Ma forse la sua dottrina sarà così plausibile e bella da dar credito a quest’uomo così disprezzato. No, non è così: “Egli non sa altro, dice, che il suo Maestro crocifisso”: Non judicavi me scire aliud inter vos, nisi Jesum Christum, et hunc crucifixum: (1) non sa nient’altro che ciò che colpisce, ciò che scandalizza, ciò che sembra follia e stravaganza. Come dunque può sperare che i suoi uditori siano persuasi? Ma, o grande Paolo, se la dottrina che tu annunci è così strana e così difficile, cerca almeno dei termini levigati, copri con i fiori della retorica questo aspetto odioso del tuo Vangelo e addolcisci la sua austerità con il fascino della tua eloquenza. Dio non voglia, risponde quel grande uomo, che io mescoli la sapienza umana alla sapienza di Dio: volontà del mio Maestro è che le mie parole non siano meno rudi di quanto la mia dottrina appare incredibile: Non in persuasibilibus humanae sapientiae verbis. (2) Proprio qui dobbiamo capire i segreti della Provvidenza. Innalziamo le nostre menti, Signori, e consideriamo le ragioni per le quali il Padre celeste ha scelto questo predicatore senza eloquenza e senza ornamenti per portare a tutta la terra, ai Romani, ai Greci, ai Barbari, ai piccoli, ai grandi, persino ai re, il Vangelo di Gesù Cristo.
Per penetrare un mistero così grande, ascoltate il grande Paolo stesso che, dopo aver ricordato ai Corinzi quanto le sue predicazioni erano state semplici, ne rende questa ammirabile motivazione: è che, dice “noi vi predichiamo una sapienza che è nascosta, che i principi di questo mondo non hanno riconosciuto”: Sapientiam quae abscondita est. (3) Quale è questa sapienza nascosta? Cristiani, è Gesù Cristo stesso. Egli è la sapienza del Padre, ma è la sapienza incarnata, che si è coperta volontariamente dell’infermità della carne e si è così nascosta ai grandi della terra con l’oscurità di questo velo. È dunque una sapienza nascosta, e su questo si appoggia il ragionamento dell’Apostolo. Non vi stupite, ci dice, se predicando una sapienza nascosta, i miei discorsi non sono adorni delle luci dell’eloquenza. Questa meravigliosa debolezza, che accompagna la predicazione, è una conseguenza dell’abbassamento con il quale il mio Salvatore si è annientato; e come è stato umile nella sua persona, vuole esserlo anche nel suo Vangelo.
Pensiero ammirabile dell’Apostolo e certamente degno di essere meditato. Mettiamolo dunque maggiormente in luce e supponiamo, prima di ogni cosa, che l’eterno Figlio di Dio aveva deciso di apparire agli uomini in due diverse maniere. Prima di tutto doveva apparire nella verità della sua carne; e poi doveva apparire nella verità della sua parola. Poiché, dato che era il Salvatore di tutti, doveva mostrarsi a tutti. Per conseguenza non basta che appaia in un angolo della terra: occorre che si mostri in tutti i luoghi in cui la volontà del Padre gli ha preparato dei fedeli; tanto che lo stesso Gesù, che è apparso solo in Giudea nella verità della carne, sarà portato in tutta le terra nella verità della sua parola.
Per questo il grande Origene non ha avuto paura di affermare che la parola del Vangelo è una specie di secondo corpo che il Salvatore ha preso per la nostra salvezza: Panis quem Dominus corpus suum esse dicit , verbum nutritionis animarum. (4) Che cosa significa questo, cristiani? E quale somiglianza ha potuto trovare fra il corpo del nostro Salvatore e la parola del suo Vangelo? Ecco il fondo di questo pensiero: la sapienza eterna che è generata nel seno del Padre si è resa sensibile in due maniere. Si è resa sensibile nella carne che ha preso nel grembo di Maria; e si rende ancora sensibile mediante le Scritture e la parola del Vangelo: tanto che possiamo dire che questa parola e queste Scritture sono come un secondo corpo che essa assume per apparire ancora ai nostri occhi. Là infatti noi la vediamo: quel Gesù che ha conversato con gli apostoli, vive ancora per noi nel suo Vangelo e vi spande ancora per la nostra salvezza la parola di vita eterna.
Dopo questa bella dottrina, è ben facile comprendere che la predicazione degli apostoli, sia che esca viva dalla bocca di quei grandi uomini, sia che scorra nei loro scritti per essere portata nei tempi successivi, non deve avere nulla che risplenda. Infatti, fratelli miei, non comprendete che, secondo il pensiero di san Paolo, quel Gesù che deve apparirci nella sua carne e nella sua parola vuole essere umile nell’una e nell’altra?
Di qui il rapporto ammirabile fra la persona di Gesù Cristo e la parola che egli ha ispirato. Lac est credentibus, cibus est intelligentibus. (5) La carne che ha assunto è stata debole, la parola che lo predica è semplice. Noi adoriamo nel nostro salvatore la bassezza unita con la grandezza. Così è per la sua Scrittura: tutto vi è grande e tutto vi è basso, tutto vi è ricco e tutto vi è povero; nel Vangelo, come in Gesù Cristo, quel che si vede è debole e quel che si crede è divino. Vi sono delle luci nell’uno e nell’altro, ma queste luci sono avvolte nelle nubi: in Gesù per la debolezza della carne e nella Scrittura per la semplicità della lettera. Così Gesù vuole essere predicato e disdegna per la sua parola, come per la sua persona, tutto quello che gli uomini ammirano.
Non aspettatevi dunque dall’Apostolo, né che venga a lusingare le orecchie con cadenze armoniose, né che voglia incantare le menti con vane curiosità. Ascoltate quello che dice: “Noi predichiamo una sapienza nascosta; noi predichiamo un Dio crocifisso”. Non cerchiamo vani ornamenti per questo Dio che rifiuta tutto lo splendore del mondo. Se la nostra semplicità dispiace ai superbi, sappiano che noi temiamo di piacere loro, che Gesù Cristo disdegna il loro fasto insolente, e che non vuole essere conosciuto che dagli umili. Abbassiamoci dunque a questi umili: facciamo per loro delle predicazioni la cui bassezza abbia qualche cosa dell’umiliazione della croce, e che siano degne di questo Dio che non vuole vincere che con la debolezza.
Per queste solide ragione san Paolo rifiuta tutti gli artifici della retorica. Il suo discorso, non scorre con quella dolcezza piacevole, con quella giusta regolarità che ammiriamo negli oratori, ma sembra ineguale e senza seguito a coloro che non lo hanno abbastanza penetrato; e i delicati della terra, che hanno, dicono, le orecchie fini, sono offesi dalla durezza del suo stile irregolare. Ma, Fratelli miei, non ne arrossiamo: Il discorso dell’Apostolo è semplice, ma i suoi pensieri sono tutti divini. Se ignora la retorica, se disprezza la filosofia, Gesù Cristo per lui tiene luogo di tutto; e il suo nome che egli ha sempre in bocca, i suoi misteri che egli tratta divinamente, renderanno onnipotente la sua semplicità. Andrà, questo ignorante dell’arte del bel dire, con la sua locuzione rude, con la frase che sembra straniera, andrà in quella Grecia elegante, la madre dei filosofi e degli oratori; e, nonostante le resistenze del mondo, vi stabilirà più Chiese di quanti discepoli Platone ha conquistato con la sua eloquenza che fu creduta divina. Predicherà Gesù ad Atene e il più dotto dei suoi senatori (6) passerà dall'Areopago alla scuola di questo barbaro. Spingerà ancora oltre le sue conquiste; abbatterà ai piedi del Salvatore la maestà dei fasci romani nella persona di un proconsole, e farà tremare nei loro tribunali i giudici davanti ai quali viene citato. Roma stessa udrà la sua voce; e un giorno questa città padrona del mondo si riterrà più onorata da una lettera dello stile di Paolo rivolta ai suoi cittadini che di tante famose arringhe che ha ascoltato del suo Cicerone.
Da dove viene questo, cristiani? È che Paolo ha dei mezzi per persuadere che la Grecia non insegna e che Roma non ha imparato. Un potere soprannaturale che ama rialzare quello che i superbi disprezzano si è sparso e mescolato nella augusta semplicità delle sue parole. Per questo noi ammiriamo nelle sue ammirabili epistole una certa virtù più che umana, che persuade contro le regole, o, più che persuadere, cattiva le menti; che non lusinga le orecchie, ma porta i suoi colpi dritto al cuore. Come quando si vede un grande fiume che conserva ancora, mentre scorre nella pianura, quella forza violenta che aveva acquistato sulle montagne da cui le sue acque precipitavano, così la virtù celeste che è contenuta negli scritti di san Paolo, anche in quella semplicità di stile, conserva tutto il suo vigore che porta dal cielo da cui discende.
Jean-Bénigne Bossuet
Note
1) 1Cor 2,3.
2) 1Cor 2,4.
3) Ibid., 7
4) Commentaire sur saint Matthieu, n° 85 («il pane che il Signore afferma essere il suo corpo è la sua parola che nutre le anime»)
5) Essa è latte per coloro che credono, cibo per coloro che comprendono.
6) Allusione alla tradizione riguardo a san Dionigi l’Areopagita.
Panégyrique de Saint Paul, p. 24-28
(da La vie spirituelle, n. 780, janvier 2009, p. 57–64)
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