Vita nello Spirito

Martedì, 01 Novembre 2016 10:43

L’accoglienza (Mario Bizzotto)

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«Il saggio è colui che ha percorso tutti i gradi della tolleranza e ha scoperto che la fraternità ha uno sguardo e l'ospitalità una mano. La distanza che ci separa da uno straniero è la distanza che ci separa da noi stessi» (Edmond Jabès).

L’accoglienza è un tema che attraversa tutto il vangelo. Il cristiano non può ignorarla. L'ultima pagina del vangelo si chiude riportando le parole del giudice supremo: ero forestiero e mi avete ospitato. E compito del cristiano essere pronto all'ospitalità. Mai come ora è tanto attuale l'affermazione di Cristo. In un mondo agitato da continui sussulti di guerre feroci, afflitto dalla fame, pieno di disperati si è avviato un imponente esodo di uomini, donne e bambini alla ricerca di sicurezza. L'accoglienza è un dovere umano e cristiano.
Il problema che l'immigrazione presenta è enorme. Sarebbe ingenuo pensare di risolverlo con una semplice affermazione del vangelo. Questo raccomanda l'aiuto a chi vive negli stenti e sotto l'incubo d'essere colpito a morte da un momento all'altro. Se l'aiuto solidale rientra nel messaggio evangelico va preso sul serio e messo in pratica. Qui però si urta con difficoltà che sono più grandi di noi. Finché si riflette sul principio, si possono formulare pensieri edificanti e dare voce a nobili sentimenti di bontà. Ma di soli pensieri e sentimenti non si vive. L'ospitalità chiede anche la mano. Si è messi alla prova facendo i conti con una realtà ostica e arcigna. Arriva il momento di misurare le proprie possibilità.
Balza subito agli occhi la sproporzione che intercorre tra le risorse disponibili e i bisogni da appagare. La constatazione non è indolore, soprattutto per un cristiano che deve accettare i propri limiti e non può ignorarli rifugiandosi in fantasie velleitarie.

Condivisione solidale

Accogliere comporta anche un complesso di strutture e organizzazioni preposte, se non ad appagare i bisogni, almeno ad alleviarne il peso. Si continua a denunciare il quotidiano sbarco di nuovi arrivi che non accenna ad arrestarsi, si continua ad accogliere senza coinvolgere altri Paesi o a porre dei freni, nonostante si lamenti il collasso dei centri di soccorso. Se si accettano indiscriminatamente tutti i profughi per condannarli poi ad una vita randagia, non si fa che cambiare posto alle sacche di miseria, trasferendole da un luogo all'altro. E giusto porsi la domanda: non si dà il pericolo di offrire più illusioni che aiuti? Qualche quotidiano si è mostrato molto critico sulla maniera arruffona e disordinata con la quale viene gestito il fenomeno dell'immigrazione.
La classe politica lascia cadere il problema in secondo ordine. Tenta di ignorarlo. Se viene nominato, lo si fa incolpando di egoismo e indifferenza gli stati europei. Questo è un rimprovero tutt'altro che immotivato, potrebbe tuttavia essere sfruttato come un comodo alibi per scaricare il disagio su spalle altrui ed eludere un impegno più serio di quello adottato finora.
Gli stati europei non si muovono, fingono di non vedere? Ma cosa si fa per indurli a rompere il muro dietro il quale si trincerano?
Finché ci si limita ad appelli accorati, non si avrà nessun risultato. Un dialogo tra sordi è difficile, se poi è rivolto a chi vuole essere sordo diventa impossibile. Si costatano due estremi: da una parte vi è chi anziché prendere in mano la situazione e guidarla si adatta a subirla, dall'altra chi è preoccupato solo del proprio benessere ed erige una barriera invalicabile all'emergenza. C'è un altro espediente cui si ricorre per giustificare un'invasione disordinata e non allarmare l'opinione pubblica: si fa presente che l'Italia è un Paese di transito. Ma è una bugia che fa comodo.
Davanti al nostro piccolo Paese si dispiega un enorme continente travagliato da violenti conflitti, focolai di guerra, e tormentato dalla fame che semina migliaia di vittime. Urge perciò una testimonianza di solidale generosità.

Italia: Paese ricco di politici, non di risorse

Se la causa d'un esodo così imponente - e destinato a crescere sempre più - è dovuto alla povertà, ci si metta il cuore in pace: l'Italia non si creda all'altezza di portare da sola un tale onere. È semplicistico pensare che fame, subbugli e dittature feroci rientreranno, o pensare che il disordine è un'emergenza del momento. Tutto lascia supporre che i disagi in atto sono destinati a continuare e ad aggravarsi.
Il dovere dell'accoglienza è tanto più impellente quanto più tragica si fa la sorte di popolazioni oppresse da regimi liberticidi e spietati. Si chiede una condivisione sobbarcandosi a sacrifici e dando prova di fattiva comprensione. Tutto questo però non significa che ci si possa esimere dall'impegno di escogitare iniziative ordinate ad un intervento corale e di misurare le proprie possibilità, regolandosi in conformità ad esse. Si pensava d'aver messo fine alle scene incresciose di sbandati destinati a sopravvivere con l'elemosina. Purtroppo non è così. Il loro numero anziché assottigliarsi, aumenta di giorno in giorno. È sufficiente uscire di casa per incontrare ovunque mendicanti, per strada, in treno, davanti alle porte delle chiese o alle entrate dei supermarket.
Finché c'è chi è abbandonato a se stesso, chi si trascina nella più squallida povertà e chi guazza nell'opulenza, chi implora aiuto e chi guarda con indifferenza, non si può dire di vivere in un Paese civile. Ci si domanda se tutto questo può essere accettato come un costume cui rassegnarsi. No! Non si può accettare una convivenza dove l'umiliazione diventa quotidiana. Tanto meno tollerabile è sentirsi raccomandare la condivisione da individui che recepiscono lauti stipendi e vivono agevolmente con privilegi senza rimetterci un quattrino del loro salario. Accompagnando in città dei turisti mi sono sentito ripetere un commento sconfortante: ma questo è un Paese di accattoni, qui si fa dell'accattonaggio una professione.
Se come risposta si dice che è meglio mendicare che rubare o compiere atti di violenza, non si fa che confermare l'impressione del turista, a parte il fatto che un male non elimina l'altro.

La miseria e l'abitudine

C'è chi si è talmente abituato alla presenza di mendicanti da non farci più caso. Ormai accetta la situazione come qualcosa di ovvio. La sua pelle è diventata impermeabile alla miseria. Non è più capace di percepire il disagio. Passa in mezzo ad un mondo di sventurati e resta impassibile, e l'impassibilità a sua volta diventa una difesa che consente di vivere come se non si vedessero in molti volti i segni della sofferenza patita. Ci si abitua a tutto anche alla povertà, soprattutto se riguarda gli altri. Si cerca di salvare la propria tranquillità e non si trova altra risposta al male altrui se non quella suggerita dall'indifferenza.
Questo l'atteggiamento con il quale ci si dispone nei confronti dell'immigrazione. Il disagio che si prova in un primo tempo, a lungo andare si smorza fino a scomparire del tutto. Si evita la supposizione, che dovrebbe sorgere spontanea, di pensarsi al posto del poveretto che si incontra. Ma se il proprio imbarazzo è superato, resta quello di chi è costretto ad affidarsi alla pietà altrui. Obbedendo ad un calcolo realistico non è possibile non pensare ad un cambiamento di stile. Così come ora, non può continuare. Il richiamo ad un contenimento dell'attuale flusso si rende necessario. Non è un rimedio rassegnarsi alla situazione pensando che si tratta di invasioni come già avvenuto in passato. Certo non sarebbe edificante frenare l'immigrazione perché disturba il nostro benessere. Molti di quelli che arrivano alle nostre sponde, vengono cullando sogni destinati a rimanere tali. Forse si aspettano quello che non possiamo offrire. Questa è per loro un'amara delusione. Il rammarico che provano non è solo loro, è anche nostro, data l'impossibilità di appagare le loro aspettative.

Mario Bizzotto

(tratto da Missione Salute, n. 6, 2014, pp. 32-33)

 

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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