Vita nello Spirito

Giovedì, 17 Dicembre 2020 11:17

La preghiera (Carlo Morandin) In evidenza

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Le tre condizioni del pensiero filosofico antico: silenzio, immobilità, riposo, coinvolgenti anche la parte corporale dell'uomo, sono state assorbite nella dottrina monastica sulla preghiera, quale sua sorgente non solo per l'aspetto teoretico, ma soprattutto per quello della prassi di vita.

9. Le tre condizioni del pensiero

Vi sono tre condizioni di pensiero che fanno riferimento a tre temi della preghiera. Essi appartengono alla filosofia antica ed hanno un'ampiezza assai vasta e profonda, tanto che - pur appartenendo a questa nostra riflessione sulla preghiera - non è del tutto indispensabile considerarli in maniera globale: è sufficiente averne una considerazione il più possibile sintetica, anche se questa potrebbe sembrare una specie di sommario. Si tratta del silenzio, della immobilità e del riposo del pensiero, o - se si vuole - della mente. Sono tre condizioni da costruire in noi stessi per entrare nella tranquillità - hesychìa.
Pur essendo dei veri cultori della parola, i filosofi greci apprezzavano tuttavia anche il silenzio, considerato come il terreno sul quale può germogliare la parola sapiente: il silenzio come grembo della parola. Il filosofo deve essere capace di far tacere le opinioni correnti, contingenti e mutevoli se vuole at- tingere alla verità, che è stabile e immutabile. Ciò è valido anche sul piano intellettuale. In concreto è da tener presente che lo stesso ragionamento possiede una sua validità e rettitudine se è ben radicato nel silenzio, perché le opinioni correnti svuotano l'animo.
Aristotele, ad esempio, usa il termine "hypolepsis" per indicare lo stato di arresto del pensiero (1). Platone usa a questo scopo il termine "tìthemi", che designa la "pausa del pensiero".
L'eremia, la solitudine, è uno stato di arresto dell'anima che rende possibile quel "concepimento dello spirito" necessario alla scienza e all'arte (2).
Il silenzio detto mistico, poi, è necessario per l'esperienza del divino, la cui presenza è spesso in relazione alla religiosità dei misteri. Possiede diversi aspetti. In primo luogo il silenzio personale è necessario quando si verifica il contatto col divino; in secondo luogo esso rappresenta un'esperienza indicibile; in terzo luogo esso è legato al divieto di propagarne sia il contenuto che le condizioni di tale contatto.
Del mondo neoplatonico i maggiori esponenti sono Plotino e il suo discepolo Porfirio, ai quali è doveroso aggiungere Proclo, gli Oracoli Caldaici e il neopitagorismo. Al potere dei sensi e dei concetti si deve far precedere il silenzio. Col venir meno delle parole e dei pensieri la mente si adegua a Dio. La stessa contemplazione, caratteristica del filosofo, è silenzio in quanto senso ultimo della realtà e via di accesso al divino. Un silenzio cercato e vissuto perché appartenente in modo precipuo alle cose divine, che è esso medesimo divino (3), qualcosa di profondo e misterioso al quale si viene educati dagli stessi dèi.
Proclo esprime il pensiero dei neoplatonici offrendo un suo compendio:
«Nulla di conoscibile è conosciuto grazie a una conoscenza di ordine inferiore, quindi neppure ciò che sta al di sopra dell'intelletto (...). Perciò risulta chiaro che il pensare l'Intelligibile è non pensare» (4).
E ancora,
«Se colui che manifesta un essere che è più indicibile è detto Logos, deve esserci il Silenzio che fa sussistere il Logos» (5).

Questa corrente filosofica ha subito l'influenza della dottrina degli Oracoli Caldaici. Dio è inconoscibile attraverso i metodi filosofici, e definirlo con tali metodi significa delimitarlo (6). Dio può essere raggiunto solo mediante l'unione con Lui, alla condizione irrinunciabile di essere liberi da ogni pensiero e contenuto perché essi sono sempre legati al mondo sensibile e finito. E lo "svuotamento" di se stessi è costituito dal silenzio totale, del quale Dio stesso si nutre (7). 

Nel pensiero dei filosofi neopitagorici il silenzio è considerato come disciplina della mente; lo scopo è di purificarla, unificarla e quindi renderla silenziosa. Senza questa purificazione la mente non può accedere a Dio (8).
Il pensiero greco fin dalla sua antichità pone la stasi e l'immobilità come condizione per realizzare un contatto con Dio nella propria interiorità. Il sapiente ha l'anima nell'inalterabilità e nella pace. Ciò è necessario per via dello stretto legame esistente tra esperienza del divino e quiete, la quale si ottiene mediante il superamento dei piaceri, con una vita frugale che libera da ansie e timori. I tratti di rilievo di una vita divina nel sapiente, o filosofo, sono la tranquillità, la beatitudine e la phronesis (=pensiero, intelligenza, senno).
In Plotino l'hesychìa è uno stato divino. L'anima proviene dal divino e quindi per sua natura è stabile, vive nella tranquillità e contempla la luce (9). Non solo, ma essendo proprietà del mondo divino, che porta in se stessa fin dalla sua origine, essa indica la sua presenza nell'uomo come segno rivelatore di una condizione divina, per cui l'unione con Dio si realizza nell' anima nello stato di assoluta tranquillità per l'ovvio motivo che in Dio nulla si muove.
Nonostante la chiara argomentazione del pensiero plotiniano, si pone un serio interrogativo nell'ambito del rapporto tra mondo divino e mondo umano: «È possibile conciliare tra loro immobilità divina e movimento del contingente?». Che è come dire: «È possibile conciliare il divino e l'umano, l'infinito e il finito?». Nonostante la diversità di opinioni e di definizioni circa il movimento o moto, per i filosofi greci è assodato che l' immobilità (akinesia, stasis) è il dato originario, fondamentale.
«In generale per il metafisico greco, solo l'immobile può essere causa del mobile. Concezione diffusa nell'ambiente filosofico era la connessione dell'uomo con il cosmo, tema oggi presente anche in campo teologico in riferimento non solo all' ambito strettamente antropologico, ma anche per quanto riguarda la partecipazione "corporale" alla celebrazione della liturgia» (10). Infatti: 1. l'anima corrisponde al cielo; 2. il corpo alla terra. Entrambi sono opera della creazione divina, con la differenza che mentre il cielo è senza turbamenti, puro e stabile, la terra conosce e sperimenta sconvolgimenti, bufere e impurità. 

Sarà la metafora del sonno ad offrire ai filosofi un valido aiuto nella spiegazione di questo problema. Il sonno "diffonde la quiete per le membra e scioglie gli affanni dell'anima". E il sonno è dato nel momento in cui una parte dell' anima compressa (contrusa) si ritira sempre più nel profondo. «Allora (...) le membra si rilassano e si abbandonano» (11). A proposito di questo stato, necessario per percepire il divino, Giamblico scrive:
«Il sonno, il chiudere gli occhi, l'oppressione somigliante a torpore, lo stato intermedio tra il sonno e la veglia, la veglia appena iniziata o completa, tutto ciò è divino e adatto a ricevere gli dèi, e siffatti fenomeni precedono in parte la divina epifania» (12).
Si dà una reciproca influenza tra anima e corpo. Corpo in quiete e anima tranquilla. Non solo, ma tale quiete manifesta anche quale sia la parte operante dell'anima. Ad esempio, se il noûs (intelletto) opera svincolato dalle passioni, il "corpo rimane tranquillo e calmo" e, di conseguenza, lascia operare lo spirito in maniera autonoma (13).

Nell'approfondimento di questa sentenza è evidenziato che l'anima può patire due orientamenti: 1. volgersi alle passioni del corpo legandosi ad esso; 2. sciogliersi da esse mediante l'impassibilità (14). Quando il corpo è calmo è un segno esteriore che le passioni sono sotto controllo e il noûs ha la sua libertà. Dio si nasconde nel sommo silenzio e chi desidera conoscerlo può ottenere tale conoscenza solo con il silenzio del corpo e della mente (15). La stessa "composizione del luogo", ossia l'ambiente esteriore, deve essere in condizioni di favorire la quiete: 

«Bisogna eliminare preventivamente tutto ciò che può essere di ostacolo alla venuta degli dèi e creare una calma assoluta attorno a noi, affinché la parusia degli spiriti da noi invocati avvenga indisturbata e in clima di pace» (16).
Sempre sul tema platonico della conquista della virtù e della tranquillità, ripreso dal neoplatonico Plutarco, si scopre che esso ha una sua struttura: 1. gli impulsi sono i necessari inizi delle azioni; 2. se questi sono eccessivi si tramutano in passioni; 3. e queste costituiscono le malattie dell'anima che impediscono la tranquillità e la distensione nei momenti di riposo e di silenzio; 4. così, nei momenti di collera o di trasporto amoroso, trascinano l'anima a compiere azioni contrarie alle giuste leggi (17)?
Nel pensiero filosofico greco viene affrontato un tema presente anche nel Manuale di Nicodemo Aghiorita e nella Filocalia: il movimento immobile, imprescindibile al fine di ottenere una preghiera pura e l'unione con la divinità. Un primo elemento di questo tema riguarda la natura dell'Essere e del Noûs aventi un'attività propria. Essi si associano all'immobilità e sono la fonte del movimento, il quale, a sua volta, è associato al divenire, cioè alla mutevolezza delle cose, alla loro contingenza e limitatezza. Il cosmo è generato dall'UNO immobile che lo ha dotato di un movimento circolare. In questa dottrina filosofica spunta un altro tema, quello della circolarità o movimento circolare, il quale condusse i pensatori di quell'epoca a spaziare in altri campi quali la fisiologia e la cosmologia. Con il tema dei moti circolari, poi, si pervenne all'interessante dottrina della relazione tra "circolarità" e "perfezione".
La circolarità fu definita come caratteristica divina. Dio, a sua volta, è visto assimilabile all'UNO dal punto di vista matematico, mentre a livello di figura lo è con la sfera e, in quello delle figure piane, con il cerchio. La "rotondità", quindi, significa immobilità e circolarità, unite insieme in un'identica figura, per la semplice ragione che ogni loro punto può essere partenza e arrivo: da qui la perfezione.
Inoltre la circolarità è presente sia nel corpo (ad esempio la circolazione sanguigna) che nell'anima. Nel corpo è segno di salute: una sua alterazione indica una malattia. Nell'anima, invece, sta ad indicare la successione delle nascite e delle morti, vale a dire la ruota della generazione, per mezzo della quale le anime, conosciute come scintille staccatesi dal Fuoco divino, possono ritornare alla luce originaria. Ciò è possibile in base alla condizione della qualità della loro libera scelta.
Platone, a questo proposito, presenta un'analogia tra i movimenti di rivoluzione effettuati dall'anima e quelli astronomici, effettuati dagli astri. Da qui l'affinità tra l'uomo e l'universo: entrambi risultano composti di un'anima divina e di un corpo materiale: l'anima è finalizzata a governare il mondo (18). E il mondo è costruito secondo perfezione ed è dotato della forma più perfetta, quella sferica, e del moto più perfetto, quello circolare, il quale, più di altri, si accosta all'intelligenza (19).

Nello sviluppo del pensiero filosofico un vero salto di qualità sul rapporto immobilità-circolarità, lo si ha in Plotino. Perché il cielo si muove con movimento circolare? Perché imita l'intelligenza (20).
Il moto circolare è movimento e quiete; esso è il risultato del movimento del corpo e dell'anima (21): essendo il primo terrestre, il movimento è rettilineo e legato alla dissipazione, mentre il secondo corrisponde al mantenimento di sé. Dato che il centro è immobile, la circonferenza, per la sua tensione verso il centro, lo circonda e gira intorno ad esso. Similmente, l'anima del mondo muove eternamente l'universo conducendolo verso di sé in movimento circolare. Se l'anima gira attorno a Dio, essa lo circonda del suo amore (amphagapázetai) e per quanto può gli si stabilisce attorno: perché tutto dipende da Lui (22).
Questa struttura di pensiero, considerata in forma sintetica, può essere così descritta: 1. L'anima possiede un duplice moto proveniente dalla stessa duplice presenza di Dio: nel sommo cielo e nel centro dell'essere umano; 2. l'amore di Dio dà forza all'anima determinandone il moto circolare; 3. il corpo ha come sua tendenza naturale il moto rettilineo, l'anima invece quello circolare: l'ovvia conseguenza è un contrasto tra loro due; 4. la contemplazione, intesa come un rivolgersi a Dio, un cercare interiormente Dio, coinvolge il corpo. Il significato di questa operazione consiste nel fatto che il corpo deve arrestare la sua tendenza al moto rettilineo, in modo da ottenere la quiete e nel medesimo tempo acquisire la tendenza a conformarsi ad una certa sfericità.
Le tre condizioni del pensiero filosofico antico: silenzio, immobilità, riposo, coinvolgenti anche la parte corporale dell'uomo, sono state assorbite nella dottrina monastica sulla preghiera, come si vedrà in seguito, quale sua sorgente non solo per l'aspetto teoretico, ma soprattutto per quello della prassi di vita. Esse sono presenti in maniera del tutto particolare proprio nella sistemazione strutturale del pensiero esicastico.

Carlo Morandin

* Per le parti precedenti, si veda La Scala 63 (2009) 11-18; 99-107; 154-161; 245-249; 295-299; 369-372. 64 (2010) 36-41; 148-153.

Note

1 M. FATTAL, La composition des concepts dans le De Anima (111,6) d'Aristote. Commentaires grecs et arabes, in Revue des études grecques, Paris 1888, p. 382. 
2 Loc. cit. 
3 Cf. Sap 18,14-15, da cui è tratta l'antifona d'ingresso della IIa Domenica di Natale. 
4 PROCLO, Filosofia caldaica 4, in I Manuali. I testi magico-teurgici [ed. G. Reale], Milano 1985, pp. 73-255. 
5 Loc. cit.
6 Cf. G. REALE, Storia della filosofia antica IV: Le scuole dell'età imperiale, Milano 1987, p. 451.
7 Cf. Ibidem, p. 452.
8 Cf. O. CASEL, De philosophorum graecorum silentio mystico, Giessen 1919, pp. 71-72.
9 Cf. PLOTINO, Enneadi, VI, 4,15 [ed. G. Faggin], Milano 1992, pp. 15-20.
10 G. REALE, Storia della filosofia antica V, cit., p. 137. Vedi anche P. PRÉTOT, La liturgia, un'esperienza corporale. Indicazioni per una "Grammatica " del corpo nella Liturgia, in Rivista Liturgica 96 (2009) pp. 968-985.
11 Cf. LUCREZIO, La natura delle cose IV, 919.
12 GIAMBLICO, I misteri egiziani 111, 2.
13 PLUTARCO, La virtù etica II, in La serenità [ed. G. Pisani], Pordenone 1994, p. 103
14 Cf. PORFIRIO, Sentenze XVIII.
15 Cf. O. CASEL, op. cit., pp. 145-146.
16 PROCLO, Filosofia caldaica, cit., Appendice, p. 253.
17 PLUTARCO, Sono peggiori le malattie dell'anima o del corpo? III. in La serenità, cit., p. 153.
18 PLATONE, Timeo 34c, in Opere complete, VI (ed. G. Giannantoni), Bari 1998.
19 Loc. cit.
20 PLOTINO, Enneadi, II,2,1,1-3;
21 Ibidem, II,2,1;15-20
22 Ibidem II,2,2,13-17.

(da La scala, 2010, n. 3, pp. 194-200)

 

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
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