Vorrei parlare oggi del Cantico dei Cantici, il testo più “caldo” della Bibbia, ricco d’una serie di immagini erotiche fiammeggianti, il che ha posto molteplici problemi a tutti i lettori religiosi. Ad un punto tale che, dopo la distruzione del secondo Tempio di Gerusalemme, quando coloro che non erano ancora dei rabbini si riunirono a Yabré per fissare il canone delle Scritture - che dovevano a partire da quel momento essere accettate come autentiche – non ci furono problemi fino a quando non si giunse proprio al Cantico dei Cantici. Poiché l’attribuire questo testo al gran re Salomone sembrava non bastare, ci si preparava a farlo scomparire, quando intervenne il gran saggio Aqiba (quello stesso che in una celebre visione vide Dio faccia a faccia ed entrò nel mistero della camera nuziale) dichiarando che tutti gli scritti erano santi, ma che il Canto dei Canti era il santo dei santi. Bisogna pur dire che ciò è possibile solo facendone una lettura allegorica che permetta di vedere nel testo non quello che dice con evidenza, ma ciò che l’esegesi gli fa dire, non tenendo conto del suo senso ovvio.
La “discesa nel giardino”
La discendenza sarà lunga che nel lamento d’amore per lo sposo ricercato scorgerà, secondo le tradizioni, la ricerca dell’alleanza rinnovata fra Israele e il suo Dio o fra la Chiesa e il Padre, oppure la corsa dell’anima verso Cristo allontanatosi nel più alto dei cieli: nel XVI secolo, quando scrive il suo Cantico spirituale, è proprio in questo filone che si situa un San Giovanni della Croce.
Senza voler entrare nel dibattito d’una lettura letterale o di quella che si usava chiamarla in altri tempi, una lettura anagogica, senza voler non più entrare nella disputa per sostenere se il Cantico è l’opera d’uno o di diversi autori, vorrei soltanto segnalare come l’insieme del poema è irrigato da filoni mitologici che affondano le loro radici nell’ambiente culturale dell’epoca nell’antico Egitto oppure in quello della Mesopotamia.
In uno studio di notevole importanza (The Song of Songs: a symposium. The Commercial Museum, 1934) il biblista Théophile Meck aveva già largamente tracciato il parallelo fra il Cantico e i vecchi testi liturgici dell’ierogamia fra Dumuzi e la dea Innana. Questa tesi è stata ripresa con più rigore e, senza dubbio con maggior pertinenza, da Kramer e Bottero (Il Matrimonio sacro, Berg International,1991). Vi si ritrovano l’abbondanza del miele e tutti quei profumi che si effondono nel Cantico, vi ritroviamo anche la famosa discesa nel giardino con tutti i temi degli alberi sacri come il fico, il melo o l’allusione alla vigna che si unisce alla palma da datteri (1).
Nel suo Cantico dei Cantici (Cerf 1998), Oumar Keel ha sistematicamente rilevato tutte le occorrenze aggiungendovi la sua profonda conoscenza dell’Egitto. Come non ricordarsi delle dichiarazioni del melograno nel papiro Chester Beatty: “Le mie gocce sono simili ai suoi denti, i miei frutti sono come i suoi seni” come non notare la somiglianza con la “malattia d’amore” che invade la giovane donna, come non paragonare le gazzelle del Cantico alla dea Anuker de la regione d’Assuan? Un erotismo mistico L’attribuire il Cantico a Salomone sembra cosa logica in questo contesto, lui che ci ricorda il testo sacro (1Re11, 5) aveva questa devozione per la dea Astarte. Allora è un testo mitologico? Certamente.
Testo d’un erotismo bruciante
Senza dubbio occorre tentare tutte queste letture nello stesso tempo. Senza dimenticare che nell’amore (2) più folle, il più ardente, nel fuoco stesso del desiderio (dell’anima come del corpo), secondo Gregorio di Nissa:
”Mai il desiderio di colui che sale si ferma a ciò che già conosce, egli si eleva senza turbarsi, da un desiderio più grande ad un altro ancora superiore, prosegue senza sosta, per ascensioni sempre più alte, il suo cammino verso l’infinito”.
Michel Cazenava *
* Scrittore, produttore, coordinatore a France Culture. Ha diretto l’Enciclopedia dei simboli (2000). Ultimo suo lavoro PRIMAVERA NUOVA (Arma Artis 2008)
(da Le monde des RELIGIONS, octobre 2009)
Note
1) In francese palmier è maschile (n.d.t.).
2) Mi sembra opportuno citare qualche riflessione di Benedetto XVI, estratta dalla sua enciclica DEUS CARITAS EST, in cui il Papa esprime la sua visione dell’amore anche alla luce del CANTICO dei CANTICI (n.d.t.). «6. Come dobbiamo configurarci concretamente questo cammino di ascesa e di purificazione? Come deve essere vissuto l’amore perché si realizzi pienamente la sua promessa umana e divina? Una prima indicazione importante possiamo trovarla nel Cantico dei Cantici, uno dei libri dell’Antico Testamento ben noto ai mistici, Secondo l’interpretazione oggi prevalente, le poesie contenute in questo libro sono originariamente canti d’amore forse previsti per una festa di nozze israelitica, nella quale dovevano esaltare l’amore coniugale. In tale contesto è molto istruttivo il fatto che nel corso del libro si trovano due parole diverse per indicare “l’amore”. Dapprima vi è la parola “dodim”- un plurale che esprime l’amore ancora insicuro in una situazione di ricerca indeterminata. Questa parola viene poi sostituita dalla parola “ahaba” che nella traduzione greca dell’Antico Testamento è resa col termine “agape” che, come abbiamo visto, diventò l’espressione caratteristica per la concezione biblica In opposizione all’amore indeterminato e ancora in ricerca, questo vocabolo esprime l’esperienza dell’amore che diventa ora veramente scoperta dell’altro, superando il carattere egoistico prima chiaramente dominante. Adesso l’amore diventa cura dell’altro per l’altro. Non cerca più se stesso, l’immersione nell’ebbrezza della felicità. Cerca invece il bene dell’amato, diventa rinuncia, pronto al sacrificio, anzi lo cerca…. …. Sì l’amore è ”estasi” , ma estasi non nel senso di un momento di ebbrezza, ma estasi come cammino, come esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio…»
Traduzione e note a cura di Sr Immacolata Occorsio smsm