«Chi entra per la porta è il pastore delle pecore... Io sono la porta...» (Gv 10,2.9).
La bella pagina di Giovanni sulla figura di Gesù vero e buon pastore, che conosce e ama ognuna delle sue pecore e per ognuna è disposto a dare la propria vita, induce quasi con insistenza a pensare con venerazione e gratitudine a coloro che, per amore del Signore e sul suo esempio, sono per noi i veri e i buoni pastori, avendo accolto il grande ma grave mandato di condurci a Dio.
Ce lo suggerisce la stessa pagina evangelica. Infatti, quando Gesù si è presentato come il buon pastore, lo ha fatto con una particolare decisione - per due volte si introduce dichiarando: In verità vi dico - avendo davanti certuni tanto sicuri di sé da ritenersi intoccabili guide religiose del popolo, mentre il Maestro li definisce ciechi riguardo alle cose di Dio.
Già i profeti avevano denunciato con tono vibrante il male gravissimo che viene ai singoli e all'intera comunità quando le guide spirituali, facenti le veci di Dio, vengono meno alloro compito. Ricordiamo Geremia (23,1):
"Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo" e ancor più Ezechiele (34,2.10): "Guai ai pastori che pascono se stessi... chiederò loro conto del mio gregge e non li lascerò pascolare più il mio gregge".
Ma poiché Dio è Dio e ci ama, da sempre è intervenuto con la sua azione provvidente per ridonare al suo popolo guide sicure e sagge. Leggiamo ancora nel libro di Ezechiele (34, 11.15): "Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura ... io stesso le condurrò al pascolo e io le farò riposare". Egli infatti ha sempre suscitato lungo i secoli pastori secondo il desiderio del suo cuore e, come osserva il Crisologo, Gesù, che afferma di essere venuto sulla terra per essere il buon pastore, va anche cercando compagni e collaboratori per portare la salvezza in tutto il mondo; così, prima di salire al cielo, affida le sue pecore a Pietro, perché le guidi in sua vece, con le sue stesse intenzioni e attenzioni, prolungando nel senso completo la sua missione.
È comprensibile perciò che le più belle riflessioni sulla figura e il mandato dei pastori siano quelle sgorgate dal cuore dei pastori santi, quasi espressione spontanea della loro esperienza pastorale e soprattutto della loro unione spirituale con Cristo grande pastore.
Il vescovo Aimone, ad esempio, in un'omelia sovrappone con naturalezza alla figura di Gesù quella dei pastori buoni e le sue caratteristiche al loro stesso servizio: "È chiamato pastore non solo perché pasce e ristora spiritualmente i suoi fedeli, ma anche perché con la sua protezione li difende dai morsi dei lupi. .. Ha dato la vita per le sue pecore, mostrando ai buoni pastori come non debbano temere la morte a vantaggio delle pecore loro affidate. In tempo di pace non si riconosce con facilità quale sia il pastore e quale il mercenario; ma l'arrivo del lupo rivela con quale animo l'uno e l'altro veglino sopra il loro gregge". E conclude: "I pastori devono imitare questo buon pastore, così da amare con cuore puro e sincero coloro che conoscono, avendoli sotto la propria cura. Così riceveranno la ricompensa con tanti e per tanti: quanti ne avranno guadagnati con il loro esempio e la loro predicazione".
Non possiamo però dimenticare che il rimprovero dei profeti e di Gesù si è reso ancora necessario nella storia e s. Agostino ci ha lasciato un lungo discorso sui pastori, proprio per richiamarli alla grave responsabilità del loro ministero. Il santo parla a cuore aperto, quasi coinvolgendoci nella sua trepidazione: "Ora noi che il Signore, per bontà sua e non per nostro merito, ha posto in questo ufficio - di cui dobbiamo rendere conto, e che conto! - dobbiamo distinguere molto bene le due cose... per il fatto di essere cristiani dobbiamo badare alla nostra utilità, in quanto siamo messi a capo dobbiamo preoccuparci della vostra salvezza... i falsi pastori cercano soltanto il proprio vantaggio, non gli interessi di Cristo".
Salga dunque ancora, fervida e fiduciosa, la preghiera che l'abate Aelredo innalzava a Dio nella consapevolezza che la sublime missione affidatagli avrebbe portato frutto solo nell'unione a Cristo buon pastore: "Misericordioso Dio nostro, ascoltami benigno per essi. A questa preghiera mi spinge la missione paterna che mi hai affidato, mi inclina l'affetto, mi incoraggia la considerazione della tua bontà. Tu sai, dolce Signore, quanto li ami, come si effonda in essi il mio cuore, come li ricopra con la mia tenerezza ... Io li affido alle tue sante mani e alla tua tenera provvidenza. Che nessuno li rapisca dalla tua mano, né da quella del tuo servo cui li affidasti, ma perseverino gioiosamente e perseverando ottengano la vita eterna".
Benedettine di S. Maria di Rosano
(da Il Sacro Speco di San Benedetto, n. 2, 2009)
«S. Francesco d'Assisi, poiché ardeva di zelo per le anime, diceva di sentirsi pieno di soavissimo odore e confortato da un unguento prezioso, ogni qualvolta che aveva la notizia che, per la santità dei suoi frati, molti erano entrati in paradiso. Esultava di gioia e ricolmava di benedizioni quei frati, che, con la parola e con l'esempio, avevano indotto i peccatori all' amore di Gesù. Cadeva spesso in tanta mestizia per lo scandalo delle anime buone, da venir meno se la divina demenza non lo avesse sostenuto» (Dalla Vita di s. Francesco scritta da s. Bonaventura).