Soltanto chi sente veramente la densità della propria tenebra può attuare in sé la Redenzione, e soltanto chi, per lo sgomento delle tenebre, ha sognato il Redentore può trovarlo.
Le tre letture della terza domenica di Pasqua insistono sulla necessità di un’intima conversione da parte dei singoli uomini, se vogliono rendere operosa in loro la liberazione dal male portata da Gesù Cristo. «Pentitevi e cambiate vita» (At 3, 19); «Chi dice: Lo conosco, e non osserva i suoi comandamenti è menzognero» (1Gv 2, 4); «Nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati» (Lc 24, 47).
L’insistenza sulla necessità di unire il cambiamento della vita personale all’accoglienza della Parola di Cristo merita un approfondimento. La linea di ricerca è questa: è l’accoglienza mentale della Parola che provoca il cambiamento della mente, oppure sono le energie vitali del Risorto, mediate dall’annuncio della Risurrezione, a risvegliare e a trasformare la coscienza personale? Stando alle frasi scelte dalle letture di questa domenica si può avere un’accettazione mentale delle Parole del Risorto senza che il desiderato mutamento di coscienza avvenga; «Chi dice: Lo conosco, ma non traduce nella vita il contenuto della conoscenza è un ipocrita».
Possiamo quindi stabilire l’itinerario che va dall’accoglienza della Parola al risveglio coscienziale nelle seguenti tappe: ascolto e ricezione mentale della Parola, accoglienza delle energie di risurrezione di cui la Parola è il supporto, trasformazione della coscienza. Tenendo conto di questo itinerario si possono chiarificare due termini con i quali ordinariamente designiamo l’opera redentrice della Parola incarnata: Salvezza e Redenzione. Usiamo indifferentemente i due termini, nel nostro linguaggio ordinario, senza pensare che indicano due momenti di un’azione separata. Colui che salva può benissimo non redimere, colui che redime può non salvare con la sua azione.
Sosteniamoci con un esempio: se uno schiavo cade nell’acqua e non sa nuotare, annegherà di certo. Se qualcuno, capace di nuotare e di trarlo in salvo, si fermasse a trattare con il padrone il riscatto dello schiavo non farebbe ciò che quest’ultimo richiede: esser tirato fuori dall’acqua. Anche noi siamo nelle identiche condizioni: stiamo annegando nelle nostre debolezze, negli smarrimenti, nelle avidità, nei condizionamenti in noi indotti fin dal seno di nostra madre. Mentre stiamo annegando in questa desolazione, abbiamo bisogno di qualcuno che ci salvi, che ci tiri fuori dal gorgo; salvezza che è, in questo caso, coercizione, violenza che ci viene fatta dall’esterno. Ad esempio, Mosè che fa uscire il suo popolo dall’Egitto è un salvatore.
Sotto questo aspetto, tutti gli istruttori che hanno preceduto Cristo, si possono considerare dei salvatori: essi lanciano un gavitello allo schiavo che annega, qualche volta l’afferrano per i capelli e lo portano di forza alla riva. Quando dei riflessi vengono sostituiti con altri riflessi, delle abitudini con altre abitudini, dei comandamenti con altri comandamenti, viene esercitata una coercizione, sia pure a fin di bene. Ma lo schiavo strappato all’onda rimane schiavo, una volta tratto in salvo non si sentirà allo stesso livello del salvatore, rimarrà schiavo.
In questa luce vanno intese le parole di Gesù: «Tutti quelli che sono venuti prima di me, sono ladri e assassini» (Gv 10, 8). Quelli che sono venuti prima della Buona Novella hanno operato e operano in questo modo: salvano la vita dell’anima, sostituendo un riflesso condizionato con un altro riflesso, mutando un atteggiamento esteriore con un altro, non rendendo l’anima cosciente di se stessa. Il salvatore esercita un sottile potere sui salvati, il redentore paga il riscatto consumandosi nella vita dei redenti.
La Redenzione opera su un differente piano: perché possa compiersi in tutta la sua pienezza, richiede una risposta, una collaborazione. Bisogna che ci sia il redentore, ma anche colui che vuole essere redento; perché se lo schiavo è inveteratamente schiavo, il redentore non potrà mai farlo crescere a sua immagine e somiglianza. In questa luce vanno intese le parole di Cristo: «Non vi chiamo più servi, ma amici» (Gv 14, 15).
La Redenzione non può avvenire senza la volontà di chi deve essere redento, chi è schiavo difficilmente vuole essere liberato. Chi nella schiavitù trova sicurezza, difesa, appoggio, tranquillità, respinge il redentore come un nemico del suo quieto vivere, del suo benessere. Il dramma del Calvario non si è concluso duemila anni or sono: è tuttora in atto!
La Redenzione è insita nella natura stessa dell’anima che porta in sé un frammento della luce divina: «Egli è la luce che illumina ogni uomo che viene all’esistenza» (Gv 1, 9). Se nell’uomo non vi fosse questa luce divina, la Redenzione sarebbe priva di significato. Se eliminiamo la presenza di questo quantum di luce divina dall’anima umana, tutta l’attesa della Redenzione, l’azione stessa redentrice cade, non ha significato; può averlo la salvezza, non la Redenzione.
Il dramma redentivo è questo: la luce della Parola eterna e creatrice viene accolta dalle tenebre e in esse rimane coperta, soffocata, nel maggior numero delle coscienze. L’oscuramento della luce toglie qualcosa di essenziale alla creazione e alla manifestazione divina in essa. La Redenzione è la rianimazione dei frammenti di luce, l’azione rinnovatrice nella materia, per la materia, contro la materia perché essi tornino a costituire la luminosa rivelazione di Dio nel creato.
La Risurrezione ha reso Cristo presente in tutti i punti oscuri della coscienza per rianimarvi la fiammella che stava spegnendosi. Cristo, scendendo nelle tenebre, opera la Redenzione lasciando alle tenebre ciò che è loro, risvegliando e riassumendo la Luce che in esse fu deposta. L’uomo interiore alla presenza di Cristo si rinnova. Cristo distrugge i sogni e le chimere, potenzia l’intelletto e suscita l’entusiasmo del più alto sentire dello spirito.
La Redenzione è illuminazione, è la Luce da Luce che si attua, è il risveglio della propria interiore luce che segna l’inizio del compito umano di crescere alla statura di Cristo.
Soltanto chi sente veramente la densità della propria tenebra può attuare in sé la Redenzione, e soltanto chi, per lo sgomento delle tenebre, ha sognato il Redentore può trovarlo.
Giovanni Vannucci
(in Verso la luce, 1a ed. Centro studi ecumenici Giovanni XXIII, Sotto il Monte - BG, ed. CENS, Milano 1984, pp. 74-77)