Vita nello Spirito

Sabato, 13 Marzo 2010 21:12

L'origine delle malattie della libertà (Gianmaria Zanoni)

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Dobbiamo anzitutto chiederci da dove viene la libertà e cosa significa essere uomini liberi. Possiamo poi interrogarci su  cosa limita la libertà e quali atteggiamenti umani  determinano una libertà malata. L'individualismo è l'origine di ogni malattia della libertà.

di Gianmaria Zanoni

Una vocazione alla libertà

Per il credente la libertà può avere solo delle malattie.

Se è vero che la Storia è diventata storia di Salvezza(1), che l'umanità è uscita dalla schiavitù del peccato (2), che la tirannia della legge (3), data all'uomo per la sua condanna, è stata abbattuta (4), allora possiamo affermare che, in senso radicale, l'uomo può essere libero.

Prima di Cristo l'uomo era libero, ma non poteva esserlo. Sembra un errore di stampa, ma non lo è.

Che l'uomo fosse strutturalmente libero, lo sappiamo dalla Genesi. Nel giardino dell'Eden Dio disse all'uomo: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu e mangiassi, certamente moriresti" (5). L'uomo riceve un compito, che presuppone un alternativa: può fare questo o quello; non solo, ma la scelta, come invece accade per gli animali, non è indifferente. Per l'uomo una cosa e buona, l'altra cattiva. Per fare la prima e non fare la seconda, deve capire la diversità tra le due (buono-cattivo) e deve avere la possibilità (cioè la convinzione e la forza) di fare la prima e non la seconda, oppure di fare la seconda e non la prima, che, per quanto riguarda le condizioni, è quasi lo stesso.

Poi l'uomo peccò e il male divenne infinitamente più facile del bene. L'uomo rimase strutturalmente libero, ma soggettivamente schiavo. Le possibilità di libertà, benché esistenti, crollarono a livelli bassissimo.

Poi venne la Salvezza e con essa la forza, ma anche la prudenza, la giustizia e la temperanza.

L'uomo acquistò gli strumenti per costruire la propria libertà.

La libertà non si presentò più come una possibilità vera, ma altamente improbabile; divenne un progetto alla portata di tutti.

Divenne un progetto, non una realizzazione.

Infatti, anche dopo la Salvezza, l'uomo non è libero. Può realisticamente diventarlo, il che non è poco, ma non lo è automaticamente. D'altra parte, vista la sua natura, quasi nulla per l'uomo è dato in modo automatico ed a-storico. Tutto ciò che lo caratterizza è frutto di un paziente lavoro l'intelligenza, la sensibilità, la forza, la volontà e tutte le altre caratteristiche umane debbono essere sviluppate nel tempo, con una crescita. Così accade anche per la libertà, cioè per la capacità di autodeterminarsi senza condizionamenti.

È questo un progetto ambizioso, indiscutibilmente difficile, soggetto a regole ed a condizioni ferree.

L'ignoranza delle regole del fare

La prima malattia strutturale che affligge gravemente la libertà è proprio questa: l'ignoranza delle sue regole ferree. L'uomo è anima e corpo, spirito e materia e la sua libertà non può esistere se non in questa forma: nel rispetto delle regole materiali ed intellettuali.

Chi è più libero su una pista di sci, al volante di un'automobile, nell'uso di una risorsa tecnologica o nella complessità di una ricerca? In maniera solo apparentemente paradossale più libero è colui che più rigorosamente si è assoggettato alle regole, chi le ha introiettate così bene, da farle diventare una seconda natura, un fatto "apparentemente" istintivo. Chi esamina metro per metro il percorso che dovrà compiere? Chi si sottopone a lunghi allenamenti? Chi verifica tutti i passaggi del proprio ragionamento? Pur avendo doti eccezionali, l'atleta, il campione, il vero professionista sanno benissimo che solo la grande fedeltà alle regole rende liberi e consente di fare cose che altri nemmeno possono immaginare. Questa è la prima, strutturale differenza tra la libertà e la licenza. La libertà consente di compiere acrobazie, perché è sottoposta alle regole, la licenza consente solo di schiantarsi, perché infrange tutte le regole, dando la miope e sciocca presunzione di essere padroni dell'universo.

Ma questa libertà, che potremmo definire "animalesca", benché sia una condizione assolutamente necessaria ed estremamente qualificante, non e sufficiente, perché può rivoltarsi contro l'artefice di tanta bravura ed intrappolarlo in una gabbia più raffinata e potente, rendendolo più schiavo di quanto non fosse.

Come tutti sanno, non basta far bene una cosa, bisogna capire perché la si fa. L'uomo non è uno squalo e proprio per questo deve fare i conti con la sua coscienza.

L'etica della responsabilità

Se vogliamo evitare la seconda, grave malattia della libertà dobbiamo convincerci che la modernità impone il passaggio dall'etica della convinzione all'etica della responsabilità.

Forse un tempo la supremazia della convinzione era giustificata dalla più contenuta presa dell'uomo sulla realtà. Le sue capacità tecniche erano indubbiamente inferiori alle attuali, la sua libertà materiale più contenuta, quindi la "disposizione del cuore" era l'elemento preponderante e sufficiente:

"Questo è giusto che io faccia, accada che può". Forse non si poteva pretendere di più; anche se c'era già la coscienza che "di buone intenzioni (attuate e non solo sognate) è lastricata la strada dell'inferno".

Ma oggi la presa dell'uomo sulla realtà impone che le conseguenze dell'agire entrino pesantemente nel conto. Non solo perché sono sempre più facilmente prevedibili, ma perché la consapevolezza della "complessità", cioè delle connessioni interne ed esterne di un fatto, è patrimonio acquisito.

Ciò non significa che l'uomo sia diventato il signore dell'universo e che nessuna conseguenza delle sue azioni gli sfugga, ma che gli effetti del proprio agire costituiscono per lui un elemento ineludibile e prioritario nella valutazione delle sue scelte e quindi nell'esercizio della libertà.

Questo indubbio incremento di potenza, che coincide con l'incremento di libertà, è certamente frutto della divisione del lavoro. In ambito sociale, la divisione del lavoro ha prodotto il passaggio da una solidarietà meccanica (collaboriamo perché viviamo nello stesso paesino, parliamo la stessa lingua, abbiamo lo stesso cimitero, ci conosciamo tutti) ad una solidarietà organica in cui non solo il mio benessere, ma la mia stessa sopravvivenza dipendono dal lavoro altrui. Se salta la corrente e si bloccano le pompe di benzina, io rischio la pelle. Le meraviglie della società complessa sono molto fragili. Tutti devono fare la loro parte, o l'intero meccanismo s'inceppa.

Il fondamento di tutte le malattie

Queste due malattie della libertà: "disprezzo delle regole del fare" e "sottovalutazione dell'etica della responsabilità" generano il fondamento di tutte le malattie: l'individualismo. È questa, oggi, l'origine di tutti gli altri avvelenamenti della libertà. Per l'uomo contemporaneo la tentazione dell'individualismo e la sua capacità distruttiva hanno raggiunto proporzioni decisamente critiche.

In nessuna epoca il mondo è stato così profondamente "globalizzato", eppure in nessuna epoca la miope tentazione dell'economia classica (fai il tuo interesse e il mercato libero garantirà il massimo vantaggio per tutti) è stata così potente.

L'aggressione scatenata contro lo Stato (il più razionale, efficiente e consapevole sistema di convivenza civile finora trovato), con la conseguente assenza di pianificazione, mancanza di iniziative comuni per una logica di sviluppo, debole controllo popolare delle strategie di governo, ha avuto e sta avendo nell'iniziativa privata l'arma fondamentale.

Ma questa ideologia, apparentemente ristretta alla sfera politico-economica, ha un peso determinante nelle scelte quotidiane di ciascuno.

A letto, come nel supermercato, in uscita o alle riunioni regionali l'iniziativa privata, cioè il proprio interesse, diventa la tentazione fondamentale, il pretesto accettato e subito.

È proprio il plauso di cui gode nell'ideologia dominante, che rende la logica dell'interesse privato capace d'inquinare le coscienze individuali, impedendo la serenità e la sicurezza del giudizio.

La nostra è una società più libera, perché l'uomo è molto più potente di quanto non sia mai stato, ma la sua potenza, e quindi la sua libertà, dipendono sempre più da un'intensa e significativa collaborazione.

L'individualismo è quanto di più pericoloso e destabilizzante si possa immaginare per una società complessa. In altre epoche la coscienza poteva forse preoccuparsi meno del prossimo, del mondo, dell'intero universo; in altre epoche la libertà dell'uomo era inferiore; ma oggi nessuno può evitare di "farsi carico" delle conseguenze e degli effetti dell'agire proprio ed altrui. Il compito della costruzione di una maggior libertà per tutti, questo compito che Dio anche oggi ci affida, è certo più facile e più difficile di un tempo.

Come sempre, ma ancor più oggi, l'uomo è tanto più libero, quanto più la sua coscienza è esigente.

1. Cfr. Rm 5,19
2. Cfr. Rm 5,6-11
3. Cfr.Rm 3,19-20
4. Cfr Gal 3,19-27
5. Gen 2,16-17

(in Servire. Rivista scout per educatori, n. 1, gen-mar 2005, pp. 3-6)

Letto 4057 volte Ultima modifica il Domenica, 31 Ottobre 2010 20:16
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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