori moderni senza urtare troppo i genitori. Dove le associazioni sono state rifiutate si è prodotta una affermazione religiosa radicale. Bisogna domandarsi perché questo discorso d'autorità ha fatto presa su di loro, E la risposta è: non è l’islam

Globalmente in Francia “la maggioranza dei musulmani vive tranquillamente la sua religione e ammette che il Corano non è un libro di ricette e che deve essere interpretato, sottolinea ancora Dounia Bouzat. C’è una vera presa di coscienza, anche se rimane grande la distanza fra l’interpretazione e i modi di vita moderni, perché l’interpretazione si fa in un rapporto patogeno con il passato secondo il quale essere un buon musulmano è prima di tutto imitare gli anziani. Non se ne uscirà se non ammettendo che comprendere il messaggio dell’islam è prima di tutto intenderlo in funzione di ciò che si vive”. Questa intellettuale musulmana sviluppa la sua convinzione nell’ultimo libro, Ça suffit! (Denoël).

Tra gli ebrei


In Francia i lubavich hanno, in questi ultimi anni, segnato visibilmente il paesaggio religioso. Ma non è che un’espressione, minoritaria, di un ritorno al giudaismo, del resto “sia culturale che religioso”, come pensa Philippe Haddad, rabbino della sinagoga degli Ulis. D’altronde, sottolinea, il moltiplicarsi di comunità collegate a sinagoghe riguarda tutte le correnti del giudaismo, dagli ortodossi ai liberali. “Il giudaismo francese si americanizza, constata la sociologa Régine Azria, poiché le sinagoghe formano il nucleo intorno al quale si cristallizzano le attività sociali e culturali”.

Con lo sviluppo del mercato dell’alimentazione kasher e dei circoli di studio e delle conferenze sulla storia e la cultura ebraica, quello delle scuole costituisce uno dei segni forti di questa riaffermazione identitaria. “Vi sono ragioni di ordine religioso, legate ai corsi d’istruzione religiosa proposte da tali scuole, ma anche il desiderio dei genitori di preservare una identità ebraica e, più recentemente, la volontà di proteggere i figli da azioni antisemitiche”, spiega Philippe Haddad. Diverse istituzioni scolastiche hanno approfittato di tale fenomeno, dall’Alleanza israelita universale, creata nel XIX secolo per sviluppare i valori laici, agli ortodossi, preoccupati di bloccare una assimilazione che giudicano deleteria per l’identità ebraica.

Il movimento delle Esploratrici e degli Esploratori israeliti di Francia (EEIF), il cui motto, fin dalla sua creazione nel 1923, è “Costruttori di identità”, conta quattromila membri, più o meno religiosi. Esso ha realizzato un nuovo siddur, un libro di preghiere in ebraico e francese: “Avevamo bisogno di rinnovare la nostra formula pedagogica intorno alla preghiera, che spesso è troppo astratta per i giovani poco religiosi. Ma anche di far loro comprendere, e questo anche ai più religiosi, che essa comporta, al di là dal rituale, una dimensione civica. La preghiera non è necessariamente un atto di fede; essa può essere un atto di introspezione, di comunione con se stessi e con gli altri”, spiega Yedidia Lévy Zaubermann, membro dell’EEIF dall’età di otto anni. “La mia famiglia ha una forte identità ebraica, - spiega questo giovane laureato in Scienzepolitiche – Ma se ho voluto che la mia identità fosse più praticante, fin nel rispetto delle regole alimentari, non era per riprodurre quel che si è sempre fatto, perché la sola eredità non resiste all’erosione del tempo. Se il popolo ebraico esisteva cinquemila anni, è proprio perché si è sempre interrogato sul senso di questa eredità”. Il comunitarismo identitario è, secondo lui, la manifestazione “del malessere di quelli che si sentono male amati. Ma il pericolo più grande – ritiene – è di rinunciare alla propria identità, perché è rinunciare a dare alla società ciò che abbiamo di meglio. Si oppone a torto l’identità religiosa, che sia ebraica o musulmana, all’identità francese, perché questo porterebbe a disseccare l’identità francese…

Fra i cattolici

Dal lato del cattolicesimo, in Francia come altrove nel mondo, il pontificato di Giovanni Paolo II si è tradotto nella riaffermazione visibile di una identità ricentrata su un asse teologico e morale intransigente di fronte al “relativismo dei valori” del mondo moderno. La punta di diamante di questa posizione è stato il cardinale Ratzinger, il futuro Benedetto XVI. Nel giugno del 2005, con il suo appoggio esplicito, la Chiesa cattolica si è mobilitata fortemente in Italia contro un referendum sulle nuove forme di procreazione, e in Spagna contro il matrimonio degli omosessuali.

Sostenuta dal forte impatto mediatico dei viaggi di Giovanni Paolo II, che è culminato con le sue esequie mondializzate, questa riaffermazione cattolica si è appoggiata in particolare sulle comunità del “rinnovamento carismatico”, influenzate dal pentecostalismo protestante, specialmente nella dimensione emozionale del vissuto della fede e la sua manifestazione pubblica. Questa è una dimensione essenziale del successo dei grandi incontri identitari che sono le Giornate mondiali della Gioventù (GMG), care alla “generazione Giovanni Paolo II”.

Membro di una cappellania studentesca di Lione, Julien Rouchon preparava con impazienza, nel luglio scorso, le GMG di Colonia. Nel suo disinvolto abbigliamento estivo, non avrebbe sfigurato in un”rave party”. “Questo incontro con la generazione Giovanni Paolo II sarà un battesimo del fuoco per il nuovo papa, prevedeva, ripensando alle sue GMG di Roma nel 2000. Si aveva l’impressione di essere in casa propria, in città come nella Chiesa, di cui ci si sentiva parte integrante. Un vero tuffo nella pentola della Chiesa universale. Un pieno di incontri, con giovani di tutti i paesi, in una grande libertà. Un Woodstock cristiano”. Per Julian Fouchon le GMG sono l’occasione “di mostrare che si può essere cattolici e alla moda, mentre spesso si pensa che cattolico sia uguale a retrogrado. La Chiesa dell’anno 2000 si mostra moderna valorizzando i suoi giovani, e per noi, emozionalmente, è fortissimo. È un po’ la rivincita dei giovani che portano il loro contributo all’immagine della Chiesa, spesso incrinata.

Dopo le GMG del 1997 a Parigi, i media parlano di “Catho Pride” –riferendosi alla Gay Pride, la manifestazione di orgoglio dei gay. Una immagine che sintetizza l’aspetto caratteristico della società contemporanea in cui ogni minoranza (religiosa, culturale, sessuale) vuole affermare la propria identità nella modalità del “fiero di essere”. La GMG sono “le nuove cattedrali cattoliche, pensa il sociologo delle religioni Jean-Paul Willaime. (3) Lo stato attuale della modernità non è “meno religione”, ma “religione in modo diverso”, sottolinea. La religiosità si trasforma e si presenta sotto nuove forme espressive, nell’ambito di una pluralizzazione religiosa delle società odierne. D’altronde il contesto attuale che relativizza le frontiere nazionali, ma anche culturali e simboliche, genera una inquietudine identitaria a livello di individui come di società”.

Un fenomeno planetario

Da qualunque parte ci si volga, la dimensione identitaria delle riaffermazioni religiose appare assolutamente come un fenomeno planetario. Tanto più che nell’ambito di un “mercato del religioso”, le grandi religioni storiche si trovano in situazione di concorrenza alla quale sono meno preparate dei nuovi movimenti religiosi. Da ciò derivano diverse riaffermazioni identitarie allo scopo di preservare le loro posizioni storiche. Tali reazioni sono tanto più vive in quanto si percepisce che questa eredità è minacciata dalla mondializzazione delle norme culturali occidentali e da un processo di secolarizzazione che rimette un causa il potere di aggregazione sociale delle religioni.

Nell’Asia buddista, e così in Tailandia o in Cambogia, le forze di pressione religiose si sono irrigidite perché i governi prendano misure di protezione del buddismo, religione di Stato. In causa sono “l’inquinamento della cultura Coca-Cola” e l’attività di proselitismo dei gruppi evangelici protestanti. In India l’ideologia che fa dell’induismo l’essenza stessa dell’identità della “terra sacra” nazionale è stata radicalizzata. Formatasi contro l’occupante inglese, questa ideologia si è rivoltata contro i musulmani e i cristiani denunciati per il loro proselitismo.

Nel mondo musulmano, arabo e asiatico, la ri-islamizzazione delle società si è tradotta in un indurimento identitario, attraverso il ritorno alla tradizione. Uno dei segni più visibili di tale indurimento è l’obbligo di portare il velo che ormai è di regola in paesi nei quali le donne velate per affermazione religiosa erano prima una minoranza.

La sfera cristiana non sfugge a questo fenomeno di irrigidimento identitario. In Russia la Chiesa ortodossa si è riaffermata come l’incarnazione dell’identità russa. Sostegno saldo di un potere che le dà il contraccambio, ha ottenuto un posto privilegiato nei confronti delle altre religioni delle quali si sforza di limitare l'ascendente. “L’identificazione con la Nazione è la malattia infantile dell’ortodossia”, sottolinea François Thual, (4) piuttosto pessimista quanto all’avvenire “tanto è importante, dalla Russia alla Grecia, il peso del conservatorismo ortodosso”. Un caso a parte nel cristianesimo? Certamente, ma non del tutto.

Negli Stati Uniti

Negli Stati Uniti l’alleanza tra il fondamentalismo protestante e la destra conservatrice si traduce, anche qui, in una riaffermazione dell’identità cristiana del paese. Profeta dello “scontro delle civiltà”, Samuel Huntington ne ha dato nel 1999 un impressionante riassunto in un articolo che preconizzava un “nazionalismo robusto". (5) Secondo lui poiché gli Americani erano “nella maggioranza schiacciante un popolo cristiano che comporta anche una minoranza ebraica di piccole dimensioni, ma importante, il Dio del conservatorismo americano è il Dio dell’Antico e del Nuovo Testamento”. Nello stesso momento, in una versione più soft, la battaglia per inserire “l'eredità cristiana” nel progetto di Costituzione europea, fermamente sostenuto dal Vaticano, denotava una volontà di affermazione identitaria, nell'ora in cui si radica in Europa l'islam e si prevede l'integrazione della “Turchia musulmana”. Tutte esasperazioni identitarie che non rinunciano a sfruttare imprenditori politico-religiosi spesso radicali.


1) Libération del 14 luglio.

2) Dounia Bouzar: Monsieur Islam n'existe pas (Hachette Littérature, 2004).

3) Autore, in particolare, di Europe et religions. Les enjeux du XXIe siècle (Fayard, 2004).

4) Autore di Géopolitique des religions. Le Dieu fragmenté (Ellipses, 2004).

5) Presentato da Philip S. Golub nel numero di giugno di Monde diplomatique.


(da Le monde des religions, 13, pp. 18-23)

Letto 1874 volte Ultima modifica il Sabato, 23 Ottobre 2010 23:30
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search