Natale non è una festa dell' umanità nobile, non un abbandono ai ricordi d'infanzia e ai dolci sentimenti di un gioioso amore per gli uomini, nemmeno la festa del 'Bambin Gesù', che ci sorride dal seno di una madre piena di grazia e ci rivela l'amore del Buon Dio - è infinitamente di più. È la presenza vivente e sconvolgente di Dio fra gli uomini. L'eterna maestà del Dio infinito, dinanzi al quale la creatura nella sua nullità è sbigottita e trema, che mai occhio umano ha veduto o può vedere, che una infinita distanza separa da noi - e cui la creatura aspira con tutto il suo desiderio spirituale -, è presente fra noi; ci lascia scorgere il suo volto, e noi riconosciamo nel volto del Signore e Re i tratti del Padre.
A Natale si compie quanto l'umanità ha sempre desiderato e quanto con le proprie forze non ha mai anche solo osato sperare. L'intera storia dell'umanità è soltanto un desiderare il volto del Padre e un voler trovare pace nel principio e fine ultimo. Mosè implora il Signore: «Mostrami la tua Gloria!» (Es 33,18). Ma il Signore non gli lascia scorgere il suo volto; solo un barlume del tergo di Dio, che si allontana, colpisce i suoi occhi; e già questo riempie il profeta di una beatitudine senza limiti. I Salmi invocano: «Tu, pastore d'Israele, ascolta, tu che guidi Giuseppe come un gregge. Assiso sui cherubini rifulgi. Risveglia la tua potenza e vieni in nostro soccorso. Fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi» (Sal 79,1ss.). I profeti invocano la presenza del Signore, si rivolgono alla comunità che si strugge dal desiderio: «Alzati, rivestiti di luce perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni, ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. - Il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più il chiarore della luna. Ma il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore» (Is 60,1ss. 19).
Ma non solo gli illuminati da una preliminare rivelazione di Dio, anche i pagani invocano la presenza dei loro dei e quindi, in fondo, del vero Dio cui segretamente aspirano al di là della confusione dei loro idoli. Qui il sogno che venga esaudita l'aspirazione assume certamente forme che il semita rigoroso, nella sua separazione da Dio e dal mondo, non conosceva e che, prima dell'incarnazione, non potevano nemmeno essere vere. Qui gli inni e i riti arcani dei misteri invocano l'epifania, cioè l'arrivo visibile, sensibile, luminoso, salvifico del dio. «Vieni, eroe Dioniso, nel tuo tempio sacro!» (1). «Vedi, Dioniso, figlio di Giove, come i tuoi profeti sono in pena! Discendi dall'Olimpo, aureo volto, agitando i tirsi. Signore, sovrano, discendi qui ora presso la nostra santa schiera». E quando il dio si mostra agli uomini in una potente opera salvifica, allora i suoi fedeli, tremanti si prostrano a terra: «Prostrate al suolo, prostrate a terra le membra tremanti; poi il sovrano, il figlio di Giove, entrerà nel palazzo». Oppure dall'etere si può udire un suono, la voce di Dio; una potente luce appare e incendia terra e cielo, ma tutta la natura tace, le foglie degli alberi cessano di stormire e sussurrare, gli animali ammutoliscono alla presenza della Divinità (2). Erano desideri di un sogno che un giorno doveva divenire realtà in una forma del tutto diversa.
Quando Dio esaudì l'aspirazione dei popoli e consentì che si realizzassero le promesse dei suoi profeti, tutto avvenne molto diversamente da come gli uomini si erano immaginate le cose. Le idee di Dio sono sempre diverse dal pensiero degli uomini. Apparentemente, in un primo momento, sembrano inferiori, ma di fatto li superano con distanze celesti. Dio venne come uomo e rivelò il suo amore per gli uomini nel volto di un uomo, dapprima di un bambino. Non venne come una maestà terribile, in una luce che inondava il mondo, in una manifesta potenza e gloria. Venne debole e impotente, trascurato e abbandonato. Venne nascosto, non venne per rivelare la sua onnipotenza, nemmeno per far risplendere la saggezza, non venne per far trionfare la giustizia e per instaurare quindi un regno di Dio nel mondo. No, venne per rivelare l'agape, cioè l'amore che si dona, come solo in Dio esiste. La più alta saggezza dei misteri del cristianesimo è che Dio è agape e l'agape si è rivelata a noi nel volto di un uomo, il migliore, il più altruista, il più ricco d'amore fra tutti gli uomini, il più disposto al sacrificio.
Il mistero del Natale è allora una rivelazione dell'umanità più nobile, della 'filantropia' di cui parla l'apostolo (Tt 3,4)? Non è il Natale, dunque, la festa dell'uomo, che vede personificata la sua più nobile bontà nel bambino del presepe?
No, ciò vuol dire fraintendere completamente il Natale. Ciò significa ridurre alla terra questo sublime mistero e divinizzare gli uomini. Ma l'autodivinizzazione dell'umanità è miseramente naufragata ai nostri giorni. L'uomo 'buono', esaltato e viziato fin dal rinascimento e dall'illuminismo, ha rivelato in modo fin troppo chiaro il suo volto di animale feroce. Come potremmo essere liberati dalla maledizione del mondo, se Natale fosse soltanto una festa dell'umanità?
No, questo bambino, quest'uomo, dal cui volto ci risplende la bontà di Dio, è Dio. Il Figlio, per sua essenza uguale al Padre, «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). L'uomo-Dio è la più alta rivelazione di Dio. «Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (ivi 1,18). Solo la fede nella divinità di questo uomo, che nella Notte Santa fu generato dalla donna ci dà la salvezza, ci lascia vedere il volto desiderato del Padre.
«Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). Cristo, il Dio-uomo è il simbolo originario, il mistero originario. Il simbolo vero è là dove noi vediamo e afferriamo attraverso l'immagine la realtà. Il vero mistero è là dove noi cogliamo nel simbolo sacro e nella parola la realtà originaria. È quanto accade con il Signore Gesù Cristo. «E Dio che (nella creazione) disse: Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo» (2Cor 4,6).
Tuttavia questo vedere è ancora un vedere nella fede. L'occhio terreno, anche l'occhio dello spirito, vede soltanto la debolezza e l'impotenza di Cristo e della sua schiera eletta, la chiesa. La magnificenza di Cristo e della chiesa non si è però mostrata apertamente perché noi camminiamo ancora nel mondo del peccato. Il mondo, che con superbia si allontana da Dio, non deve e non può vedere l'infinito, puro volto di Dio; morirebbe e svanirebbe come la cera fonde davanti al fuoco. Perciò Dio ha nascosto il suo volto per misericordia e al contempo per giustizia. Al suo primo arrivo ha assunto la carne del peccato, sotto cui la divinità si nascose e solo a tratti lasciò sfavillare scintille ardenti. Così fece per potersi offrire quale vittima in espiazione del peccato del mondo. Noi dobbiamo seguirlo nella sua volontaria umiliazione. Egli ci chiede l'offerta della fede, cioè che rinunciamo al nostro proprio io, che distruggiamo la nostra superbia e ci apriamo alla luce divina, che ci darà la grazia. La pura natura con la sicurezza di sé deve morire. Ma se ci inoltriamo devoti nella semioscurità della fede, si dischiude già ora per noi la luce di Dio e riconosciamo in quest'uomo segnato da miseria, nel bambino di Betlemme, nel crocifisso del Golgota, il re della gloria, la luce divina della saggezza, la potenza di Dio che vince il mondo.
Se festeggiamo il Natale, non dobbiamo arrestarci alla graziosa scena del presepe, ma dobbiamo esaminare l'intera manifestazione di Dio. Allora ci si rivela l'evento della Notte Santa nel suo significato sovrastorico, eterno come la manifestazione di Dio in questo mondo, come rivelazione del suo volto, come epifania. Solo il credente, il mistico sa cogliere questa realtà; solo lui sa vedere il Natale quale è, inizio e fondamento della più alta opera di Dio, che trasforma il mondo e lo conduce al suo compimento eterno. A partire dalla Notte Santa, Dio è in questo mondo, e il mondo è in Dio. Egli è qui. Il mondo ora ha il suo compito. Non si smarrisce, ma vede il cammino che conduce a Dio, lungo il quale deve mostrarsi degno degli alti misteri consacrati a Dio.
«Il Signore (è) nel tempio santo» (Sal 10,4). Il tempio di Dio, apparso nella carne, sono le anime credenti, è la comunità di coloro che avvertono la sua presenza: la chiesa. In lei dimora il Signore grazie alla sua presenza pneumatica, cioè superiore ad ogni forma di esistenza terrena, e divina, che, elevandoci, ci fa partecipi dell'essere di Dio. Nella chiesa egli è operante, come forza salvifica, edificante, corroborante, illuminante, beatificante. Ma quest'opera egli l'ha innanzitutto legata ai suoi misteri, che noi celebriamo nella liturgia.
Poiché il Signore non volle venire da noi una sola volta nella storia e poi riallontanarsi e continuare a guidarci soltanto dall'alto. No, egli disse: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Perciò egli opera costantemente in mezzo a noi, per mezzo del suo pneuma, cioè grazie alla sua forza divina totalmente reale, che giunge a noi dal Trasfigurato. Ma egli ci conferma questa sua presenza e ce la rende addirittura tangibile e sensibile attraverso segni esteriori, concreti, attraverso simboli sacri, i sacramenti in particolare, che, non solo educando, rinviano alla sua volontà salvifica, e non soltanto ci trasmettono la sua forza da lontano, ma immediatamente contengono la sua presenza operante e ci immettono nella salvezza che da lui proviene. Per il fatto che Egli stesso, in quanto Dio e in quanto uomo, è il simbolo originario, per cui nell'uomo Gesù noi vediamo il Padre, nel simbolo, carico della sua forza e della sua presenza, noi possediamo lui stesso, con la sua forza e la sua azione salvifica, che opera nella chiesa attraverso i secoli, destando e portando a compimento sempre nuova vita. Noi non siamo per nulla inferiori ai contemporanei di Gesù. No, per mezzo dei misteri l'incarnazione, il suo sacrificio, la sua elevazione ci divengono immediatamente accessibili e presenti nella fede e nella visione della fede. Se concelebriamo i sacri misteri di Cristo come veri credenti, mistici, cooperanti - e la cooperazione è aperta ad ogni credente, in quanto egli diviene col battesimo e la cresima parte vivente della vita pneumatica di Cristo — ci troviamo allora immessi nell'opera salvifica del Signore e veniamo perciò da lui afferrati e trasformati. Penetriamo attraverso il mistero della Chiesa nella presenza immediata e vivissima del Mistero originario, cioè della rivelazione di Dio e dell'opera salvifica. Essa ci appare ora non nel suo corso storico; fin dall'inizio infatti non si è esaurita in eventi storici, ma si è compiuta in una realtà sovrastorica, poiché l'elevazione del Signore, il suo ingresso nel santuario celeste, il suo essere assiso in trono alla destra del Padre non è più nulla di storico, ma realtà sovrastorica. Nel mistero cogliamo tutta l'opera salvifica del Signore, che è iniziata nella chiara luce della storia e si è compiuta nella luce inaccessibile dell'eternità di Dio, proprio in questa luce d'eternità di Dio. La nascita del bambino di Betlemme è d'ora innanzi l'apparire del Logos, del Figlio di Dio, dall'eternità del Padre e dalla quiete eterna della Trinità nella temporalità della nostra creazione, perché questa sia ricondotta a dimorare in Dio. La morte di Cristo sulla croce non è più la morte di un giustiziato, ma il suo sacrificio totale per la redenzione dell'umanità, il suo ritorno al Padre come Perfetto e come colui che dà perfezione alla chiesa. La sua resurrezione, nota allora solo a pochi eletti, ci è ora manifesta e chiara nella visione della fede; vediamo ora con gli occhi della fede Colui che è salito alla destra del Padre. Sì, noi già possediamo nella fede quanto non si è ancora compiuto storicamente, il suo glorioso ritorno per il compimento del mondo e la conseguente piena signoria di Dio. Così, per mezzo del mistero, siamo immessi nella totale pienezza della realtà del Salvatore, nella forza della sua incarnazione, nel sangue redentore del suo sacrificio, nella gloria trasfigurante della sua risurrezione. Veniamo così introdotti nella più profonda vita del Cristo, nella partecipazione alla sua potenza, alla sua saggezza, al suo pneuma, diveniamo con ciò il suo corpo, che vive la sua vita, veniamo con ciò divinizzati e innalzati a veri uomini di Dio. Noi riceviamo la forza di resistere nella vita della temporalità terrena, con le sue pene e le sue miserie, con la persecuzione del bene e il trionfo del male, di sopportare i dolori della malattia e della morte, poiché con il nostro essere più alto siamo già in una vita di tutt'altra natura, nella vita di Cristo. Se noi celebriamo in tal modo con la Madre Chiesa la Notte Santa, allora celebriamo veramente il Natale, cioè la Notte Santa, la Santa Notte Madre, in cui la terra scompare e si dischiude per noi la vita eterna, che non avrà mai fine. Maria, la Vergine Madre, è allora per noi il simbolo della Santa Chiesa, Vergine-Madre, che ci dona la vera vita; Gesù è per noi il bambino, grazie alla cui essenza siamo tutti generati da Dio e in cui giungiamo alla piena maturità del Cristo. Nella santa parola dei misteri, di cui in questa notte la chiesa dice con il profeta che «dura per sempre» (Is 40,9), nell'atto santo del mistero del sacrificio e della cena del sacrificio, tutto quello che la grazia di Dio ci vuol offrire come dono di Natale, diviene per noi un possesso che rende felici; e tutto si raccoglie nelle parole: «Ecco, sono qui».
Odo Casel
1) Canto delle donne elee, tramandato da Plutarco.
2) Dalle Baccanti di Euripide.
(tratto da Das christliche Festmysterium, 17-25. In Odo Casel, Presenza del mistero di Cristo. Scelta di testi per l'anno liturgico, Brescia 1995, pp. 58-69).