«Maschio e femmina lì creò: a sua immagine lì creò» (Genesi 1,27 ss.). Con questa scultorea affermazione, la Parola sancisce la necessità della co-presenza maschile e femminile nella condizione umana. Né il maschio (da solo) né la donna (da sola) costituiscono la condizione umana, ma l'essere l'uno-per-l'altro, l'uno 'riferimento' irrinunciabile dell'altro. A tutti e due - a questa coppia - è affidato il compito della sopravvivenza della specie e, inscritti in questo compito, tutti i percorsi di crescita e di pienezza della condizione umana.
Una diversità e duplicità irrinunciabili, tanto che un corpo ermafrodita - con ambedue le anatomie sessuali - non celebra la luminosità dell'integrazione, ma piuttosto l'oscurità della confusione, non il successo di un percorso ma il fallimento del progetto. A tal punto che dovrà essere ricondotto, attraverso laceranti sofferenze, ad un'unica identità sessuale per poter poi ritrovare il proprio destino di riferimento ad altro corpo.
In quest'ottica, l'eunuchia evangelica non è (e non deve risuonare) come negazione del Progetto genesiaco, ma anzi come invito a viverlo in pienezza (1). L'eunuchia di Gesù non significa né propone uno stato di vita autoreferenziale che fa a meno dell'altro (della donna), ma svela il cuore dell'essere coppia: prendersi cura dell'altro, custodirlo annullando ogni pretesa di dipendenza o di dominio. L'eunuchia evangelica non propone uno stato di vita ermafrodita, asessuata. Essa è per il Regno: ci si consegna al Re per custodire la regina (la relazione intima). L'amore eunuco è la pienezza dell'amore: dentro e oltre ogni eros. È apertura all'altro e interdipendenza. Essere casti come angeli e superbi come demoni (Port-Royal insegna) significa tradire profondamente l'eunuchia evangelica. Per tale ragione, oggi, su suggerimento dei biblisti, possiamo pensare che l'invito di Gesù è rivolto a tutti i cristiani. Amare nello stile dell'eunuchia evangelica può esprimersi (a seconda della chiamata dello Spirito) sia nello stato di vita celibatario o di castità consacrata, sia in quello matrimoniale. Gesù di Nazareth risorge non come single, ma come sposo: a Pasqua - come ci ricorda Paolo - la coppia genesiaca non viene abolita, ma 'spiegata': ne viene svelato l'intimo segreto.
La formazione alla vita cristiana (consacrata o matrimoniale) deve fondarsi sul Mistero Pasquale come Mistero Nuziale, ossia Bacio d'Amore tra Cristo e la Chiesa. Bacio dello Spirito che trasforma e dà senso ad ogni umano legame e in cui ci immerge il Mistero Eucaristico (2). Maschile e femminile nella formazione alla vita consacrata è innanzitutto immersione nel Mistero Pasquale che del femminile e del maschile rivela e dona l'intima essenza. Una formazione alienata dal mistero pasquale come "mistero nuziale", e quindi dal progetto genesiaco («Maschio e femmina lì creò») porta verso forme di narcisismo (arrogante o infantile) dei consacrati e di dipendenza e passività delle consacrate.
Proviamo ad indicare alcune declinazioni concrete di tale ermeneutica pasquale-nuziale.
La Parola di Dio ci dice che è misterioso e, nella fattispecie, decisivo conoscere il cammino dell'uomo nel cuore della ragazza (3) (e della donna nel cuore del ragazzo). In una formazione alla castità consacrata è necessario attenzionare l'immagine del 'partner' che ogni formando si porta nel cuore. Come non ricordare la famosa lettera di Giovanni Paolo II sul sacerdote e la donna, del Giovedì Santo 1995, nella quale si offrono le prime indicazioni su questo percorso di maturazione affettiva? (4)
L'esperienza mostra come spesso nei cuori e nella mente dei formandi alberga un modello di coppia che rimanda a sogni infantili, per nulla realistico. Focalizzare la scelta di castità consacrata solo quando si soffre della mancanza di una donna nei momenti della tentazione della carne (come se la donna fosse un giocattolo materno/sessuale, pròtesi dei propri bisogni) o della mancanza del corpo maschile nei momenti di solitudine e di debolezza (come se il corpo del maschio fosse sostegno paterno/sensuale) significa avere un modello di coppia che richiama una relazione materna-sessuale o paterna-affettiva.
A questo punto diventa chiaro che, per formare all'eunuchia evangelica, bisogna contestualmente formare alla nuzialità. Il che comporta l'assunzione e la convinta maturazione di un paradigma mentale costitutivamente relazionale: non vedere il partner nell'ottica del genitore che accontenta o dà sicurezza, ma nell'ottica della simmetria vissuta come rispetto della diversità (dei gusti, dei ritmi, delle percezioni dell'altro), come disponibilità alla contrattazione, come passaggio dalla sicurezza che nasce dal possesso a quella che nasce dalla fiducia. È un pensare-con che si viene a costituire, un pensare 'insieme': un 'pensiero nuziale'. Si diventa partner: dal pensiero da single a quello duale. Dall'uso del punto dopo ogni propria affermazione, a quello della virgola, che attende il contributo del partner (di chi, nel dare il proprio 'parere', è 'pari'). Non: «Questa cosa è così. Tu che ne pensi?», ma «Questa cosa è così, tu che ne pensi?». Una punteggiatura paritetica, in cui l'altro non è costretto ad assumere il ruolo di amico (se asseconda) o di persona sgradita (a volte anche nemica) se disapprova, ma in cui vibra la certezza che si ha bisogno del pensiero dell'altro per vedere bene/meglio la situazione.
Si tratta di fare emergere da una parte la curiosità (e non la paura) del punto di vista dell'altro, dall'altra, la consapevolezza che c'è un frammento di luce anche nelle idee che non condividiamo e c'è un frammento di oscurità anche nelle idee a noi care. Solo così è possibile vivere la diversità come ricchezza da cercare e non come lotta di potere o di valore. Solo così il dialogo (la relazione) è 'nuziale'.
Questa competenza prende le mosse ed è già inclusa, a livello semantico, in quel genesiaco ezer-kenegdò (aiuto-simile/contro/difronte/che dà la parola) (5). L'altro deve essere sempre un 'aiuto-contro'.
Un 'aiuto', cioè, per essere 'nuziale', deve attraversare il momento dell'essere-contro' e ogni 'contro', per essere 'nuziale', deve essere (percepito) di aiuto.
Il pensiero duale arriva a pienezza nella Pentecoste: lo Spirito Santo - recita l'antifona d'ingresso - «tutti unisce perché comprende ogni linguaggio».
La formazione alla nuzialità 'eunuca' acquista oggi un'enfasi e una luce particolare grazie alle sensibilità proprie della postmodernità. Storicamente la condizione umana (compresa quindi la realtà della donna) era stata pensata partendo e rimanendo in un registro maschile. «Pensare la differenza sessuale a partire dall'universale uomo significa pensarla come già pensata, ossia pensarla attraverso le categorie di un pensiero che si regge sul non pensamento della differenza» (6). Ecco perché è stata portata avanti un'interessante ricerca con lo scopo di "liberare il due dall'uno': «Dal modello onnipotente dell'uno e del molteplice, è necessario passare al due, un due che non sia due volte uno stesso, nemmeno uno più grande e uno più piccolo, ma che sia fatto di due realmente diversi» (7).
Si richiede, quindi, di riscrivere la grammatica del convivere tra maschio e femmina, di ri-pensare in una logica di reciprocità le differenze di genere. È stato questo - ed è - un percorso impegnativo, visto che per secoli il maschio era diventato il principale esperto della parola e alla donna era stato chiesto di tacere (8).
È sintomatico l'emergere oggi, anche nella conflittualità di coppia, «la paura che l'altro mi faccia impazzire» (9). Spesso anche due partners che hanno dell'affetto reciproco possono fare l'esperienza di non riuscire ad ascoltarsi fino in fondo: la prospettiva dell'altro sembra 'pazza', talmente è lontana dalla propria. Ascoltare fino in fondo la soggettività dell'altro, nei suoi passaggi e nelle sue ferite, è fatica e richiede competenze nuove. È necessario, forse, imboccare strade alternative, dove l'ascoltarsi e il volersi bene includano anche il non comprendersi, l'accettare l'irriducibilità della logica dell'altro alla mia (10).
Tornando alla riflessione iniziale, la diversità irriducibile dei corpi ci ricorda che anche le diversità della mente sono irriducibili e non si compongono negando la diversità o con processi di omologazione, ma solo attraverso un gioco di penetrazione e di accoglienza, costituito dalla fiducia in se stessi e nell'altro, nel proprio corpo e in quello dell'altro.
Questa formazione all'eunuchia nuziale (ossia evangelica) porterà frutto se i formatori vivono in questo orizzonte di reciprocità: formatori sensibili alla necessità della copresenza femminile e maschile renderanno abituale la presenza formale e informale del maschile / del femminile sia a livello episodico che permanente.
Molteplici sono gli altri modi che possono essere attuati. L'accompagnamento spirituale, ad esempio, non deve essere più di pertinenza solo del consacrato o del presbitero ma, proprio perché ministero ecclesiale, deve essere svolto da tutti coloro che nel popolo di Dio (maschi o femmine, consacrati o sposati) ne hanno il dono e la preparazione (11).
Una caratteristica decisiva, nella formazione al femminile e al maschile, è la categoria della co-genitorialità. Oggi, a livello familiare, è condivisa da tutti l'idea che si è genitori di un figlio se si è genitori-con il proprio co-partner genitoriale (12). Molto spesso i conflitti tra formatori nascono dal non avere elaborato l'analogia della copresenza femminile e maschile nella formazione. «Maschio e femmina li creò», nel registro genitoriale, significa che si educa con due principi che nessuno dei partner può pretendere di assumere da solo: l'esser-ci e il divenire. I figli hanno bisogno di essere custoditi ma anche spronati: hanno bisogno di due principi educativi. Anche fra due genitori che hanno chiuso la propria storia di coppia, la co-genitorialità continua per sempre e li spinge a superare i conflitti i coniugali per ritrovare la fiducia e la stima a livello co-genitoriale.
Così, anche i conflitti tra formatori esprimono la loro fecondità se sono vissuti come co-presenza (maschio/femmina, esser-ci/divenire), mentre divengono distruttivi se si contrappongono come pretesa di verità educativa. «'Pensare con', in fraternità come in comunità, significa non mettere mai il punto sulle proprie idee, ma sapere che esse - per arrivare alla soluzione più rispettosa della complessità e della realtà della vita - hanno bisogno di misurarsi con le idee dell'altro e di includerle» (13).
In sintesi, la formazione - secondo il dato genesiaco e il mistero pasquale - deve essere relazionale e deve formare alla relazione.
La diversità dei corpi femminile e maschile non è solo la diversità più radicale e più complessa dell'esistenza, ma è anche la più feconda: da questa differenza bisogna partire (e a questa bisogna ritornare) per imparare che le differenze non sono un optional per nessuno.
Delle differenze non si può fare a meno. Di esse abbiamo un intimo bisogno per sapere chi sono io e chi è l'altro, e per conoscere (insieme!) la realtà che il Dio Uno- Trino - mistero di differenze e di comunione - ci ha consegnato..
Giovanni Salonia
1) Cf. G. Salonia (2011), Riscoprire la verginità evangelica, in AAW, Nell'eros dello spirito, eunuchi per il Regno, Il Calamo, Roma, pp.23-40
2) Cf. G. Salonia (2007), Odòs, la via della vita. Genesi e guarigione dei legami fraterni, EDB, Bologna.
3) Pr 30, 18-19: «Tre cose mi sono difficili, anzi quattro, che io non comprendo: il sentiero dell'aquila nell'aria, il sentiero del serpente sulla roccia, il sentiero della nave in alto mare, il sentiero dell'uomo in una giovane».
4) Giovanni Paolo II, Lettera ai sacerdoti per il Giovedl Santo, 1995.
5) Cf. G. Salonia (2005), Femminile maschile: un'irriducibile diversità, in R.G. Romano, Ciclo di vita e dinamiche educative nella società postmoderna, Franco Angeli, Milano, pp. 54-69.
6) A. Cavarero (1987), Per una teoria della differenza sessuale, in AA.VV. (1987), Diotima. Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano, pp. 43-80, p.45.
7) L. Irigaray (1994), La democrazia comincia a due, Bollati Boringhieri, Torino, p. 115.
8) Sull'influsso della diversità sessuale nel silenzio e nella parola, cf. L. Irigaray (1991), Parlare non è mai neutro, tr. it. Edizioni Riuniti, Roma; cfr. anche M. Mizzau (1979), Eco e Narciso. Parole e silenzi nel conflitto uomo-donna, Boringhieri, Torino.
9) G. Salonia (2002), Coppie di fatto: ricerca di libertà?, in AA.W. (2002), Paura di amare nei contesti più problematici: riflessioni, ricerca, prospettive, Cittadella, Assisi, pp. 89-101; G. Salonia (2003), Il silenzio degli ultimi, in AA.W., Quando i silenzi gridano. In famiglia, nella chiesa fra le chiese, nella società, Cittadella, Assisi, pp. 66-81.
10) G. Salonia (1999), Dialogare nel tempo della frammentazione, in F. Armetta, M. Naro (a cura di), Impense adlaboravit. Scritti in onore del Card. Salvatore Pappalardo, Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia - S. Giovanni Evangelista, Palermo, pp. 571-585.
11) Su questi temi, cf. G. Salonla. (2007), Odòs, la via della vita. Genesi e guarigione dei legami fraterni, cit. (In particolare il capitolo Vita consacrata, concilio Vaticano Il e postmodernità, pp. 155-166).
12) Cf. G. Salonia (2010), Lettera ad un giovane psicoterapeuta della Gestalt. Per un modello di Gestalt Therapy con la famiglia, in M. Menditto (a cura di), Psicoterapia della Gestalt contemporanea. Strumenti ed esperienze a confronto, Franco Angeli, Milano, pp 185-202.
13) G. Salonla. (2007), Odòs, la via della vita. Genesi e guarigione dei legami fraterni, cit. p. 165.
(tratto da Religiosi in Italia, 385/4, 2011, pp. 169-174)