Vita nello Spirito

Sabato, 10 Maggio 2008 21:57

Ricerca di un orizzonte di relazioni e di presenza (Silvano Pinato)

Vota questo articolo
(1 Vota)

La dimensione ecclesiologica

 

Ricerca di un orizzonte di relazioni e di presenza

 

di Silvano Pinato





Il Concilio ha riconosciuto alla vita religiosa uno statuto teologico che la colloca nel cuore stesso della Chiesa. Ma questa scoperta va valorizzata. Ecco quindi farsi avanti una nuova coscienza ecclesiale nei religiosi, che fa intravedere un orizzonte di relazioni e di comunione: i modi sono in parte ancora da inventare.


“Tutti gli istituti partecipino alla vita della Chiesa e secondo la loro indole facciano propri e sostengano nella misura delle proprie possibilità le sue iniziative e gli scopi che essa si propone di raggiungere nei vari campi, come in quello biblico, liturgico, dogmatico, pastorale, ecumenico, missionario e sociale» (PC 2).
Queste parole del Perfectae caritatis sono il frutto della nuova collocazione ecclesiale che la vita religiosa aveva avuto nella costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium. E’ questo, infatti, il documento che ha maggiormente segnato la vita consacrata in questi ultimi quarant’anni. Per la prima volta un Concilio ha trattato della vita consacrata non solo nel suo aspetto giuridico, con l’emanazione di decreti di riforma, ma riconoscendole uno statuto teologico che la colloca nell’intimo del mistero della Chiesa.

 

Unica santità in modi diversi

La discussa disposizione del capitolo sui religiosi, immediatamente successivo a quello sull’universale vocazione alla santità, risulta provvidenziale perché ne mette in risalto la sua dimensione più tipica: la proclamazione del primato di Dio e la costante tensione alla santità. La vita consacrata viene ricollocata nella comunione con le altre vocazioni, tutte chiamate all’unica santità. Nello stesso tempo viene indicata come dono particolare, come carisma capace di dare ragione del fatto che l’unica santità è perseguita in modi diversi, «si esprime in varie forme» (LG 39).
La Chiesa viene confessata e proclamata come mistero di amore e di vita del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Un mistero d’amore che si offre come dono a coloro che sono nati dall’acqua e dallo Spirito (cf Gv 3,5) e a coloro che sono stati chiamati a rivivere la comunione stessa di Dio e a manifestarla e comunicarla nella storia. Dal mistero di amore trinitario nascono le diverse vocazioni e stati di vita cristiana.
Lo sviluppo dell’ecclesiologia alla luce del mistero trinitario e con i dinamismi propri dell’annuncio del Vangelo ha mostrato con chiarezza che «i sacri pastori [...] sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutta la missione della salvezza che la Chiesa ha ricevuto nei confronti del mondo» (LG 30); e che laici, presbiteri, persone consacrate, sotto la guida dei vescovi tendono insieme verso un unico fine e concorrono a un unico scopo: far crescere il Corpo del Signore fino alla piena maturità (cf Ef 4,13). «Nei vari generi di vita e nelle varie professioni un’unica santità è praticata da tutti coloro che sono mossi dallo Spirito di Dio e, obbedienti alla voce del Padre (…) seguono Cristo povero, umile e carico della croce per meritare di essere partecipi della sua gloria» (LG 41).
L’unità della Chiesa non è vista più come quella di una casa ben strutturata, ma un “popolo di Dio” in cammino nella storia, un “corpo” organicamente ben compaginato e in continua crescita. Così a partire dalla Lumen gentium si è sviluppato un lungo e profondo cammino di conoscenza e di nuova esperienza ecclesiale. Un ruolo importante in questo cammino è stato svolto dai documenti del Santo Padre e, in modo speciale, dagli ultimi sinodi dei vescovi.
Questi sinodi hanno trattato le diverse vocazioni o stati di vita e hanno cercato di promuoverne la ricchezza al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa. Nel constatare la diversità dei carismi e ministeri, essi ne hanno sottolineato le correlazioni e la complementarità; hanno evidenziato il loro riferimento alla Chiesa universale e alla Chiesa particolare; hanno posto l’accento sulla loro comunione con il Papa e i vescovi e con le altre vocazioni all’interno del popolo di Dio; e hanno potenziato la loro partecipazione e corresponsabilità alla santità e alla missione evangelizzatrice della Chiesa. L’identità di ogni vocazione non si definisce più per l’affermazione esclusiva di sé stessa, ma per la correlazione con le altre vocazioni.
Infatti, «tutti gli stati di vita, sia nel loro insieme sia ciascuno di essi in rapporto agli altri, sono al servizio della crescita della Chiesa, sono modalità diverse che si unificano profondamente nel “mistero di comunione” della Chiesa e che si coordinano dinamicamente nella sua unica missione. In tal modo, l’unico e identico mistero della Chiesa rivela e rivive, nella diversità degli stati di vita e nella varietà delle vocazioni, l’infinita ricchezza del mistero di Gesù Cristo» (Christifideles laici 55).

 

Nuova coscienza ecclesiale

 

Questo cammino di autoconoscenza di sé da parte della Chiesa ha condotto anche a una rinnovata ecclesiologia della vita consacrata. Essa non può essere considerata come un elemento marginale, ma è una presenza essenziale per la vita e la santità della Chiesa, in ordine alla sua missione nel mondo.
Dall’affermazione della Lumen gentium: «Lo stato di vita fondato sulla professione dei consigli evangelici (…) appartiene fermamente alla vita e alla santità della Chiesa» (LG 44), si è giunti all’esortazione apostolica Vita consecrata, dove Giovanni Paolo Il, scrive che la vita consacrata «non potrà mai mancare alla Chiesa come un suo elemento irrinunciabile e qualificante, in quanto espressivo della sua stessa natura» (VC 29).
Da questa chiara lettura ecclesiologica della vita consacrata negli ultimi decenni sono molto cresciute la presenza attiva e la collaborazione dei consacrati, uomini e donne, nelle comunità ecclesiali locali, oltre che l’apertura a un inserimento più attivo nella vita del popolo di Dio.
La grande svolta, iniziata con il Vaticano Il, proseguita con il documento Mutuae relationes (1978), avvalorata dal sinodo sulla vita consacrata (ottobre 1994) e dall’esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata (25 marzo 1996), ha educato e favorito il passaggio da una concezione giuridica a una prospettiva teologica della vita consacrata: carisma nella e per la comunità ecclesiale, vissuto in comunione e sinergia con le altre vocazioni per mettere in luce la natura battesimale di ogni ministero e carisma nella Chiesa.
La vita consacrata, nella concretezza degli istituti approvati dalla competente autorità ecclesiastica, non può, per volere del suo divino ispiratore, né ritenersi, né essere ritenuta da altri, come “inquilino” occasionale o un “ospite” improvvisato. Essa non occupa un posto alternativo, ma «si pone nel cuore stesso della Chiesa come elemento decisivo per la sua missione, giacché esprime l’intima natura della vocazione cristiana e la tensione di tutta la Chiesa-sposa verso l’unione con l’unico sposo» (VC 3).

 

Superare le divisioni

 

Bisogna tuttavia riconoscere che il chiaro progresso nella qualità della presenza e del servizio pastorale degli istituti di vita consacrata nelle Chiese particolari continua ancora, forse un po’ troppo spesso, a sperimentare divisioni, contrapposizioni e conflitti. Esistono certamente riferimenti culturali e spirituali contrapposti che creano situazioni difficili per il dialogo: Chiesa universale e Chiesa particolare; servizio alla Chiesa universale e inserimento nella Chiesa particolare; autonomia e cooperazione; diocesianità e appartenenza a un istituto di vita consacrata internazionale, presbitero diocesano e presbitero consacrato, ecc.
I conflitti, del resto sono inerenti alla stessa vita umana che è piena di limiti e incompatibilità, tra i quali non vanno esclusi l’egoismo e il peccato. In Vita consecrata Giovanni Paolo Il suggerisce di trasformare questi inevitabili contrasti in contributo fecondo al bene della Chiesa attraverso il dialogo della verità nella carità, e con un ascolto sempre più attento e disponibile dello Spirito, fonte di tutti i doni nella Chiesa. Il Santo Padre, consapevole delle sfide e della grave responsabilità dinanzi all’evangelizzazione del mondo contemporaneo alle soglie del terzo millennio, invita a imboccare decisamente la via della spiritualità della comunione.
Nella lettera apostolica Novo millennio ineunte (2001) insiste sulla necessità che i rapporti all’interno della Chiesa siano impostati su basi più profonde e di più larga portata rispetto al mero approccio organizzativo e funzionale. «Se dunque la saggezza giuridica, ponendo precise regole alla partecipazione, manifesta la struttura gerarchica della Chiesa e scongiura tentazioni di arbitrio e pretese ingiustificate, la spiritualità della comunione conferisce un’anima al dato istituzionale con un’indicazione di fiducia e di apertura che pienamente risponde alla dignità e responsabilità di ogni membro del Popolo di Dio» (45).
E, su questa linea, aggiunge: «Esorto vivamente i pastori delle Chiese particolari, aiutati dalla partecipazione delle diverse componenti del Popolo di Dio, a delineare con fiducia le tappe del cammino futuro, sintonizzando le scelte di ciascuna comunità diocesana con quelle della Chiese limitrofe e con quelle della Chiesa universale» (NMI 29).
È un nuovo orizzonte di relazioni ecclesiali e apostoliche che il Papa delinea e che ha bisogno di cure particolari. Egli ricorda che «gli spazi della comunione vanno coltivati e dilatati giorno per giorno, ad ogni livello, nel tessuto della vita di ciascuna Chiesa. La comunione deve qui rifulgere nei rapporti tra vescovi, presbiteri e diaconi, tra pastori e intero popolo di Dio, tra clero e religiosi, tra associazioni e movimenti ecclesiali. A tale scopo devono essere sempre meglio valorizzati gli organismi di partecipazione previsti dal Diritto canonico, come i consigli presbiterali e pastorali» (NMI 45).
Qui non si tratta di salvaguardare prestigio o autonomia, di difendere diritti o privilegi, ma di far prevalere il dovere della “missione” dove le forze devono restare unite «perché il mondo creda» (cf Gv 17,21), per mettere al primo posto Dio, la spiritualità, la preghiera, la carità fraterna, il servizio, la gratuità del dono. Solo così Cristo si manifesta vivo in ogni cristiano e nella comunità ecclesiale.
La vita consacrata vive oggi l’esperienza di una intensa e utile ricerca per intensificare la sua vitalità e il suo servizio, privilegiando itinerari di fede e di vita spirituale, ricchi di attenzione per tutte le esigenze del Vangelo da annunciare ai poveri con lo stile di Cristo. L’obiettivo primario è quello di fondare le loro radici nell’esperienza dell’amore di Dio trasmessa dalla sua Parola e vissuta nella comunione fraterna così da sviluppare una più evidente disponibilità verso l’umanità e una più efficace accoglienza di tutte le esigenze del messaggio di Cristo.




(da Vita Pastorale, aprile 2006)

 

 

Bibliografia

 

Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, “Atti del Simposio ‘40° Perfectae caritatis. Bilancio e prospettive della vita consacrata, 26-27 settembre 2005, Città del Vaticano, Sequela Christi 2/2005, Libreria Editrice Vaticana 2006; Cabra P., Breve corso sulla vita consacrata, Queriniana 2005, Brescia; Cism, Carismi in comunione, Il Calamo 2005, Roma; AA. VV. Vita religiosa: bilancio e prospettive a 25 anni dal Concilio, Ed. Rogate 1991, Roma,

 

Letto 2825 volte Ultima modifica il Mercoledì, 24 Marzo 2010 17:57
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search