Vita nello Spirito

Sabato, 25 Febbraio 2012 20:55

Sfide per una spiritualità di comunione 1 (Michelina Tenace)

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La vita religiosa è un dono e un impegno, una grazia e una responsabilità ...

La vita religiosa è un dono e un impegno, una grazia e una responsabilità, che ha la sua sorgente nella Trinità e la sua esplicita fecondità nella chiamata universale alla santità.

Tre parti
-    I    La Vita Religiosa femminile
-    II  La Spiritualità sorge dalla contemplazione della Trinità
-    III Tramite le relazioni verso una Comunione

I - La vita religiosa femminile e le sue difficoltà: una risposta creativa, una speranza per la quale gioire, un luogo di discernimento per fare memoria del futuro, una trasfigurazione da contemplare.

Verso un culto secondo la Parola (Rm 12,1-2)

Per la vita religiosa, il documento Vita consecrata ha riaperto l'importanza di passare da una teologia (quella del concilio) alla spiritualità (quella della testimonianza). La vita religiosa è un dono e un impegno, una grazia e una responsabilità, che ha la sua sorgente nella Trinità e la sua esplicita fecondità nella chiamata universale alla santità. La nostra vita è dunque inserita, implicata in quella delle Tre Persone divine, un mistero che non cambia, mistero che ci cambia mentre ci avviciniamo a lui. La Parola alla quale abbiamo creduto è questa: vi è una parentela fra noi e la vita divina e per questo ci è proposta come "dogma" da accogliere nella fede, vita da ridonare nella carità, pane per saziare, vino per fare gioire, olio per curare. Vita sacramentale è la vita cristiana, culto della Parola nel senso di assimilazione fisica della realtà accolta.
San Paolo scrive ai Romani (Rm 12,1): "Vi esorto fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come un sacrificio vivente, santo e gradito a Dio (cioè il corpo come incarnazione della libertà dell'uomo nella storia). È questo il vostro culto logico (secondo il Logos, secondo la Parola)". Per molti commentatori della Scrittura (1), questi due versetti sono una sintesi della santità cristiana. "Qui siamo nel cuore dell'etica neotestamentaria. In questo infatti consiste il culto spirituale, o logico (he logiké latreia; logikè, cioè secondo il logos, la Parola di Dio) ... L'aggettivo logikos deriva da logos parola. Più che spirituale (che sarebbe pneumatikos), esso sembra significare un culto consistente nell'obbedienza alla Parola di Dio; un culto più vicino al sacrificio di lode (Sal 50,14.23; Eb 13,15); al sacrificio delle labbra (Os 6,6. Cfr. anche Mt 9,13; 12,7; Mc 12,33); all'obbedienza, che è meglio del sacrificio e alla docilità che è più del grasso degli arieti (1Sm 15,22; Sal 40, 7-9; Pr 16,6-7). In un testo parallelo che descrive anch'esso il culto del Nuovo Testamento, 1 Pt 2,2 esorta i neofiti a desiderare il latte logico (spirituale) e non adulterato (to logikon adolon gala). La traduzione della TOB traduce il latte della Parola, proprio per fare capire che la crescita spirituale del cristiano ha il suo alimento nella Parola di Dio.
Il  culto spirituale e il sacrificio vivente, santo e gradito a Dio è il cuore della vita religiosa.
Tutto ciò che segue è coerente: c'è una forma del mondo dalla quale bisogna distinguersi (non conformatevi a questo secolo), e ci deve essere anche una forma nuova che esprime il "cambiamento della mente", (la conversione orienta ad una nuova forma di vita). San Paolo scandisce la vita cristiana intorno a tre temi: purificazione dal peccato che è un certo modo personale di conformarci al mondo e alle strutture di peccato; rinnovamento della mente mediante la meditazione della Parola di Dio che ci trasforma mentre ci alimenta, ci fa essere secondo il Logos, non solo intelligenti a modo del Verbo, ma ci fa essere cristiani a modo di Cristo; sensibilità alla differenza che c'è tra il bene e il meglio, ossia sapere riconoscere e preferire la volontà di Dio.
Così, san Paolo in questi brevi versetti ha riassunto per noi il movimento stesso del battesimo: una liberazione e una rinuncia; una confessione come libera adesione a Cristo e un impegno di vita nuova, una volta rivestiti dell'abito dell'uomo libero.
Il presupposto della comunione è prezioso: essere diventate persone di comunione nel battesimo e aver a cuore la forma mentis del battesimo per discernere la volontà di Dio nella storia.

Orizzonte complesso e vari livelli della crisi interna alla Chiesa (2)

La situazione della vita religiosa riflette il tempo in cui viviamo.
La crisi va vista, capita nella sua profondità: per dare una risposta, "bisogna situarla storicamente e capirla alla luce del vangelo" (3). Quando tutto cambia e tutto si muove, tener fermo a ciò che rimane è un inizio di sapienza!
Bisogna capire che molte congregazioni sono nate in una società e un mondo che oggi non c'è più. Non può continuare come prima, se prima non c'è più! Se prima c'era la posta e il fax e oggi c'è la mail qualcosa cambia per la comunicazione. Se prima c'era il cibo appena e oggi c'è il cibo troppo, qualcosa cambia sul senso dell'alimentazione. Se prima lo spazio era contato a km, oggi lo spazio è secondo i "contatti". Le rivoluzioni si organizzano via internet nello "spazio" di pochi contatti! Se prima c'era la famiglia e oggi ci sono convivenze, qualcosa cambia per la persona.
Allora, la domanda è: quale profezia Dio sta suscitando nella vita religiosa oggi, nel contesto in cui Dio vuole le vocazioni e la santità? Profezia non cartomanzia. Profezia non previsione del tempo. Profezia come luce, sale, parola di Dio per le nazioni? Profezia come discernimento della volontà di Dio nella storia.
La preoccupazione sentita come una malattia mortale a livello delle Congregazioni è la diminuzione dei membri. Per la stessa vita di comunione, il fatto della diminuzione crea uno squilibrio: nelle relazioni fra generazioni perché non c'è una continuità; nelle comprensione fra culture perché lì dove ci sono nuovi membri, questi arrivano da altri paesi; nei problemi strutturali perché la vita delle persone "nuove" rimane o si deve inserire in strutture e case "vecchie".
Ma anche bisogna dire che le stesse strutture, lì dove rispondono ad un bisogno, fanno fatica ad affrontare le esigenze legali della categoria di servizio. La vita religiosa femminile è stata considerata (ed è considerata tutt'ora) secondo la prospettiva della sua utilità concreta in ordine alla carità. Ora, per le opere, oggi, è difficile discernere l'urgenza della carità. Il campo sociale, l'educazione, la sanità, molti di questi campi, in Europa sono sotto il controllo civile e chiedono una obbedienza "contraria". Per esempio un ordine nato per l'evangelizzazione tramite l'assistenza a domicilio, ora, deve accettare di collaborare con organizzazioni civili che oltre a vietare di portare ogni segno religioso, vietano di presentarsi come suora e di assecondare conversazioni di contenuto religioso. Quindi la visibilità sociale è ridotta (per causa naturale di diminuzione) e/o impedita (per cause culturali o ideologiche).
Non ha certo aiutato l'eccessiva sottolineatura fatta nel passato tra spiritualità di vita attiva e spiritualità di vita contemplativa. Abbiamo tante testimonianza di superamenti di crisi, proprio lì dove questo divario è stato superato. Non resiste nessuno nella vita religiosa senza una "vena contemplativa" alimentata e adattata al carisma. La vera opposizione non è tanto tra religiose di vita attiva e religiose di vita contemplativa, ma piuttosto fra religiose che vivono e godono della presenza del Signore e religiose che di questa presenza non fanno caso, non la gustano, non ne hanno nostalgia e non la favoriscono negli altri. Per questo, c'è una vita religiosa che può arrivare a mancanza di religiosità. Separare azione e contemplazione alimenta una ingenuità: può esserci una contemplazione atea (simbolicamente quella degli scribi) e un'azione atea (quella del fariseo). Ciò che unisce la preghiera e l'azione è la fonte da dove l'una e l'altra scaturiscono, la grazia che viene solo da Dio ossia la verità della relazione e l'autenticità dell'ascolto della parola. "La domanda da farsi sempre è: la gioia di un atto (o il suo peso) rimanda alla gioia ontologica? Oppure è un oscuramento, una deviazione della gioia ontologica?" (4). "La differenza tra l'anima beata e l'anima miserabile è opera soltanto della differenza dell'amore. Nella prima l'amore conforme a natura conserva e mantiene la sua dignità naturale, nella seconda invece degenera nell'animalità bestiale della carne" (5).
C'è poi anche un certo smarrimento di fronte a valori umani considerati riferimenti fondanti per la vita religiosa. Perché si arriva in comunità venendo da un mondo che anche sui valori viaggia su altri criteri.
Il nostro mondo vive una doppia crisi: sul significato di essere cristiano e sul significato di essere umano. Oggi si parla di epoca post-moderno come epoca del post-umano (6), da più punti di vista e la cosa ci potrebbe fare riflettere perché indica un futuro al cristiano.
Dal punto di vista psichico (7) ci deve fare pensare il segnale dell'aumento delle forme di depressione e l'aumento delle forme di dipendenza (da internet, da droghe, da sesso, da cibo, da gioco). Come anche la constatazione della scomparsa del senso del peccato mentre aumenta il senso di colpa con i suoi effetti devastanti. Senso di colpa che non si fa più risalire ai miti fondatori del passato: il complesso di Edipo non ha più senso in una società che rimuove ogni limite al desiderio e che fa scomparire le figure di padre e di madre, maschio femmina. Ma anche lì dove le figure dei genitori rimangono, questi sono ormai in un rapporto inverso con i figli rispetto al "padre padrone" del passato. La paura di generare è presentata come paura di essere dipendente, di perdere la libertà. È il figlio il vero "padrone" della vita dei genitori!
Dal punto di vista della conoscenza e della creatività, l'uomo ha sviluppato tanti campi di sviluppo. Non si limita a trasformare la natura perché ormai crea e inventa altre "nature". Se umano significava dominare la natura, post-umano significa non dominare la natura, non accontentarsi di ciò che c'è, ma creare altre nature, altre forme di vita diversa. (OMG, clonazione sono solo alcuni esempi conosciuti da tutti). Ora, la preoccupazione che ci deve animare non riguarda il fatto di creare, ma il fatto che creare senza criterio significa non essere in grado di gestire gli effetti. Come dice Ignazio IV di Antiochia: assistiamo alla "trasformazione della tecnica in destino (...) un fatalismo ineluttabile, come la morte. Fatalismo del fare tutto ciò che può essere fatto senza prima interrogarsi minimamente sulle conseguenze" (8). Non la tecnica, ma la tecnica senza finalità minaccia l'uomo (9) . Il problema teologico è che nell'agire senza criterio l'uomo perde la sua umanità all'interno della quale, la misura del più rispetto al creato è la vocazione in dialogo con Dio, nella contemplazione di Dio Padre e creatore. Paradossalmente, mentre pensa di dominare il mondo, senza Dio, l'uomo sta perdendo il dominio del mondo, apre una voragine che non è in grado di gestire perché non ne ha previsto gli effetti devastanti. Le caratteristiche della libertà e dell'unicità della persona sono oggi messe in pericolo dal loro uso in-sensato. Si riproduce allora ciò che è successo all'inizio dell'umanità: una libertà possibile diventa una schiavitù e un catena di morte! La libertà quando non è orientata all'amore produce dipendenza (da droghe e derivati infiniti), come il volere creare senza limiti esaltando l'unicità di ogni persona porta paradossalmente al desiderio della clonazione di se stessi.
Siamo di fronte a "concezioni antropologiche orientate al primato della potenza (tecnologia, denaro, guerra) e affettivamente radicate nell'angoscia in quanto sentimento della morte come verità onnipresente e ultima" (10). Infatti nessuno di questi nuovi valori post-umani fa i conti con la morte avendo perso il senso di ciò che la trascende e di ciò che illumina di dignità la vita umana. Un mondo e una cultura frantumata ci stanno interpellando. Un mondo dove si è sviluppata la libertà ma non si tiene conto del rispetto della vita, si è sviluppata la scienza ma non si tiene conto della pace, si è sviluppata la tecnica ma non si tiene conto della felicità, si è sviluppata la conoscenza dell'uomo ma non si tiene conto della sua nostalgia di vita eterna.
Vladimir Soloviev (1854-1900) un grande pensatore russo filosofo e teologo, un testimone e un profeta alla fine del XIX secolo scriveva: "Solo una vita e una cultura che nulla escludono e nella loro integralità albergano un grado superiore di unità, assieme al massimo sviluppo della libera pluralità, possono dare una vera e solida soddisfazione a tutte le esigenze del sentimento, del pensiero e della volontà degli uomini ed essere così cultura veramente umana universale o ecumenica, dove è chiaro che assieme e proprio in seguito alla sua integralità questa cultura sarà più che umana e introdurrà gli uomini in comunione attuale con il mondo divino" (11).
Con valori di riferimento incerti, a sentore di naftalina o di deriva postmoderna, i membri difficili creano oggi più scompiglio di una volta nelle comunità. Un gruppo diventato fragile e minuto non è preparato ad integrare soggetti nuovi perché tutta la dinamica della vita è "bloccata" dai soggetti problematici. Se una persona è una crisi, l'effetto è diverso se la comunità è composta di 50 suore o di 3.
L'identità della vita religiosa (femminile) è stata ripensata anche nella ricerca di quella formulazione che ne indicherebbe lo specifico. Si può ancora parlare di stato di perfezione? La perfezione alla quale siamo chiamate come religiose non è forse quella del vangelo che è per tutto? Meglio parlare di vita consacrata? No. Perché ci sono le vergini consacrati, i consacrati laici, e poi c'è chi sostiene che l'unica consacrazione che ci costituisce consacrati è quella del battesimo. Questo vuole forse dire che la vita religiosa in quanto fondata sul primato assoluto del battesimo, non si può attribuire nessuno "di più" rispetto agli altre vocazioni? Tutta la Scrittura parla della radicalità per seguire Gesù. Ogni cristiano è interpellato in questa radicalità. Tanto forte è questa convinzione che "una conclusione si impone": non c'è nella Scrittura una parola chiara per fondare la volontà di Cristo di istituire la vita religiosa così come la capiamo noi (12)!
Ciò che noi capiamo della vita religiosa è frutto e dono della Tradizione!
Nella chiesa Cattolica, la rivelazione considera tre fonti ugualmente ed insieme autorevoli: la Scrittura, la tradizione e il Magistero "E' chiaro che la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che non possono indipendentemente sussistere e che tutti insieme, ciascuno secondo il proprio modo, sotto l'azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime" (13).
L'importanza di ripartire dalla Parola di Dio è per "obbedire" alla sua profezia, ma ci vuole anche un interesse maggiore per la storia e la tradizione che fondarono la vita religiosa. La vita religiosa è nata in Oriente, dove è nata la Scrittura canonicamente fissata, dove è nato "il dogma" linguisticamente costituito. Ossia dove sono state poste le coordinate della vita cristiana e dove è emerso, sì, anche lo specifico della vita religiosa (14). Cioè? Una vita trasfigurata dall'incontro con Cristo in un contesto di decadenza di grandi imperi e scuole di pensiero in stato di insignificanza (15). L'incontro con Cristo crea nella persona un dinamismo di "tensione": "la tensione fra un ideale di purezza ed un ideale di pienezza" (16). Un dinamismo creativo fra lo spirito dell'incarnazione e lo spirito di pentecoste! Lo spirito del mettere radice in una terra e coltivarla e lo spirito del non aver altre radici che la patria celeste e "volare" da un angolo ad un altro del mondo. L'annuncio del vangelo è stato compiuto da uomini "diventati" cristiani e fermi nell'intento di non tornare indietro!
Ecco il punto in cui nasce la vita religiosa: la fedeltà ad un incontro, la radicalità dei mezzi che alimentano l'incontro, la custodia del dono prezioso del battesimo, del perdono. E l'indescrivibile fascino per assecondare la libertà dello Spirito che ha creato forme di "vite" di carità e di alcune "vie" di trasfigurazione. La vita di Antonio, la via del deserto. Per mille anni la cristianità si alimenta alla fonte di queste "vite" come alla fonte del dogma dei concili che non sono altro che la "verbalizzazione" dell'esperienza dei "santi padri" della fede della Chiesa. Il legame fra vita coerente e convincente, dogma professato e difeso, evangelizzazione per contagio di positività e dignità, ecco la forza della prima comunità cristiana: testimonianza che si fa vedere e parola che si fa ascoltare. Sono stati la testimonianza e la parola a generare i carismi nella vita religiosa. C'è quindi un vero culto per la vita dei santi fondatori a contatto con tutte le miserie della società: la violenza, l'ingiustizia, l'immoralità, l'ignoranza, le calamità naturali. La Chiesa ha sempre bisogno di profeti e di mediatori che indicano.
Mediatore non significa essere più degli altri. Significa essere in mezzo, essere un mezzo. Se una dignità va riconosciuta alla vita religiosa, è proprio la dignità di essere un mezzo fra la radicalità del battesimo come chiamata rivolta a tutti e la radicalità della profezia come compito affidato ad alcuni per tutti. La fuga mundi ha per scopo, come si sa, non di negare il mondo, ma di ridare al mondo la sua originaria bellezza e bontà cominciando da un pezzo di terra coltivata e feconda, da un gruppo di uomini "coltivati" e fecondi. Terra condivisa, senza proprietà personale, persone condivise senza il possesso dei legami matrimoniali. La povertà e la scelta del celibato sono il nucleo principale delle origini della vita religiosa. Povertà per condividere i beni del Regno, castità per condividere l'amore divino.
Jean-Marie Tillard parlava del danno di una riduzione nell'interpretazione del carisma e di parole "stereotipate" sui voti (17). Nella storia si sa, i tre voti emergono lentamente (18) e si impongono autorevolmente. La Tradizione ce li trasmette come il minimo indispensabile per capire la vita religiosa, sapendo che ci vuole ben altro e di più per viverla. L'incontro del Cristo Risorto, l'amore folle dello Spirito Santo, la nostalgia del Padre che è nei cieli. E la sapienza di custodire il dono del battesimo.
Il pericolo è di ridurre la vita religiosa al minimo dei voti, di ridurre i carismi al servizio del bene della società. Il carisma non è un pezzo del vangelo che si può staccare dall'integralità della parola e della persona di Cristo. Chi ha cura del povero, non può per questo diventare indifferente alla cultura o non avere compassione per le malattie delle consorelle. L'integrità del vangelo, o l'integrità della sapienza avvicinano il credente alla vera castità, dono e impegno per eccellenza. La castità è la lo splendore della persona che nel corpo lascia vedere la luce che la inabita.
Abbiamo cominciato questa riflessione parlando del corpo offerto per un culto spirituale, un corpo che quando è trasparente alla parola che lo anima, diventa splendente di divinità. "Per un istante, il giorno della Trasfigurazione, Pietro, Giacomo e Giovanni contemplano la meraviglia di una carne divinizzata, di un volto da cui traluce lo splendore della vita eterna: il volto di Cristo risplende di tutta la luce di Dio. Ne consegue che il corpo umano può essere trasfigurato e che anche esso ha un messaggio di luce da comunicare (...). Il nostro corpo ha una vocazione spirituale, una vocazione divina. Il nostro corpo è il primo vangelo, perché la testimonianza della presenza divina in noi deve passare attraverso l'espressione del nostro volto, attraverso la nostra apertura, la nostra benevolenza, il nostro sorriso. In noi c'è quel sole interiore che è la gloria di Gesù Cristo. Ciò che è esaltante nell'uomo è questo: egli può, anzi, è chiamato a rivelare Dio. In noi c'è una bellezza segreta, meravigliosa, inesauribile. Cristo non è venuto soltanto a salvare le nostre anime. Cristo è venuto a rivelare all'uomo Dio, a rivelare all'uomo l'uomo, è venuto a realizzare l'uomo in tutta la sua grandezza, la sua dignità, la sua bellezza. Siamo chiamati alla grandezza, alla gioia, alla giovinezza, alla dignità, alla bellezza, alla irradiazione di Dio, alla trasfigurazione di tutto il nostro essere comunicando con la luce divina. Portiamo in noi il tesoro della vita eterna, la realtà di quella presenza infinita che è il Dio vivente. Oggi e in tutti gli istanti della nostra vita siamo chiamati a esprimere Dio. Dimentichiamo tutta la nostra negatività, tutta la nostra pesantezza, tutta la nostra fatica, la nostra stanchezza, i nostri limiti e i limiti degli altri. Che importa tutto ciò dal momento che Dio è in noi, che Dio è vivente, che ci ha fatto dono del suo canto, della sua grazia e della sua bellezza, dal momento che oggi dobbiamo entrare nella nube della Trasfigurazione per uscirne rivestiti di Dio, portando sul nostro volto la gioia del suo amore e il sorriso della sua eterna bontà?" (19).

Michelina Tenace

(da una conferenza all'USMI di Milano)

Note

1) Francesco Rossi de Gasperis, Pratica attuale del discernimento negli esercizi spirituali e nella vita, in Il discernimento spirituale del cristiano oggi, ed. FIES, Roma 1984, p. 101.
2) Cfr. Dossier de la Commission théologique de la CORREF, L'identité de la vie religieuse, Proposition théologique, Janvier 2011, p. 5-8.
3) Cfr. Enzo Bianchi, Si tu savais le don de Dieu, Lessius, Bruxelles 2001, p. 42.
4) H. Urs von Balthasar, La gloire et la croix. Les aspects esthétiques de la révélation. I Apparition, ed. Aubier, Paris 1965, p. 208.
5) Guglielmo di Saint Thierry, La natura del corpo e dell'anima, 121, a cura di Alberto Siclari, ed. Nardini, Firenze 1991, p. 137.
6) Cfr. interessante raccolta di studi in Ignazio Sanna, ed. La sfida del post-umano. Verso nuovi modelli di esistenza, ed. Studium, Roma 2005.
7) Per tutta questa riflessione sul post-umano dal punto di vista della vita psichica riprendo alcune considerazioni di F. Mele, La società post-nevrotica, in Ignazio Sanna ed. La sfida del post-umano. Verso nuovi modelli di esistenza, ed. Studium, Roma 2005, p. 183-198.
8) Ignazio IV di Antiochia, Sauvegarder la création, mieux: l'embellir, la spiritualiser, la transfigurer,  «Service Orthodoxe de Presse», Avril 1989, p. 20.
9) Occorre "esorcizzare il totalitarismo inconfessato ma invadente di una tecnica senza finalità". Ignazio IV di Antiochia, L'arte del dialogo. Con la creazione, gli uomini, le chiese, Magnano (BI) 2004, p. 95.
10) R. Mancini, Il nuovo incontro di antropologia e teologia, in Ignazio Sanna, ed. La sfida del post-umano. Verso nuovi modelli di esistenza, ed. Studium, Roma 2005, p. 272.
11) V. Soloviev, I principi filosofici del sapere integrale, in Sulla Divinoumanità e altri scritti, Milano 1971, p.51-52.
12) "La lettre de l'Ecriture ne porte pas de parole du Seigneur ou de témoignage apostolique à ce point directs et limpides que l'on pourrai y voir une expression d'une volonté du Christ portant explicitement sur la vie religieuse". J. M. Tillard, Devant Dieu et pour le monde, Cerf, Paris 1974, p. 152.
13) Costituzione Dogmatica Dei Verbum n. 10. Leggiamo: "La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa"; "L'ufficio di interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa è stato affidato al solo Magistero vivente della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo". Questo "Magistero però non è al di sopra della Parola di Dio, ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l'assistenza dello Spirito Santo, piamente la ascolta, santamente la custodisce e fedelmente la espone, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone da credere come rivelato da Dio".
14) Cfr. M. Tenace, L'homme transfiguré par l'Esprit. Lumière de l'Orient sur la vìe consacrée, Lessius, Bruxelles 2005.
15) Cfr. M. Tenace, La tradizione, memoria e "laboratorio di risurrezione", in Teologia pastorale a partire dalla bellezza, ed. Lipa, Roma 2005, p. 353-399.
16) Y. Congar, La Tradizione e la vita della Chiesa, Milano 2003, p. 159-160.
17) J.M. Tillard, Devant Dieu et pour le monde, Cerf, Paris 1974, p. 85-89.
18) Cfr. Eutimio Sastre Santos, La vita religiosa nella storia della Chiesa e della società, Ancora, Milano 1997.
19) M. Zundel, Ta parole comme une source, Sillery 1998, p. 228.

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Letto 8157 volte Ultima modifica il Giovedì, 26 Aprile 2012 18:06
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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