Logica vorrebbe che, dopo aver commentato in modo quasi corsivo i capitoli I e Il della Lumen gentium, si continuasse con il capitolo III sulla "Costituzione gerarchica della Chiesa, e in particolare dell'episcopato". Logica che non dipende solo dalla sequenza dei capitoli e dei paragrafi, ma dalla relazione costitutiva che intercorre tra il popolo di Dio e i suoi ministri.
In apertura, infatti, si dice che «Cristo Signore, per pascere e sempre più accrescere il popolo di Dio, ha istituito nella sua Chiesa vari ministeri, che tendono al bene di tutto il corpo. I ministri infatti, che sono dotati di sacra potestà, sono a servizio dei loro fratelli, perché tutti coloro che sono parte del popolo di Dio e perciò godono della vera dignità cristiana, aspirino tutti insieme liberamente e ordinatamente allo stesso fine e arrivino alla salvezza» (18). Il testo si riallaccia evidentemente al nesso vincolante tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale, affermato nel capitolo sul popolo di Dio: «Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, per quanto non differiscano tanto per grado, ma per essenza, sono tuttavia ordinati l'uno all’altro, perché l'uno e l'altro, ciascuno a suo proprio modo, partecipano dell'unico sacerdozio di Cristo»(10)
Tuttavia, si dovrebbe introdurre il tema del ministero ordinato quando il discorso sul popolo di Dio fosse concluso. A ben vedere, invece, questo discorso si prolunga nel cap. V sulla "vocazione universale alla santità": «Perciò tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla gerarchia, sia che da essa siano diretti, sono chiamati alla santità, secondo il detto dell' Apostolo: "La volontà di Dio è questa: che vi santifichiate"» (39). Fondamento di questa universale chiamata è il battesimo, nel quale gli uomini «sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi» (40). Ne discende un principio generale della vita cristiana: «Tutti i fedeli, di qualsiasi ordine o stato di vita, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità» (40).
La collocazione più plausibile sarebbe dunque il capitolo sul popolo di Dio. Né si tratta di una forzatura al testo, perché molti Padri avanzarono la proposta di trasferire il tema al cap. Il della costituzione, in ragione del fatto che la santità appartiene al fine stesso della Chiesa. Ma la richiesta era troppo lontana dalle ragioni stesse del testo, che formava un tutt'uno con il capitolo sui religiosi: il massimo del risultato era la scelta di scorporare il testo iniziale in due capitoli, senza particolari aggiustamenti, come dimostra l'insistenza sui consigli evangelici nel capitolo V sui battezzati, e la mancanza di qualsiasi introduzione al capitolo sui religiosi, che costituisce il naturale sviluppo delle affermazioni precedenti. Pur mancando a livello redazionale questo passo ulteriore, che avrebbe concluso il processo di ripensamento delle relazioni all'interno della Chiesa, la scelta di creare un capitolo a parte attorno all'affermazione della universale chiamata alla santità assume un significato di grande portata, che ribadisce e conferma la rivoluzione copernicana determinata dal capitolo Il sul popolo di Dio.
Se là, infatti, si intaccava l'idea piramidale di Chiesa, fondata sulla distinzione tra una gerarchia, depositaria di tutte le funzioni e il potere, e i fedeli, intesi alla stregua di sudditi, nel momento stesso in cui si affermava la radicale uguaglianza di tutti i battezzati e si specificava come il ministero ordinato si configurasse come una forma di servizio al popolo di Dio, qui si afferma che la chiamata alla santità non è prerogativa di pochi nella Chiesa, ma dono e compito di ogni battezzato: dono in forza dello Spirito di santità ricevuto nel battesimo; compito, perché quel medesimo Spirito porta alla maturità della vita in Cristo chiunque si incammini per la via della sequela, non in ragione della sua funzione o del suo stato di vita, ma della sua condizione di battezzato.
In questo modo, il primato della vita teologale proposto a tutti i battezzati scardina un principio che ha regolato la vita ecclesiale di tutto il secondo millennio, la distinzione tra chierici e laici, che riguardava non solo le funzioni, ma la stessa dignità; distinzione che si risolveva in una distanza incolmabile tra due ordini di persone che sembravano configurarsi come due caste, una superiore e l'altra inferiore. Ma la linea tracciata dal Concilio non va in questa direzione. Non solo tutti i membri della Chiesa sono costituiti in una radicale uguaglianza dalla rigenerazione in Cristo ma è questa, e unicamente questa, la condizione che abilita alla sequela, e quindi alla santità nella Chiesa. Essa è indicata come una strada alla quale tutti sono chiamati, senza privilegi di sorta, perché tutti membri al medesimo titolo della Chiesa santa, sulla quale il Risorto ha effuso il suo Spirito di santità.
Dario Vitali
(tratto da Vita pastorale, n. 5, maggio 2011)