Vita nello Spirito

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Domenica, 10 Marzo 2019 17:24

Una Teologia dell'Empatia (Rabbi Arthur Green)

Mi riferisco ad una teologia dell'empatia, ad una comprensione di Dio che mette l'amore e la cura per l'altro al centro del nostro cammino di fede. Non esiste una fede in Dio, che definisco autentica, se essa non ci spinge a prenderci cura e a fare qualcosa per le creature di Dio più bisognose.

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La conversione non è solo faccenda di cuore, ma riguarda anche la ragione. Perché esprime il senso di un ritorno alla verità che si ha dentro di sé.

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Domenica, 16 Marzo 2014 23:31

Sessualità e santità (Michele Ginesio)

La lettera sulla santità: un gioiello della letteratura ebraica medioevale. L'atto sessuale come conoscenza.

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La tradizione ebraica privilegia la liturgia domestica rispetto a quella sinagogale: il momento culminante della celebrazione di quasi tutte le feste religiose avviene in famiglia, dove i genitori sono i "ministri" del culto e dove il momento liturgico costituisce un momento catechetico importante per le nuove generazioni che, in questo modo, ricevono la trasmissione della tradizione religiosa interiorizzandola progressivamente.

In che modo un ebreo si accosta, legge, interpreta ed attualizza le Scritture.

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Mercoledì, 01 Settembre 2010 10:06

Mistica ebraica

La mistica quale dottrina esoterica dell'ebraismo, nei suoi rapporti con il divino, ha i suoi primi fondamenti nei testi stessi della Bibbia ebraica comunemente definita An­tico Testamento.

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Pubblichiamo il testo integrale del Rabbino capo della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, in occasione della visita di papa Benedetto XIV alla Sinagoga di Roma.

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Letture giudaiche medievali del Libro di Isaia

La consolazione di Israele e il servo del Signore

di Mauro Perani

Al profeta Isaia nella letteratura esegetica ebraica medievale è riservato un posto di ri­lievo fra gli altri profeti, in conformità con quanto avveniva già nei testi rabbinici dei secoli precedenti. Il nucleo del suo libro considerato da diverse fonti come la punta più significativa del suo messaggio profeti­co è probabilmente la sezione nota come li­bro della consolazione. Se Geremia ha il compito scomodo di annunciare il castigo divino, a Isaia spetta quello assai più soave di consolare il popolo d'Israele e di annun­ciargli un'epoca nuova di salvezza. Nella disputa medievale fra cristiani ed ebrei, che ovviamente spesso si polarizzava sulla que­stione della messianicità di Gesù, anche i Canti del servo divengono oggetto di un di­battito serrato per stabilire se questo servo sia il Messia e se questo sia già venuto o meno.

Shelomo ben Yitzchaq, il più grande com­mentatore ebreo di tutti i tempi meglio noto con l'acronimo Rashì (Francia settentriona­le 1040-11 05), inizia il suo commento alle prime parole del libro di Isaia Visione di Isaia figlio di Amos riportando un detto di Rabbi Lewi che a sua volta menziona una tradizione trasmessa dai padri secondo cui Amoz e Amasia re di Giuda (cf 2 Re 12,22) erano fratelli. A suo avviso tuttavia, in base al principio esegetico per cui nella Bibbia non c'è un prima e un dopo ('en muqdam ume 'uchar he-seder) secondo una rigorosa successione cronologica, il primo versetto non è l'inizio del libro, come dimostra il fatto che non ne costituisce il titolo. L'inizio a suo avviso va ricercato nel capitolo sesto dove si parla della chiamata e della missio­ne del profeta.

Anche Dawid Qimchi, un esegeta di tradi­zione più legata al senso letterale e all'ana­lisi del lessico vissuto a Narbona (sec. XII-­XIII), menziona all'inizio questa tradizione: «Visione di Isaia figlio di Amos. Non sap­piamo le sue relazioni di parentela e a qua­le tribù questi appartenessero, ma ci è solo noto che i nostri maestri di beata memoria ricevettero la tradizione in base alla quale Amoz e Amasia erano fratelli». Commen­tando il versetto seguente Ascoltate o cieli, terra porgi l'orecchio, questo esegeta osser­va che Isaia «inizia il suo libro con parole di biasimo poiché i figli della sua genera­zione erano empi e, benché sia scritto a pro­posito di Ozia che egli fece ciò che è retto agli occhi del Signore e così pure riguardo a Iotam, pure è detto di Ozia che in seguito alla sua potenza il suo cuore si insuperbi fi­no a rovinarsi (2 Cr. 26,16)»

Tornando alla formula di apertura del primo annuncio profetico isaiano Ascoltate o cieli, terra porgi l'orecchio molti commentatori medievali si sono chiesti perché il profeta usi esattamente le stesse espressioni di Mo­sè, ma invertite; Isaia infatti dice in ebraico Shim'u shamayim we-ha 'azini eretz; mentre Mosè, aprendo il suo cantico in Esodo 32,1dice: Ha 'azinu ha-shamayim ... wetishma ha-aretz; scambiando i verbi usati da Isaia. Dawid Qimchi osserva al riguardo che, a differenza di Mosè, «Isaia dice Ascoltate (shim'u) o cieli poiché egli era lontano dai cieli, quindi aggiunge terra porgi l'orecchio (ha'azini) poiché egli era vicino alla terra». Anche Rashi riprende questa interpretazione tradizionale e osserva: «Perché Isaia ha cambiato l'espressione? I nostri maestri ci hanno lasciato un insegnamento su ciò, e su questo brano ci sono molte interpretazioni midrashiche». Più ampia la spiegazione del­lo Yalqui ha-Makiri, una raccolta di midra­shim compilata da Makiri Abba Mari nella Francia meridionale tra la fine del sec. XIII e il XIV. In esso leggiamo: «Disse Rabbi Aqiba: insegna ... che (Mosè) è come un uomo che parla al suo prossimo e disse Porge­te l'orecchio o cieli; vide la terra lontana e disse: Ascolta o terra. Venne Isaia e pronun­ciò la parola: Ascoltate o cieli, terra porgi l'orecchio per attribuire grandezza alle cose grandi e piccolezza alle cose piccole». Os­sia, Mosè parla dall'alto del Sinai, e si trova più vicino ai cieli, mentre Isaia parla in bas­so sulla terra a lui vicina, mentre si rivolge ai cieli come se fossero più lontani.

Veniamo ora a vedere alcune interpretazioni della famosa espressione di Isaia: Consola­te, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme (40, Is). Una bella omelia che commenta questo capitolo di Isaia e che costituisce il brano profetico (haftarah) che accompagna la sezione della Torah letta nel primo saba­to dopo il 9 del mese di Av, ci è presentata dalla Pesiqta rabbati, una raccolta di omelie sinagogali la cui datazione è incerta ed è collocata dagli studiosi fra il V ed il IX se­colo d.C. Ecco questo bellissimo commento che parla del bisogno che ha Dio di essere consolato e pone a confronto Geremia che ferisce con Isaia che risana; lo propongo nella traduzione di M. Gallo. (1)

Altra parola. Consolate, consolate, o po­polo mio, dice il vostro Dio. Dice rabbi Barachià, il sacerdote: Consolami, conso­lami o popolo mio. Da che mondo è mondo se un uomo possiede una vigna e vengono i ladri e la tagliano, chi si deve consolare, la vigna o il padrone della vi­gna? Così pure, se un uomo possiede una casa e vengono i ladri e le appiccano il fuoco, chi si deve consolare, la casa o il padrone della casa? Ma voi siete la mia vigna: Vigna del Signore delle schiere è la casa d'Israele (Is 5,7). Ora è venuto Nabucodonosor e l'ha distrutta e vi ha tratti in esilio e ha dato fuoco alla mia ca­sa, sono io che devo essere consolato:

Consolami, consolami, o popolo mio.

Altra parola. Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme. Tutto quello che Geremia dice per punire, Isaia viene e (lo) risana. Geremia castiga e dice: Come siede sola la città ricca di popolo! È co­me una vedova la grande fra le nazioni, la principessa tra le province è soggetta a tributo! (Lam 1,1). Isaia viene e dice: Io ho visto la vergine. Sì, non ti si dirà più abbandonata e alla tua terra non si dirà più desolata perché tu sarai chiama­ta «Il mio compiacimento è in lei», e alla tua terra si dirà «Sposata»; perché il compiacimento del Signore è in te e la tua terra sarà sposata. Sì, come il giova­ne sposa la vergine, ti sposeranno i tuoi figli, e, come gioisce lo sposo per la spo­sa, gioirà per te il tuo Dio (Is 62,4s). Ge­remia colpisce e dice: Piange amaramen­te nella notte, le sue lacrime sulle sue guance, non c'è per lei consolatore tra tutti quelli che l'amano; tutti i suoi amici l'hanno tradita, le sono divenuti nemici (Lam 1,2). Isaia viene e risana: Sì, popo­lo che sei in Sion, che abiti in Gerusa­lemme, tu non dovrai più piangere! Alla voce del tuo lamento avrà compassione di te, appena avrà udito ti risponderà! (Is 30,19). Geremia colpisce e dice: Giuda è esiliata. Oppressa dalla miseria e da grave schiavitù, dimora fra le genti, non trova riposo, tutti i suoi persecutori la raggiungono tra le angosce (Lam 1,3). Isaia viene e risana: E sarà in quel gior­no: la radice di lesse, eretta come vessil­lo dei popoli, a lei si volgeranno le genti e la sua dimora sarà gloria. E sarà in quel giorno: di nuovo il Signore stenderà la mano per riscattare il resto del suo po­polo, che sarà scampato a Assur e in Egitto, a Patros, a Cush, a Elam, a Shi­near, a Hamat e nelle isole del mare. In­nalzerà un vessillo sulle nazioni, radu­nerà i deportati d'Israele, raccoglierà i dispersi di Giuda dalle quattro estremità della terra (Is 11,10-12). Geremia colpi­sce e dice: Le vie di Sion sono in lutto (Lam 1,4). Isaia viene e risana: Una voce grida: aprite nel deserto la via del Signo­re, spianate nella steppa un sentiero per il nostro Dio (Is 40,3). Geremia colpisce e dice: I suoi nemici sono alla testa (Lam 1,5). Isaia viene e risana: A testa curva verranno a te i figli dei tuoi oppressori, prostreranno alla pianta dei tuoi piedi tutti coloro che ti disprezzavano, ti chiameranno: Città del Signore, Sion del Santo d'Israele (Is 60,14). Geremia col­pisce: È uscito dalla figlia di Sion tutto il suo splendore (Lam 1,6). E chi è questo suo splendore? È il santo, - sia benedetto -, poiché di lui sta scritto: Di gloria e splendore ti sei rivestito (Sal 104,1). Isaia viene e risana: lo l'ho visto venire. Chi è costui che viene da Edom, da Bosra, con le vesti tinte di sangue? Che è splendido nel suo manto, che incede pieno di for­za? Sono io che parlo con giustizia, che sono grande per salvare (Is 63,1). Gere­mia colpisce: Si ricorda Gerusalemme nei giorni della sua miseria, della sua vi­ta errante, di tutte le sue cose preziose, che possedeva nei giorni antichi (Lam 1,7). Isaia viene e risana: Ecco, io creo cieli nuovi e terra nuova. Non si ricorde­ranno più le cose di prima, non saliranno al cuore (Is 65,17). Geremia colpisce: Ha peccato, ha peccato Gerusalemme, per­ciò è divenuta una sozzura (Lam 1,8). Isaia viene e risana: Ho dissolto come bruma le tue colpe, come una nube i tuoi peccati. Ritorna a me, perché lo ti ho ri­scattata (Is 44,22).

Il passo procede ancora nell'intrecciare ci­tazioni dalle Lamentazioni a quelle di Isaia, in un mirabile effetto di contrappunto fra le sciagure annunciate da Geremia e le conso­lazioni pronunciate dal nostro profeta, rela­tive esattamente ad una stessa espressione ed a una stessa punizione.

Rashi a proposito del versetto Consolate, consolate il mio popolo così commenta: «Ora il profeta ritorna sulle sue profezie de­stinate ad accadere, per il fatto che da qui fi­no alla fine del libro le parole di consola­zione creano uno stacco in questa sezione fra esse e fra le punizioni: consolate, o voi miei profeti, consolate il mio popolo».

Una bella interpretazione del famoso passo isaiano del c. 55,8: Poiché i miei pensieri non sono i vostri pensieri sono riprese in di­verse interpretazioni ad esempio nello Yal­qut Shim' oni (paragrafo 482) e nello Yalqut ha-Makiri dal quale presentiamo questa suggestiva spiegazione.

«Poiché i miei pensieri sono i vostri pensieri ... A che cosa assomiglia ciò? Ad un re di carne e sangue che siede e giudica un uomo, ed il giudice gli dice: "Di' se hai ucciso o se non hai ucciso". Se dice: "ho ucciso", il giudice lo fa uccidere, ma se non lo ammette, egli non lo fa uccide­re. Ma di fronte al Santo, benedetto egli sia, non è così. Al contrario, se uno con­fessa la sua colpa, il Santo, benedetto egli sia, ha pietà di lui, come è detto: Chi nasconde le proprie colpe non avrà suc­cesso, chi confessa e le abbandona tro­verà misericordia (Prv 28,13)».

Vediamo ora alcune interpretazioni relative al servo del Signore proposte da un altro grande commentatore ebreo: Mosheh ben Nachman o Nachmanide, nato a Gerona in Catalogna nel 1194 e morto a Gerusalem­me nel 1270. Riprendiamo i suoi commenti da alcuni passaggi della famosa Disputa di Barcellona, che egli fu costretto a sostenere con i domenicani nel 1263. Uno dei suoi in­terlocutori è un ebreo convertito, il quale cerca di appoggiare la sua tesi che il Messia è già venuto su alcuni passi della letteratura rabbinica. La discussione inizia con un rife­rimento al passo di Isaia 52,13 Ecco il mio servo prospererà, citato dall'interlocutore cristiano. Vediamo il passo:

«25. Quello stesso uomo sostenne: "Vi è un passo (della Scrittura) che dice: Ecco il mio servo prospererà (Is 52,13), e trat­ta della morte del Messia, di come fu cat­turato e fu posto tra i malfattori esatta­mente come è accaduto a Gesù. Tu credi che questo passo si riferisca al Messia?".

26. Gli risposi: "Secondo il suo autentico significato esso non parla d'altro che del popolo d'Israele nel suo complesso. In­fatti molto spesso i profeti si riferiscono al popolo d'Israele con le formule Israe­le mio servo (Is 41,8) e Giacobbe mio servo (Is 44,1)".

27. Intervenne allora fray Paul: "Ma io posso provare, sulla base delle parole dei vostri sapienti che questo passo si riferi­sce al Messia".

28. Gli risposi: "È certamente vero che i nostri maestri, di venerata memoria, nei libri di Haggadot, riferiscono allegoricamente quel passo al Messia. Tuttavia non potrai mai trovare in alcun libro della let­teratura ebraica, né nel Talmud, né nel­l'Haggadah, che il Messia figlio di Davi­de sarà giustiziato né che sarà consegna­to nelle mani dei suoi nemici, né che sarà sepolto in mezzo ai malfattori: infatti, neppure il Messia che vi siete creati, (vi) fu sepolto. lo posso spiegare per voi que­sto passo, se lo volete, con un commento corretto e illuminante, (e si vedrà che) non si dice che sarà giustiziato, come in­vece accadde al vostro Messia". Essi però non vollero stare a sentire. ( ... )

49. Risposi: "No, anzi io credo e so che egli (il Messia) non è venuto. Inoltre non ci fu mai un uomo che dichiarò, o del quale fu detto, che era il Messia se non Gesù, e a me è impossibile credere nella sua Messianicità. Infatti il profeta affer­ma, a proposito del Messia: Regnerà da mare a mare e dal fiume sino ai confini della terra (Sal 72,8); ed egli non ebbe nessun regno, ma anzi nel corso della sua vita fu perseguitato e dovette nascondersi per sfuggirgli ma alla fine cadde nelle lo­ro mani e non poté salvare se stesso. Co­me avrebbe potuto salvare tutto Israele? Nemmeno dopo la sua morte ebbe un re­gno perché l'impero di Roma non deriva da lui, anzi, prima che i romani credesse­ro in lui, la città di Roma dominava sulla maggior parte del mondo, mentre dopo che adottarono la sua fede essi persero numerosi regni. E attualmente i fedeli (servitori) di Maometto hanno un regno superiore al vostro. Inoltre il profeta an­nuncia che all'epoca del Messia Non do­vranno più istruirsi a vicenda e nessuno dirà più al fratello: 'riconoscete il Signo­re', perché tutti mi conosceranno (Ger 31,34). Inoltre è scritto: La conoscenza del Signore riempirà la terra come le ac­que ricoprono il mare (/s 11,9): e inoltre: Forgeranno le loro spade in vomeri ... un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo e non si apprenderà più l'arte della guerra (Is 2,4). Ora, dai tem­pi di Gesù fino a oggi, tutto il mondo è stato ricolmo di violenza e rapina e i cri­stiani hanno sparso più sangue delle altre nazioni e inoltre intrattengono relazioni illecite. Come sarebbe difficile per te, re nostro signore [scil. l'autore si rivolge al sovrano Giacomo I d'Aragona che presenziava alla disputa], e per i tuoi cavalieri se davvero non apprendessero più l'arte della guerra. Inoltre il profeta afferma, a proposito del Messia: Egli colpirà la terra con il bastone della sua bocca (Is 11,4); questo passo è commentato nel libro di Haggadah che ha in mano fray Paul: "Si dirà al re Messia: Una provincia si è ribellata contro di te; ed egli dirà: Che le cavallette si abbattano su essa e la distruggeranno. Gli diranno: Un ducato (eparchia) si è ribellato contro di te; ed egli dirà: vengano i mosconi e la divorino" (Midrash a Salmi, 2). Niente di simile si è verificato per Gesù. Quanto a voi, vi compiacete dei cavalieri in armatura, e forse tutto ciò non significa molto per voi. Per di più io posso portarvi molte prove ricavate dalle parole dei profeti».

50. A questo punto quell'uomo (fray Paul Christiani) levò un grido e mi interruppe: «Ecco di nuovo la sua brutta abitudine di fare discorsi prolissi, ma voglio fargli io una domanda».

51. Allora il re mi disse: «Taci, perché è lui che ha diritto di fare delle domande»

52. Quegli riprese: «I loro sapienti hanno affermato a proposito del Messia che è più onorato degli angeli; non può evidentemente trattarsi di altri che di Gesù per­ché egli è di natura divina. A questo pun­to citò un passo dell'Haggadah: "Ecco (il mio servo) sarà onorato, sarà esaltato e grandemente innalzato (Is 52,13), sarà onorato più di Abramo, sarà esaltato più di Mosè, sarà innalzato al di sopra degli angeli del servizio (divino)"».

53. Gli risposi: «Questa affermazione è applicata dai nostri sapienti a tutti i giu­sti: "I giusti sono più grandi degli angeli del servizio (divino)" (Talmud babilone­se, trattato Sanhedrin 93a). Inoltre Mosè nostro maestro, disse all' angelo: "Nel luogo in cui io siedo, non ti è permesso stare" (Avot de-Rabbi Natan 12). E del­l'intero Israele i nostri sapienti hanno detto: "Israele è più amato degli angeli del servizio (divino)" (Talmud babilonese, trattato Chullin 91b). Ma l'intenzione dell'autore di questa Haggadah a propo­sito del Messia è che Abramo, su di lui sia la pace, convertì alcuni gentili e pre­dicò davanti alle nazioni la fede del San­to, sia benedetto, e si oppose a Nimrod senza averne paura. Mosè poi fece anco­ra di più perché si mantenne umile di fronte al Faraone il grande re malvagio, non gli risparmiò (lett. = ebbe il minimo riguardo per lui) a proposito delle gravi piaghe che lo afflissero e liberò Israele dal suo potere. Ora, gli angeli del servi­zio sono molto zelanti per quanto riguar­da la redenzione, come è scritto: Nessuno mi aiuta in questo se non Michele, il vo­stro principe (Dn 10,21). Inoltre è scritto: Ora tornerò a combattere con il principe di Persia (Dn 10,20). Il Messia però farà ancora di più di tutti costoro, E il suo cuore sarà forte nelle vie del Signore (1 Cr 17,6). Egli verrà e ingiungerà al papa e a tutti i re delle nazioni, in nome di Dio: Lascia andare il mio popolo perché mi possa servire (Es 8,16). Egli compirà in mezzo a loro segni e numerosi mira­coli straordinari, non avrà alcun timore di fronte a loro e si tratterrà nella loro città di Roma finché l'avrà distrutta. lo posso spiegarti tutto questo passo (di Isaia) se vuoi. Ma egli non volle». (2)

Nachmanide ritorna in esplicitazione in al­tra sede sull'interpretazione della pericope isaiana che inizia con le parole Ecco il mio servo prospererà? Egli ribadisce l'interpre­tazione ebraica che riferisce il passo del servo a Israele:

«L'interpretazione corretta di questa peri­cope è che essa si riferisce ad Israele tut­to intero. ( ... ) Tuttavia secondo l'opinione del Midrash essa si riferisce al Messia (cf Yalqut su Isaia par. 476); ora noi dobbia­mo interpretarla in base alle parole dei li­bri. Un'interpretazione diversa afferma che il Messia figlio di Davide, a cui si ri­ferisce il versetto, non sarà sconfitto né sarà ucciso per mano dei suoi nemici, e ciò è indicato chiaramente dai testi. Ecco l'interpretazione della pericope: Ecco il mio servo avrà il discernimento (yaskil) (3),poiché ai tempi della redenzione il Mes­sia capirà e sarà capace di discernere il tempo della fine e saprà che è giunta l'e­poca della sua venuta e che la fine è arri­vata; essa sarà rivelata all'assemblea di coloro che lo attendono. Il testo dice avrà discernimento in conformità a quanto è detto nel libro di Daniele: Queste parole sono nascoste e sigillate fino al tempo della fine. Molti saranno purificati, si renderanno candidi e raffinati, ma gli em­pi agiranno empiamente e nessuno di lo­ro comprenderà; invece i saggi capiranno (we-ha-maskilim yavinu) (Dn 12,9-10). Daniele afferma che fra gli empi ce ne saranno alcuni che agiranno empiamente per insultare i passi del Messia (cf Sal 89,52). Ciò a motivo del suo grande ri­tardo, e non crederanno assolutamente in lui e nessun empio discernerà la fine (dei tempi), poiché ci saranno fra di loro alcu­ni che erreranno andando dietro ad uno che erroneamente essi crederanno essere il Messia. I saggi, invece, comprenderan­no la fine vera ed attenderanno lui. E in rapporto a ciò che Isaia afferma che il Messia servo del Signore discernerà e comprenderà la fine e subito sorgerà, sarà esaltato ed elevato e il suo cuore sarà forte nelle vie del Signore (2 Cr 17,6), venendo a radunare i dispersi d'Israele (cf Is 56,8), non con la potenza né con la forza, ma con il suo spirito (cf Zc 4,6). Egli confiderà nel Signore, allo stesso modo in cui avvenne per il primo reden­tore (scil. Mosè) che venne con il suo ba­stone ed il suo sacco dal Faraone e colpì la sua terra con la verga della sua bocca (cf Is 11,4)» .

Note

1) M. GALLO (a cura di), Sete del Dio vivente. Omelie rabbiniche su Isaia, Città Nuova, Roma 1981, pp. 85­89.

2) Il passo è riportato nella prima e ad oggi sola ver­sione italiana della Disputa curata da S. Campanini, in M. IDEL e M. PERANI, Nachmanide esegeta e cab­balista. Studi e testi, La Giuntina, Firenze 1998, pp. 392-393 e 396-397.

3) Osserviamo che in ebraico si ha yaskil, verbo che significa in prima istanza «aver senno, esser saggio, aver discernimento» e secondariamente «riuscire, aver successo, prosperare» avendo agito con intelligenza.

(da Parole di Vita, 4, 1999)

Pubblicato in Mondo Ebraico
Le relazioni ebraico-cristiane
alla luce dell'ultima edizione
dell'Encyclopaedia Judaica

di Emanuela Zurli

A che punto sono le relazioni ebraico-cristiane? Per accertarlo si potrebbe verificare se nella seconda edizione dell'Encyclopaedia Judaica, pubblicata nel 2006, si trovano voci che nella prima, uscita nel 1972, non erano state considerate. Ebbene, nell'ultima edizione una nuova voce è dedicata proprio alle “relazioni ebraico-cristiane". Un denso testo di circa diciassette colonne ne ripercorre nei dettagli la storia, dall’inizio, con la promulgazione - ad opera del Concilio Vaticano II di Nostra Aetate (la Dichiarazione su “Le relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane", 28 ottobre 1965) fino agli ultimi sviluppi. Nel paragrafo n. 4, di neanche settanta righe, dedicato al “Legame della Chiesa con la stirpe di Abramo", il documento conciliare conteneva il germe di una ricchissima serie di iniziative e di contatti che avrebbero sempre più coinvolto, da un lato, le maggiori rappresentanze di molte Chiese cristiane (prima di tutto la Cattolica e quindi le Protestanti, costituenti gran parte del World Council of the Churches e, solo con molto ritardo, quelle ortodosse) e, dall'altro, le principali associazioni ebraiche presenti nella International Jewish Committee on Interreligious Consultations.

Sorsero così commissioni composte di membri delle due religioni che a più riprese, e in attuazione dei documenti applicativi di Nostra Aetate (basti ricordare gli incontri annuali della International Catholic-Jewish Liaison Committee, ILC, o dell'International Council of Christians and Jews, ICCJ, le cui basi erano state poste prima del Concilio), si sarebbero impegnate su fronti comuni. 'Ira di essi ricordiamo, seguendo l’Encyclopaedia Judaica: la condanna dell'antigiudaismo (che le diverse Chiese hanno ammesso di aver predicato), dell'antisemitismo (che, come dichiarò nel corso dell'incontro dell'ILC tenutosi a Praga nel settembre del 1990 il futuro cardinale Cassidy, "esige un atto di Teshuvah [pentimento, ndr] e di riconciliazione" da parte cristiana) e di ogni forma di discriminazione. Non meno forte l'impegno profuso da varie associazioni, nazionali ed internazionali, nell'approfondimento del comune patrimonio religioso di ebrei e cristiani come delle diverse, rispettive tradizioni o, ancora, nella promozione - in alcuni contesti e secondo modalità differenti di momenti di preghiera condivisa. E non solo: la sempre maggiore intesa tra le due religioni avrebbe portato alla progettazione di interventi concernenti la più vasta comunità mondiale su temi quali la violenza, il razzismo e i diritti umani.

Nel corso di alcuni decenni il neonato ”dialogo ebraico-cristiano" avrebbe così raggiunto, come scrive N. Solomon nella conclusione della voce "relazioni ebraico-cristiane”, “uno stato di maturità". Una maturità ampiamente dimostrata anche da questo testo dell'Encyclopaedia Judaica che, redatto nella sua prima parte da S. P Colbi, non manca di sottolineare, per ognuna delle questioni di volta in volta trattate, la sempre maggiore disponibilità delle diverse Chiese - in particolare della Cattolica - nei confronti del popolo ebraico (come attestato dalla prima visita di un Papa alla sinagoga di Roma, effettuata da Giovanni Paolo II il 13 aprile 1986) e delle sue esigenze, anche politiche (come dimostrato dall'interessamento, ad esempio di Paolo VI, per la situazione di Gerusalemme e dei luoghi santi e dall'instaurazione dei rapporti diplomatici tra Santa Sede e Stato di Israele nel 1993). Allo stesso modo è evidenziato il riconoscimento, da parte cristiana, delle proprie gravi responsabilità nei confronti delle sofferenze degli ebrei. Si pensi, ad esempio, che l’affermazione di Cassidy, citata nella relazione sull’incontro di Praga, è definita “il primo documento pubblicato con la partecipazione dell'autorità vaticana che abbia ammesso, anche se in modo obliquo, la colpa cattolica in relazione all'olocausto”.

Accanto al loro consolidato e progressivo miglioramento l'Encyclopaedia Judaica denuncia anche, però, gli ostacoli tuttora incontrati dalle relazioni ebraico-cristiane. Nella parte finale della voce ad esse dedicate, N. Solomon non manca di ricordare, oltre alla tensione tra le due comunità creata da singoli episodi (come l'apertura del convento di Auschwitz, la beatificazione di Edith Stein e di Maximilian Kolhe. alcuni atti politici o "infelici sermoni pasquali” di alcuni Papi), due persistenti motivi di attrito: il proselitismo nei confronti degli ebrei. praticato da piccole sette evangeliche indipendenti e, soprattutto, il non ancora pieno riconoscimento, da parte di alcune Chiese, dell'importanza sia politica sia teologica di Israele. Viene inoltre ribadito che l’antisemitismo sarà inintenzionalmente favorito fino a quando non saranno abbandonare la "teologia sostitutiva" e le ultime tracce di "insegnamento del disprezzo", per lasciare definitivamente il posto alla "nuova teologia" ed alla "nuova comprensione degli ebrei e dell'ebraismo". È quindi con l'auspicio che il nuovo corso intrapreso dalle diverse Chiese "diventi parte del normale insegnamento e catechesi… tra i cristiani di tutto il mondo" che Solomon chiude l'articolo.

Su certe critiche mosse dal noto studioso e rabbino di Oxford, che certamente non rappresenta l'unica posizione dell'ebraismo sull'argomento, una parte del mondo cristiano - non meno differenziato, al suo interno, di quello ebraico - forse non sarebbe d'accordo. Per concludere riteniamo, comunque, che l'articolo dell'Encyclopaedia Judaica possa essere considerato un'eloquente testimonianza del fatto, per riprendere quanto affermato nel suo ultimo libro da un'altra significativa voce dell'ebraismo, Tullia Zevi (Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane dal 1983 al 1998), che "ebrei e cristiani ora procedono sul binario sicuro della collaborazione e del dialogo".

(da Centro Card. Bea Newletter, n. 2, autunno 2007)
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Venerdì, 22 Febbraio 2008 23:33

Al banchetto dei giusti (Giuseppe Laras)

Giudizio di Dio, castigo o ricompensa, immortalità dell'anima: sono i capisaldi della concezione ebraica sulla vita nell'aldilà.

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