III - TRAMITE LE RELAZIONI VERSO UNA COMUNIONE RELIGIOSA
Convinzione di partenza
La comunione è una perfetta carità incarnata nelle relazioni.
I voti riguardano tutte le nostre relazioni. In ogni tipo di relazione, tutta la persona è in qualche modo implicata e ogni ambito di relazione rimanda alla modalità con la quale viviamo un altro ambito. Ogni relazione implica la persona nella sua realtà fisica, nelle dinamiche psicologiche che gli sono proprie e rivela la misura della sua "cristoformità". Le relazioni fanno emergere la vocazione di tutti alla comunione che viviamo esplicitamente in comunità e viceversa, la comunione autentica in comunità arricchisce e rivela il volto della comunione divina in ogni tipo di relazione. Questa è una delle profezie che la vita religiosa ha saputo sempre preferire.
Non è possibile trascurare il fondamento spirituale che vivifica ogni tipo di relazione perché da consacrati siamo chiamati a mettere in gioco tutto noi stessi per fare crescere la comunione. Nel variegato e complesso "registro delle relazioni" (27), ne rileviamo alcune per evidenziare come in ogni relazione va riscoperta la rilevanza più spirituale che la pone al cuore dell'annuncio del Regno.
Uomo-donna uno aiuto da simile verso la somiglianza
La prima relazione che ci viene presentata come teologicamente significativa è quella tra uomo e donna. Ricordiamo i primi capitoli della Genesi: la rivelazione significativa del racconto della creazione è il fatto che l'essere umano è sessualmente identificato come maschile o femminile, e che questo uomo (maschio e femmina) è creato secondo "l'immagine e la somiglianza di Dio". Tale è la vocazione ad immagine: nella relazione con uno diverso diventare una sola carne. Dalla solitudine alla comunione segna il percorso della somiglianza. Questa vocazione è data all'umanità come tale che nella relazione con Dio, il diverso assoluto, sarà chiamata a diventare una sola carne, nell'eucaristia costituendo così la Chiesa, ossia una famiglia di figli. La chiamata alla comunione nella diversità è dunque parte essenziale del significato spirituale dell'unione coniugale in vista della rivelazione della somiglianza. L'immagine che è un dono si esercita nella somiglianza che è un impegno. L'immagine è un dono di comunione già esistente con Dio-comunione-Trinità: la somiglianza è una manifestazione di amore nella concreta accoglienza di un altro, di un "Tu" che ha origine nella carne "simile", e per questo può giungere nella relazione a ricomporre l'essere una carne "unica".
Secondo un tale approccio alla creazione e alla vocazione ad essere una carne sola, la tradizione cristiana ha capito l'amore umano come la capacità di unire la carne diversa tramite l'unione dei sessi che porta a costituire una famiglia (una realtà di comunione) e un figlio (un altro rispetto ai due).
L'immagine di Dio nell'essere umano non è legata alla realtà sessuata mentre la somiglianza, sì. L'immagine rimanda alla comunione, la somiglianza rimanda alla verità della sessualità. La tradizione cristiana riconoscere all'amore umano lo statuto di sacramento, cioè assicura che tramite l'unione fisica di due diversi si realizza la salvezza perché avviene ciò che costituisce l'essenza stessa di Dio: la logica del dono di sé come vita nella Trinità, l'essere Persona nella misura del dono e nella misura in cui il dono è reciproco. Il matrimonio è un sacramento: è sacramento dell'amore che è Cristo stesso (28). Cristo ha manifestato la pienezza del dono e dell'amore nella Pasqua. Per questo, nelle Chiese orientali il legame tra l'amore celebrato e la pasqua è particolarmente sottolineato (29): nel rito di nozze sugli sposi vengono messe delle corone, perché ogni scelta di amore introduce la persona nella categoria dei "testimoni" del Regno. Regalità e martirio, la corona indica insieme la sofferenza del martirio e la vittoria dell'amore che non avrà mai fine perché è vinta nell'amore quella morte che proviene dall'egoismo. L'amore è il sacramento del Regno e per questo, altro aspetto importante, la corona del nuovo regno è simile per gli sposi, per i monaci, per i martiri.
Cosa ci indica questa riflessione? Nella relazione uomo-donna è nascosto un mistero grande per la verità della comunione: si è fecondi nella misura in cui ci si unisce con il diverso; si risuscita nella misura in cui si ama e si perde la vita per amore. Solo l'amore ci rende immagine somigliante di Dio che è amore unità di Tre. Scegliere di seguire Cristo nella vita consacrata, non elimina questa vocazione: liberamente percorriamo con Cristo la via della sua Pasqua.
La vita cristiana degli sposi li predispone alla santità perché sono ad immagine di Dio, a condizione però che essi rimangono nell'amore quando l'amore chiama a realizzare la somiglianza nel dono totale di sé. Allora l'amore prepara il regno di Dio, crea spazi di accoglienza della vita, di godimento dei beni creati, inventa struttura di cura dei più deboli (per i troppo piccoli o per i troppi anziani), assicura una dignità per tutti. L'amore crea la famiglia, la società, la Chiesa. Dalla concezione dell'amore fra uomo e donna dipende il destino di una persona, di una civiltà e dell'umanità. "La debolezza e l'incoscienza del nostro amore deforma il vero ordine delle cose" (30).
La forza dell'amore è "la restaurazione visibile dell'immagine di Dio nel mondo materiale" (31).
La vocazione religiosa va capita su questo sfondo. Non sposarsi è la prima decisione che ha un significato spirituale: significa aver scoperto che un Altro (Dio stesso) mi ama e che a questo Altro è unita la mia diversità (di creatura). Quindi rimane la vocazione delle origini, quella di diventare una sola carne nella diversità, rimane la vocazione ad essere persona nella misura dell'amore come dono totale di sé, rimane la realizzazione della somiglianza nell'essere di Cristo. Nessun Altro è tanto diverso dalla creatura che Dio stesso, eppure nessun altro è tanto della stessa "carne" che Dio stesso in Cristo. La sua carne infatti ci rende vivi.
La comunione è possibile perché siamo stati creati uomini e donne in vista dell'amore. Il peccato ha ridotto la diversità ai due sessi e l'unità all'esercizio della sessualità nei parametri della creazione di altre creature e non nella generazione di figli di Dio .Proprio perché non si sposano e non esercitano la sessualità generatrice di creature, i religiosi generando figli di Dio ricordano che il senso della creazione maschio e femmina era la somiglianza con Dio che è amore.
Padre-madre: morti a seppellire?
La relazione cronologicamente prima e fondante è quella nella quale ognuno viene al mondo: si nasce in uno spazio sacramentale, si nasce come espressione e incarnazione dell'amore. La sicurezza esistenziale che rappresenta la figura paterna e materna è dunque profondamente teologica: non sarebbe possibile nascere, vivere e crescere senza un ambiente sacramentale che dà alla vita la speranza di una qualità umana e divina.
Quando si tratta del rapporto con i genitori, Gesù sconvolge ogni logica chi si vorrebbe solo umana. Non chiamate nessuno né padre, né madre. Nella relazione con il padre o con la madre vi è il pericolo di una identificazione della vita con quanto ci viene trasmesso da loro, cioè una vita da creatura. Il religioso "non accetta nessun quadro abituale per definire l'identità" (32), né sua, né degli altri. Non chiamare nessuno padre e madre significa che la persona umana non può essere ridotta ne identificata con l'essere creato, perché Dio non ci ha creati, ci ha "predestinati ad essere suoi figli", ad essere santi per la partecipazione alla sua santità. Dunque, ogni essere umano è più di uno che ha o non ha una madre perché ha la vita del Padre celeste; ognuno di noi è più di uno che ha o non ha avuto un padre e dei fratelli, delle sorelle, perché ha ricevuto Cristo e con lui una familiarità con Dio e una famiglia vera che è l'umanità intera. Mentre nel matrimonio l'uomo e la donna sono chiamati a rendere eterno un amore umano, nella vita religiosa si è chiamati a rendere umano un amore eterno! "I religiosi sono chiamati a vivere nello Spirito, un movimento opposto e complementare ... sono chiamati a vivere nella carne ciò che non viene dalla carne" (33).
Per questo, padre, madre, maestro possono indicare "luoghi di morte", ossia relazioni in cui uno si identifica con la vita dell'Adamo ferito e non con Cristo primogenito di coloro che risuscitano dai morti, di coloro cioè che possono essere rigenerati a figli dall'amore di Dio, ossia dal battesimo.
Cosa ci rivelano queste riflessioni? Che nelle relazioni noi diciamo quale è la vita annunciamo come fondante. E da questo scaturisce uno stile di vita e uno stile di comunità. Il battesimo invece introduce in uno stile di vita e in una cultura nuova: lo stile di vita di Cristo. Dal battesimo, la cultura che hanno saputo creare i santi li manifestava liberi dai condizionamenti della famiglia, della società, libera dalla storia che la loro vita aveva fin'ora prodotto. Senza essere "marito" o "moglie", rimaniamo uomini e donne in relazione senza cercare una discendenza fisica. senza identificarci con la discendenza fisica dalla quale proveniamo.
Padre e madre sono "morti da seppellire" se ci impediscono di vivere la vita eterna, la vita divina, la vita dello Spirito. Le parole di Gesù vanno dunque capite come invito a passare dalla coscienza della vita che viene dai genitori alla coscienza di possedere in noi il dono della vita dello Spirito da fare crescere. Questa vita va onorata. Ogni consacrato può capire applicare a se queste parole di san Gregorio Palamas: "onora quelli che ti hanno generato nello Spirito, ti hanno fatto passare dall'essere all'essere-bene, ti hanno fatto partecipe dell'illuminazione della conoscenza, ti hanno istruito nella rivelazione della verità, ti hanno rigenerato mediante il lavacro di rigenerazione e hanno posto in te la speranza della risurrezione e dell'immortalità, del Regno che non ha fine e dell'eredità, e ti hanno fatto da indegno degno dei beni eterni, da terrestre ti hanno reso celeste, da temporaneo ti hanno fatto eterno, figlio e discepolo non di un uomo, ma del Dio-uomo Gesù Cristo che ti ha donato uno spirito da figli adottivi, e che ha detto: Non chiamate nessuno padre sulla terra né maestro, perché uno solo è vostro padre e Maestro, Cristo". Per questo motivo : "Ti impegnerai per tutta la vita ad avere un padre spirituale" e "non ti stancare di interrogare e di ascoltare i tuoi nello Spirito perché sia salvata la tua anima e tu divenga erede dei beni eterni e puri"(34) .
Essere fratelli: un dono e una sfida
Entrare nella vita religiosa significa impegnarsi in una doppia alleanza: con Dio con gli altri. Rispetto a Dio e rispetto agli altri si emettono i voti propri ad un carisma. Nella relazione con Dio si custodisce la vita ad immagine, nella relazione con gli altri si manifesta la somiglianza. Qui c'è una difficoltà quando si parla con troppo faciloneria della fraternità.
Sulla fraternità c'è poco da sognare (35).
La storia ci racconta abbastanza che nell'umanità i figli della stessa madre e dello stesso padre non sono capaci di essere fratelli. La Sacra Scrittura anche sembra parlare solo di questo. Dio è Padre e gli uomini sono dei figli che non sanno vivere da fratelli o dei fratelli che non vogliono avere un Padre. Quasi tutti gli esempi di fratelli nella Sacra Scrittura sono esempi tragici: Caino e Abele, Esaù e Giacobbe, il figlio prodigo del fratello tirchio. Sono pochi gli esempi di fratelli edificanti, a parte i sette fratelli che muoiono per la loro fede perché solo di fronte alla morte si ridimensiona la meschinità delle rivalità. Infatti, la fratellanza universale si manifesta di più nelle occasioni in cui la vita è minacciata e il quando la solidarietà si rivela unica ancora di salvezza.
Bisogna dirlo, la fraternità è difficile, anche in comunità religiose. Perché? Il fratello/la sorella si riceve così come è, non si sceglie di averlo, né di avere proprio lui. Si subisce, si sopporta, si ama o no, comunque sia, non se ne può liberare. Neanche se viene eliminato. Caino rimane nella storia e per l'eternità, il fratello assassino di Abele, anche quando Abele scompare dalla scena!
La vera fraternità a cosa somiglia allora? All'eucaristia. A quella struttura tramite la quale si manifesta l'amore di Dio, ossia è quella realtà che è creata con la morte e la risurrezione di Gesù. La fraternità non è lo scopo della vita da redenti; lo scopo è di entrare nella gioia del Padre che ama tutti i figli! Lo scopo è arrivare alla comunione della Santissima Trinità passando dalla fraternità, dono rivelato dalla croce, perché il Figlio prediletto ha amato il Padre e ha dato la sua vita per amore dei suoi fratelli, perché il Padre nostro è il Padre suo. Cristo ha manifestato di essere Figlio e di essere fratello proprio mentre moriva per noi. Ha anche manifestato la vera immagine del Padre, ha rivelato la potenza dell'essere figlio che nessuno può uccidere (il fatto di essere Figlio dipende solo dal Padre e dall'amore del Figlio), ha manifestato la verità della Risurrezione. Si risorge come figlio, e si fa risorgere i fratelli mentre si rivela il Padre.
La conoscenza del fratello o della sorella deriva dal riconoscere il Padre unico. Perciò la categoria spirituale nella quale ci introduce la fratellanza è l'accoglienza e non l'elezione o la tolleranza. Non scegliere significa essere posto di fronte ad un dono che nella libertà accolgo o rifiuto, non solo il dono, ma anche il donatore. Siamo tanto più maturi, quanto più sappiamo accogliere e riconosce la fonte del dono. Chi sa accogliere il fratello così com'è, impara ad amarlo in verità e questo amore potrà diventare forza di trasformazione e rivelazione di una relazione più profonda, quella con il Padre.
Il carattere tragico della fraternità è la perdita del senso dell'amore del Padre e si manifesta come gelosia. Nelle comunità religiose la gelosia ha generato l'ideologia dell'uguaglianza: bisogno essere uguali, avere tutti stessi diritti, stessi doveri, stesse vacanze, stessi studi ecc ... Nel cuore dell'essere umano c'è una ferita sempre aperta, quella di identificare l'essere con l'avere, e nell'avere paragonarsi all'altro per non trovarsi in meno. La parità è difficile da trovare, perché è cercata sempre a dei livelli che non sono quelli dell'amore del Padre. La fraternità può essere dunque un inganno se non aspira alla manifestazione della libertà dei figli di Dio e della "consostanzialità" di Cristo con ogni uomo. In Cristo si rivela "l'unità ontologica di tutti gli uomini" (36) che ci fa fratelli.
Questa è la nostra vocazione e la nostra missione. Il massimo che ci è chiesto è testimoniare di essere figli. Ignazio di Antiochia di fronte al martirio non accetta di accontentare i fratelli. Per lui è chiaro: prima di tutto è figlio del Padre che gli permette di consegnare la vita fisica per manifestare la vita divina. Vive il fondamento della fratellanza testimoniando di essere figlio.
La parola fratellanza non è quindi una parola che evoca una certa qualità di socializzazione. Le opere di carità testimoniano che siamo tutti fratelli, e questo è un bene, ma non è lo scopo ultimo. Se l'altro, attraverso questa testimonianza, non scopre che Dio è Padre, che lui è amato e dunque chiamato a vivere da figlio, allora la fraternità o la missione non portano frutto di salvezza, ossia non hanno rivelato l'amore che sana dalla paura della morte, guarisce dalle malattie e salva dal peccato. Florensky dice che quando una persona arriva a capire "la propria impotenza e instabilità" allora può dire a Dio: "Signore Tu sei la mia fortezza, Tu sei la mia forza! Col tuo amore legami perché altrimenti mi disintegro e divento proprio (come un) complesso di stati psichici" (37).
La fratellanza cristiana non sia dunque un complesso di stati psichici che si disintegrano, ma una testimonianza di essere legati alla stessa fonte di vita. I voti rafforzano il legame ontologico fra gli uomini, non più uniti per i legami di sangue, di interessi, ma dalla stessa volontà di "fare la volontà del Padre".
L'amicizia, via della chiesa e simbolo della vita cristiana
Contrariamente al fratello, l'amico si sceglie (almeno così si crede) e molti autori spirituali sarebbero d'accordo per dire che più che la fratellanza, "l'amicizia è il paradigma della vita cristiana" (38). La tradizione cristiana ha familiarità con il tema. Il breviario latino presenta nell'ufficio delle letture del 2 gennaio una pagina commovente sull'amicizia fra due santi, Gregorio di Nazianzo (+390) e Basilio di Cesareo (+380), vescovi e dottori della Chiesa, festeggiati lo stesso giorno. Il santo Teologo dopo la morte dell'amico, separato da lui, si considera "morto per metà e diviso in due parti" (39). A Basilio in una lettera aveva scritto: "c'è una sola primavera fra le stagioni, un unico sole fra gli astri, un cielo solo che abbraccia ogni cosa, una sola voce che predomina su tutto: la tua" (40).
"Come nascita misteriosa del Tu, (l'amicizia) è l'ambiente nel quale incomincia la rivelazione della Verità" (41) perché "l'amore reciproco ha potere di rivelazione" (42), è fondamento della missione e dell'annuncio. "Nulla, davvero nulla, è tanto possente come il legame dello spirito" (43).
Quale ricchezza porta alla comunione, la relazione di amicizia fra consacrati? È una relazione fra persone con una identità sessuale, un patrimonio psico-somatico ereditato e costruito. una ricca sfumature di attese, frustrazioni, proiezioni, sublimazioni, ecc.
Dal punto di vista vita spirituale, possiamo indicare due verifiche perché l’amicizia favorisca la comunione: la verità sulla vocazione e la fecondità nell'apertura all'universale.
La verità della vocazione e la verifica della castità
Aelredo de Rievault, santo cantore dell'amicizia, ribadisce che l'amicizia fra consacrati è chiamata ad oltrepassare sia le fantasie della sensualità, sia i capricci del sentimento (44). Perciò può affermare che la vera amicizia è una scuola della castità. La relazione di amicizia fra consacrati ha come "base iniziale la purezza dell'intenzione, il magistero della ragione e il freno della temperanza: il senso di piacere intenso che si aggiungerà a queste cose, sarà certamente sperimentato come dolcezza, senza per questo cessare di essere un affetto ordinato" (45).
L'amicizia educa i consacrati ad essere legati e liberi insieme, vicini e lontani sempre. "'Sia l'amore che l'amicizia sanno che l'essere amato è nello stesso tempo dato e fuori di portata. L'amore insiste sul 'fuori di portata' e dunque fa i gesti della possessione. L'amicizia si concentra sul fatto che l'altro è dato e fa i gesti della non possessione" (46). L'amore fra un uomo e una donna tende all'unione dei corpi, l'amicizia fra consacrati tende all'unione dei cuori. E secondo la vocazione che conosciamo quale è la mediazione del corpo nella relazione. Ma non solo del corpo: secondo la vocazione conosciamo anche il valore dei sentimenti che sono propri di una relazione. Quando sant'Ignazio scrive a Francesco Saverio una lettera firmandolo con "Totalmente vostro, incapace di dimenticarvi" (47), i sentimenti che esprimono sono da collocare nella relazione di amici nel Signore.
Certo, rimane quella componente erotica che è indispensabile alla vita stessa, come desiderio di bene e di godere del bene, godimento del bene che procura la presenza della persona amica nella propria vita, gusto di crescere come persona in relazione e gioia di scoprire in un altro, una fonte di ispirazione per vivere. "L'amicizia ha un carattere ispiratore di eros spirituale" perché è costituita dal "superamento del ripiegamento su se stesso" e si alimento alla "particolare ispirazione reciproca" (48).
L'amicizia non è fondata sui sentimenti ma sull'amore. Sentimenti e amore non si identificano. Anzi: "Amare suppone che si salga su un monte: il monte dei propri sentimenti e dei propri desideri, cioè amare suppone che si superi ciò che si prova. Spesso sono i nostri sentimenti ad impedirci di amare, perché o amiamo solo in funzione di ciò che ci piace, o non amiamo a causa di ciò che non ci piace: l'umore (come mi sento e ciò che sento) è il barometro dell'amore se ci limitiamo ad amare in funzione dei sentimenti che proviamo... i sentimenti cambiano con i cambiamenti dell'uomo, (con) il via vai dei desideri e dei bisogni..." (49).
Nell'amicizia fra consacrati non prevale l'attrazione sentimentale o fisica, non si asseconda il sogno di una unione dei corpi: "Vicini come fratelli, separati come fratelli. Esseri che sono spiritualmente fratelli o sorelle possono essere molto vicini, e lo sono per sempre, ma il loro destino, la loro vocazione non è di costruire la loro vita insieme" (50).
L'amicizia ha una alta vocazione e un alto prezzo, ha il suo specifico nella comunione dei "cuori" e nello splendore dei "volti", è una relazione fra "volti" perché il volto è la persona nella sua più profonda unicità, verità e bellezza.
La perdita del senso della propria vocazione, della verità di se stesso e dell'altro è un pericolo per l'amicizia mentre la grazia dell'amicizia fa entrare nella terra promessa dello Spirito, dove c'è verità e carità, compassione e timore, familiarità e distanza.
La verifica della fecondità: non nell'esclusività coniugale, ma nell'apertura alla fratellanza universale.
Fecondi lo si diventa in una relazione esclusiva come avviene nel matrimonio. Come i consacrati possono essere fecondi nell'amicizia? Per la via opposta a quella del matrimonio, ossia non nell'esclusività della relazione, ma nell'apertura del cuore. "Rallegriamoci perché le nostre amicizie sono state il fiume che ci ha resi fertili" (51).
Generalmente, si pensa che il valore dell'amicizia è tanto più grande quanto più l'amico è detto "unico". L'amicizia è unica rispetto a tutte le altre modalità di relazioni, certo. Ma nell'amicizia cristiana, ogni amico pur nella unicità della relazione che lo lega all'amico, non può essere l'unico. Nell'amicizia, lo Spirito è dono di comunione e apre all'universale, non chiude sul particolare.
È proprio del dinamismo dello Spirito il fatto che un amore particolare diventa universale, il fatto cioè che "in ogni amore, possiamo fare spazio a Dio affinché egli vi dimori" (52). Allora è superato il rischio di fare dell'amicizia una specie di egoismo vissuto a due, un amore rivolto più all'immagine di sé nell'altro che veramente ad un altro come tale tramite il quale incontro tutti, il tutto.
"Il tu che incontro nell'amico in quanto alter ego è in qualche modo la porta che mi apre all'umanità in genere" (53). Nell'amicizia vera il terzo deve essere sempre presente, o atteso, o accolto, o invocato. Il libro di Aelredo de Rievaulx sull'amicizia comincia col precisare che mentre scrive, sente che è presente lui, l'amico e "un terzo in mezzo a noi, il Cristo" (54).
La prova di autenticità dell'amicizia, la prova della presenza del Terzo. La forza che fa durare ogni relazione è la capacità di aprirsi all'amore per il non amabile, per il nemico. Scrive sant'Agostino: "beato chi ama te, e il suo amico in te, e il suo nemico a causa di te" (55).
"Venga il tuo Regno", lo sappiamo, è sostituito in alcune varianti del Padre nostro con "Venga il tuo Spirito". Lo Spirito Santo e il Regno è la comunione. Per lo Spirito possiamo chiamare Dio Abbà, Padre, e in lui possiamo riconoscere l'altro come immagine di Dio in cui abita lo Spirito. La relazione se è legata alla manifestazione dello Spirito Santo è consolazione, è ecclesialità, è gioia.
Conclusione: Quale spiritualità della comunione?
In ogni relazione, se viviamo la vita nello Spirito, partecipare alla missione della Chiesa nell'immolazione, nella compassione, e nella glorificazione di Cristo.
- Nell'immolazione: perché la vita religiosa fa entrare nella logica dell'amore, ossia della Pasqua. Non si capirebbero i voti senza il loro legame con la vocazione all'amore che chiede la radicalità della risposta nel dono totale di sé, in perdita, per acquisire l'amore con il quale si ama, che è l'amore di Cristo, lo Spirito.
- Nella compassione: perché la compassione, la misericordia ci fa essere come Dio il Misericordioso (Mt 5,7). Se siamo capaci di compassione vuol dire che abbiamo scoperto l'amore di Dio nei nostri confronti. La misericordia di cui ha fatto esperienza il peccatore perdonato diventa compassione nei confronti degli altri. In questa compassione trova senso la vita di fraternità: far entrare ogni essere umano nel raggio della luce divina, nell'abbraccio del Padre che è la gioia perfetta.
- Nella glorificazione anche perché il credente è chiamato a vivere in anticipo la gioia del Regno, la caparra della risurrezione, il principio di vita nuova è già seminato nella vita quotidiana apparentemente non trasfigurata. Si parla di azione o di contemplazione incessante nella misura in cui diventa possibile questa doppia verità che "tutto giova a colui che ama Dio" e che "niente può separare l'uomo da Dio". "Sembrerebbe che non ci basti sapere di essere figli del Dio altissimo e resi a sua immagine e somiglianza per cogliere la nostra dignità ed essere felici. Evidentemente il cuore (o il tesoro) della persona, in questi casi, è altrove. Nel posto sbagliato, o... fuori posto" (56).
La comunione è una glorificazione e per questo ha un fascino che attira: "Una fraternità senza gioia è una fraternità condannata a morire. Infatti, ben presto i suoi membri andranno a cercare altrove quello che non possono trovare a casa loro. Lo sheol non ha mai attirato gli uomini" (57).
I Padri del deserto parlano dell'inferno come di un luogo di non comunione, ossia di un luogo in cui non si vedono mai i volti. Vedere il volto è l'aspirazione al paradiso, è la salvezza. Nella liturgia si realizza la comunione perché ci è rivelato il vero volto di Dio: Gesù morto e risorto per amore. Nella liturgia si realizza anche la comunione dei santi, si prega per i vivi e per i morti, per i bravi e per i peccatori. Tutti. Tutti in comunione, lo siamo solo nella liturgia. Unica comunione che merita di essere presa in considerazione e che fonda ogni altra comunione perché la alimento e la modella. Ora, proprio dalla liturgia, sappiamo che la comunione ha sempre a che fare con la Pasqua e con la bellezza della trasfigurazione.
La bellezza è arte di trasfigurare il reale da materia muta a materia che parla, da opacità a epifania. Bellezza e comunione sono dunque ambiti di manifestazione del divino.
È la bellezza che crea comunione.
E viceversa, la vera comunione è una manifestazione della bellezza.
Michelina Tenace
(da una conferenza all'USMI di Milano)
Note
27) Cfr. M. Tenace, Colori e sfumature delle relazioni, in Consacrazione e Servizio, settembre 2010.
28) T. Spidlìk, La concezione cristologica del matrimonio nelle liturgie orientali, in "Bessarione", 1 (1979), Roma, p. 139-152.
29) Alcuni testi significativi sull'argomento: V. Soloviev, Il significato dell'amore e altri scritti, Milano 1983, p. 73-157. P. Evdokimov, Sacramento dell'amore. Il mistero coniugale alla luce della tradizione ortodossa, Servitium Editrice, Sotto il Monte, Bergamo, 19993; S. Averincev - M. I. Rupnik, Adamo e il suo costato. Spiritualità dell'amore coniugale, Roma, 19972.
30) V. Soloviev, Il significato dell'amore, Milano 1983, p. 113.
31) V. Soloviev, Il significato dell'amore, Milano 1983, p. 110.
32) Timothy Radcliffe, Que votre joie soit parfaite, Cerf, Paris 2002, p. 128.
33) Cfr. Dossier de la Commission théologique de la CORREF, L'identité de la vie religieuse, Proposition théologique, Janvier 2011, p. 32.
34) Testo V, "Commento ai dieci comandamenti". In Gregorio Palamas, L'uomo mistero di luce increata, a cura di M. Tenace, ed. Paoline, Milano 2005, p. 175-176.
35) Cfr. M. Tenace, Custodi della sapienza, ed. Lipa, Roma 2008, p. 75-98.
36) S. Bulgakov, ll Paraclito, EDB, Bologna 1989, p. 536-538.
37) P. Florensky, Colonna e fondamento della verità, Milano 1974, p. 224.
38) C. Morris, La scoperta dell'individuo, Napoli 1985, p. 119.
39) Gregorio Nazianzeno, Orazione 43, 80.
40) Gregorio Nazianzeno, Lettera 46.
41) P. Florensky, Colonna e fondamento della verità, tr.it., Milano 1974, p. 456.
42) X. Léon-Dufour, Commento al Vangelo di san Giovanni, p. 395.
43) Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Colossesi, 1,3.
44) Cfr. Aelredo de Rievaulx, L'amicizia spirituale, I, 39, ed. Paoline, Milano 1998, p. 121.
45) Aelredo de Rievaulx, L'amicizia spirituale, II, 58, ed. Paoline, Milano 1998, p. 153.
46) A. Cugno, Jean de la Croix, Paris, 1985, p. 143.
47) Ignazio di Loyola lettera andata perduta citata in P. Emonet, Amis dans le Seigneur. La correspondance entre Ignace, Pierre Favre et François Xavier, in Christus 209 (2006), p. 109.
48) S. Bulgakov, Il Paraclito, EDB, Bologna 1989, p. 541.
49) M.B. Bernard, L'amitié chez Aelred et Augustin, in Collectana Cisterciensia 68 (2006), p. 51.
50) X. Lacroix, Le corps de l'amitié ou la distance habitée, Christus 209 (2006), p. 37.
51) Guillaume Apollinaire, Alcools, Paris 1980, p. 59.
52) T. Radcliffe, "Documentation Catholique", 2 Gennaio 2005.
53) K. Barth, Éthique, vol. I, tr.fr., Paris 1998, p. 238.
54) Aelredo di Rievaulx, L'amicizia spirituale, I, 1, ed. Paoline, Milano 1998, p. 109.
55) Sant'Agostino, Confessioni, IV,9,14.
56) A. Cencini, La gioia, sale della vita cristiana, ed. San Paolo, 2009, p. 35.
57) J. M. Tillard, Davanti a Dio e per il mondo, Alba 1975, p. 275.
Preghiera finale
«Chiunque invocherà il nome del Signore
sarà salvato» (Gl 3,5 ; Rm 10,13).
Quanto a me, non solo lo invoco
ma per prima cosa credo nella sua grandezza.
Non per i suoi doni
persevero nella supplica,
ma perché lui è la Vita vera,
e in lui respiro;
senza di lui non c'è né moto né progresso.
Non tanto dai legami della speranza,
quanto dai vincoli dell'amore io sono attirato.
Non dei doni,
bensì del Donatore, ho sempre nostalgia.
Non alla gloria aspiro,
ma il Signore glorificato io voglio abbracciare.
Non la sete della vita sempre mi consuma,
ma il ricordo di colui che dà la vita.
Non per il desiderio della felicità spasimo,
e nel più profondo del mio intimo piango,
ma per il desiderio di colui che la sta preparando.
Non il riposo io cerco,
ma il volto di colui che placherà il mio cuore supplice.
Non per il banchetto nuziale io sospiro,
ma per il desiderio dello sposo.
Nell'attesa sicura della sua potenza
nonostante il fardello dei miei peccati,
con una speranza incrollabile
e fidandomi nella mano dell'Onnipotente,
credo che non soltanto otterrò il perdono,
ma pure che lo vedrò, in persona,
grazie alla sua misericordia e alla sua pietà
e, benché io meriti in verità di essere proscritto,
che erediterò il cielo».
Gregorio di Narek (944 -1010), Il libro di preghiere, 12,1; Sources Chrétiennes 78, 102.