Formazione Religiosa

Mercoledì, 20 Aprile 2005 01:29

Lo Spirito Santo. Il "rifinitore" (Giordano Frosini)

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Lo Spirito Santo.
Il "rifinitore"
di Giordano Frosini





Quando si ignora o si dimentica la presenza dello Spirito nella chiesa si paga un prezzo alto. Se il Vaticano II è stato una grande grazia dello Spirito, bisogna recuperarne la dottrina sulla comunione, la partecipazione, la corresponsabilità. Tra i punti da rivedere: l’ascolto del popolo di Dio, la nomina dei vescovi, la profezia, la creatività, il ruolo della donna.

Parlare dello Spirito Santo è navigare contro corrente. Egli è per noi l’inafferrabile, l’invisibile. il senza volto. Il Padre ha un nome e, se, vogliamo, anche un volto, quello dei nostri genitori: il Figlio è vissuto per alcuni decenni in mezzo a noi e ha parlato la nostra lingua; lo Spirito Santo è come il vento: «non sai di dove viene e dove va», anche se ne sentiamo la voce. Una navigazione difficile che la parola di Dio, i richiami della Tradizione, le aperture dei mistici, nonché le autentiche ispirazioni interiori devono sempre guidare e sorreggere per non attribuire allo Spirito pensieri che appartengono solo al mondo delle nostre incerte e tremolanti riflessioni.

Il dono dello Spirito è il fine dell’incarnazione del Verbo, l’ultimo atto della sua vita, della sua morte e della sua risurrezione. Senza di lui non c'è il cristiano, senza di lui non c'è la chiesa. Essa è il luogo di una pentecoste permanente. «Ubi ecclesia ibi Spiritus», dicevano gli antichi, in particolare sant’Ireneo, per il quale «dove è la chiesa lì è anche lo Spirito di Dio; e dove è lo Spirito di Dio lì è la chiesa e ogni grazia».

Una comune nascita

Ne abbiamo una riprova nella nascita del simbolo niceno-costantinopolitano, che fu composto in due tempi. Nel primo tempo, a Nicea, esso constava di due articoli, quello riguardante il Padre e quello riguardante il Figlio: lo Spirito Santo era appena nominato. Nel concilio di Costantinopoli del 381, si aggiungono le parole «Dominum et vivificantem, qui ex Patre procedit, qui cum Patre et Filio simul adoratur et conglorificatur, qui locutus est per prophetas». E subito dopo: «Et unam sanctam catholicam et apostolicam ecclesiam». E ancora: «Confiteor unum baptisma in remissionem peccatorum.Et expecto resurrectionem mortuorum et vitam venturi saeculi».

Nel simbolo più popolare della chiesa, lo Spirito Santo e la chiesa nascono insieme. Il che appare anche più evidente se prendiamo in mano il simbolo apostolico che, secondo alcuni, nella sua parte finale, andrebbe letto così: «Credo nello Spirito Santo, nella santa chiesa cattolica, comunione dei santi, per la remissione dei peccati, la risurrezione della carne e la vita eterna». Tre articoli, fra i quali il terzo sullo Spirito Santo assume una dimensione di grande portata, insieme ecclesiale ed escatologica. Lo Spirito Santo che si presenta in tutto il suo dinamismo e la sua ricchezza.

Già in queste prime riflessioni ci fanno capire quanto ingiusto sia stato il comportamento dei cristiani, specialmente occidentali, che praticamente hanno ignorato e messo in disparte lo Spirito Santo come se fosse un elemento inutile e superfluo. Si è parlato giustamente di una kenosi dello Spirito Santo. E noi cattolici siamo stati accusati di cristomonismo certamente con qualche ragione. Le conseguenze si sono viste e si vedono ancora.

Le due mani del Padre

Per capire la portata dell'accusa e rendersi conto della nostra situazione, abbiamo bisogno di rivedere i rapporti che intercorrono fra le tre Persone della santissima Trinità. Ancora con sant'Ireneo consideriamo il Figlio e lo Spirito come le due mani del Padre, con l’aggiunta che lo Spirito può essere a giusto titolo considerato come il complemento del figlio: l'altro Paraclito (etimologicamente "assistente") dice Giovanni; il completatore, il rifinitore, il telepois, dicono i padri greci; il consumatore, il dono della consumazione, dice Congar. Il Figlio comincia, lo Spirito completa. Senza lo Spirito Santo, il cristianesimo è monco, mancante di una dimensione che gli è essenziale.

Si ricordi il bellissimo testo del metropolita ortodosso Ignazio Hazim in cui si afferma che senza lo Spirito Santo «Dio, è lontano, Cristo rimane nel passato, il Vangelo è una lettera morta, la chiesa una semplice organizzazione, l'autorità è un dominio, la missione è propaganda, il culto un'evocazione e l'agire cristiano una morale di schiavi». Un autentico furto perpetrato contro il cristianesimo, un infedeltà e un tradimento. I pericoli minacciati non sono affatto ipotetici, le conseguenze previste sono realtà che ben conosciamo, la perdita dello Spirito si paga a un prezzo veramente alto. Tuttavia la riflessione teologica, senza sminuire la suggestività del testo ora citato, può specificare anche più chiaramente il pensiero ivi contenuto. Lo Spirito Santo, da Agostino in poi, è stato indicato come l'anima della chiesa, cioè il principio della vita, delle azioni e del movimento. O. Clément ci avverte che questa metafora non appartiene ai Padri greci, i quali preferiscono affermare che egli svolge nei confronti della chiesa, nuova creazione, lo stesso ruolo da lui svolto all'inizio del mondo: egli è il Soffio creatore, lo Spirito vivificante, il garante della vita. Il risultato è lo stesso.

Per lui, anche per lui, esiste la chiesa: egli di essa è un vero co-istituente. Per lui la chiesa è una, santa, cattolica e apostolica, sempre più una, santa, cattolica e apostolica. Per lui la Parola della verità risuona costantemente nel tempo con la stessa forza iniziale e la sua sempre rinnovata freschezza e attualità. Per lui i sacramenti donano la grazia che salva, redime, perdona, santifica, divinizza: non c'è sacramento senza l’invocazione dello Spirito Santo. È lui che distribuisce doni e carismi, che richiama la comunità cristiana ai compiti che lui stesso, regista della storia, fa balenare dinanzi ai suoi occhi. L'altro Paraclito che sostituisce e completa l'opera di Cristo.

Un compito permanente. Lo Spirito Santo non conosce soste e pause di attesa: la fede lo avverte sempre presente anche quando il suo vento soffia leggero fino a diventare quasi impercettibile. L'era dello Spirito Santo è cominciata il giorno della pentecoste e si svolgerà fino alla parusia. Sul tempo dello Spirito Santo si è tante volte discusso. Possiamo rifarci a un noto testo di san Gregorio Nazianzeno: «l’Antico Testamento ha chiaramente rivelato il Padre e oscuramente il Figlio. Il Nuovo ha rivelato con chiarezza il Figlio e ci ha fatto intravedere la divinità dello Spirito. Ora lo Spirito si trova tra di noi e si manifesta più chiaramente». La Trinità che entra progressivamente nella storia dell’uomo.

Il tempo dello Spirito può essere considerato come non tutto omogeneo. ma con possibilità di emergenze, sottolineature, evidenziazioni, accentuazioni particolari.

Nel corso dei millenni è possibile un tempo privilegiato dello Spirito Santo, che bussa più fortemente alle porte della chiesa e dell’umanità. Non sono pochi a pensare che il tempo che noi viviamo, il passaggio dei millenni, sia uno di questi momenti. Forse come non mai, lo Spirito Santo ora si manifesta più chiaramente. Non va forse letto in questo spirito il messaggio del concilio Vaticano II?

Potremmo dire, parafrasando ancora un testo dell’Apocalisse, che «questo oggi lo Spirito domanda alla chiesa». Il più grande concilio della chiesa, convocato dal papa più carismatico del nostro tempo, accompagnato da segni inconfondibili del progresso dell’umanità verso il compimento del Regno, come la globalizzazione, l’anelito della giustizia, la ricerca spasmodica della pace.

Torniamo al concilio

Quali allora i compiti della chiesa in questo tempo di emergenza e di straordinarietà?
Anzitutto un severo richiamo al concilio. «Dobbiamo tornare al concilio», ha detto Giovanni Paolo II. Tornare anzitutto al suo punto fondamentale che è quello della comunione, della partecipazione, della corresponsabilità. «Poiché la chiesa è comunione, deve esserci partecipazione e corresponsabilità in tutti i suoi gradi», ha affermato il sinodo straordinario dei vescovi a vent’anni dal concilio. Tutti, «in capite et in membris», hanno il dovere di riflettere attentamente su queste espressioni. Ricordando che, per questo, il concilio aveva anche dato vita agli organismi di partecipazione accanto al papa, ai vescovi, ai parroci.

La democrazia sta avanzando nelle nostre società: la chiesa ha già perso troppo terreno in questo campo. Come tutti i concetti desunti dal linguaggio umano, anche quello di democrazia non può essere applicato alla chiesa in senso univoco, ma analogo. Il che vuole anche dire che la chiesa non è una democrazia, soprattutto nel senso che le sue decisioni dipendono normalmente da coloro che la presiedono (un'affermazione, peraltro, più di carattere giuridico che teologico, su cui bisognerà ancora riflettere), ma insieme che è più di una democrazia, perché i fondamenti di questo sistema politico sano più chiari dentro di lei; perché tutti i suoi abitanti no pervasi dallo Spirito Santo; perché la stessa democrazia è nata sui fondamenti del cristianesimo, come hanno riconosciuto uomini come Maritain, Bergson e lo stesso Hegel.

Bisogna allora riscoprire il valore della prima categoria usata dal concilio per esprimere la natura della chiesa, cioè la categoria di popolo di Dio, perché lo stesso concetto fondamentale di comunione non venga frainteso o disatteso in tutta la sua portata. Che ne è del popolo di Dio? Che ne è del «senso della fede», del infallibilità nel credere, di cui parla la Lumen gentium? Che ne è della sua opinione specialmente nei momenti straordinari della vita della chiesa? Un solo esempio: la nomina dei vescovi. Si può ancora continuare così, praticamente ignorando del tutto o quasi del tutto l'opinione della chiesa a cui il vescovo viene mandato dall'alto? L’antica tradizione non è affatto in questa linea. Nel primo millennio le nomine avvenivano diversamente; diversamente avvengono anche nelle chiese ortodosse e protestanti. Si ricordano a questo proposito alcuni detti che provengono dal nostro passato: «Venga ordinato vescovo colui che è stato eletto da tutto il popolo. Con il consenso della comunità i vescovi impongano su di lui le mani» (Tradizione apostolica); «Non si imponga al popolo un vescovo che il popolo non gradisce»; «Nullus invitis detur episcopus» (papa Celestino, sec. V); «Colui che deve presiedere a tutti, da tutti dev'essere eletto» (san Leone). Dobbiamo riconoscere che la questione appare oggi molto complessa, ma dobbiamo anche riconoscere che il cammino delta chiesa non è stato sempre omogeneo e lineare.

A chi si meraviglia troppo di queste richieste, possiamo ricordare alcune espressioni di Giovanni Paolo I, che affermava: «Io sono il fratello maggiore dei vescovi, debbo a loro grande rispetto, devo e voglio essere in comunione di amore con loro... La collegialità tra il papa e i vescovi, resa viva e operante, diventa la prova, il sigillo della cattolicità... Nessun vescovo potrà essere scelto senza che vengano tempestivamente consultate le conferenze episcopali locali e i consigli presbiteriali. Il loro parere sarà tenuto in seria considerazione. Io mi sono trovato come presidente della Conferenza episcopale delle Venezie a leggere sull'Osservatore Romano i nomi dei vescovi assegnati alle diocesi venete» (C. Bassotto, Il mio cuore è ancora a Venezia. Albino Luciani, Venezia 1990, passim). Di pari passo andava anche il riconoscimento dell'opera dei teologi.

Un popolo di uguali

Un popolo di uguali e non una società di disuguali, come diceva ancora Pio X, dove tutti hanno la stessa dignità e dove tutti partecipano all’edificazione del corpo di Cristo che è la chiesa (cf. LG 32). Una uguaglianza che si riflette anche nei tratti esterni. È da tempo che si sta rilevando come l'unico titolo a corso legale nella chiesa sia quello di fratello e servo. Tutto il resto (padre, signore, maestro, eccellenza, eminenza) è polvere del secolo di cui bisogna sbarazzarci alla svelta. E polvere del secolo sono anche certo sfarzo e certe vesti.

Un popolo, ancora, quello cristiano, tutto intero sacerdotale, profetico e regale che ha per questo bisogno di essere riqualificato e rivalorizzato religiosamente nel contesto di una inter-relazione espressa chiaramente dal concilio (v LG 32). La grazia del vescovo e del presbiterio non è la sintesi del ministero ma il ministero della sintesi cioè della comunione, dell’amalgama di tutti i carismi di cui il popolo cristiano è portatore.

Fra questi va sottolineato il carisma della profezia. Ricordando che la chiesa è edificata «sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti» (Ef 2,20). Dov'è oggi il luogo riconosciuto della profezia? Qual è lo statuto a cui il profeta si può appellare in caso di contrasto col ministero degli apostoli? Una chiesa senza profezia è triste, monotona, senza slancio, pigra e sedentaria, anemica, dimentica della presenza vivificante e fiammeggiante dello Spirito Santo. Ricordando la lezione del concilio il quale, dopo aver detto che il giudizio dei carismi appartiene a coloro che detengono l’autorità della chiesa, si rivolge a questi e non ai primi ricordando che è loro dovere «non estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono». (LG 12).

Il discorso dello Spirito va verso l'infinito. Un meraviglioso testo riassuntivo della sua missione nella chiesa possiamo ritrovarlo in Von Balthasar, secondo il quale egli è «lo Sconosciuto al di là del Verbo»: appunto il completatore, l’in avanti, il trascinatore che attualizza e porta a perfezione l’opera abbozzata del Verbo. Niente al di fuori di Cristo, nulla senza di lui e, men che mai, contro di lui: lo Spirito è il testimone, il rifinitore, colui che da Cristo parte e a Cristo ritorna e riporta. Non si può mettere lo Spirito in contrasto col Figlio. Non c’è Spirito senza il Figlio, come non c'è Figlio senza lo Spirito. Una legge da non dimenticare mai, in nessuna circostanza e in nessun contesto. Nella duplice missione del Figlio e dello Spirito, quest'ultimo è «l'energia che esorcizza il fascino del passato o dell’origine per proiettare in avanti, verso un avvenire di cui è caratteristica principale la novità» (C. Duquoc, Un Dio diverso, Brescia l978 p. 116s).

Alla luce di queste espressioni possiamo collegare insieme le caratteristiche fondamentali dello Spirito Santo nella nostra vita e nella nostra storia.

La litania dello Spirito Santo

Egli è la novità. Non la novità della moda, ma la novità evangelica. Il Vangelo è il libro nuovo, il cristiano è l'uomo nuovo, la cristianità è il mondo nuovo, il mondo riconciliato che canta il canto nuovo. Nel ritorno al Padre, il figlio rappresenta in qualche modo il passato, lo Spirito il presente e il futuro: la chiesa vive dell'uno e dell'altro. Ma l'ultima parola spetta al futuro.

Noi siamo per definizione gli uomini della speranza; la nostra patria è nei cieli: la nostra navigazione tende alla Gerusalemme celeste, che è la città della pienezza,della vita e della gioia. Ma se è così, perché siamo così legati al passato, perché nella storia non c'è mai qualcosa di nuovo che trovi l'adesione entusiastica del popolo cristiano? Perché somigliamo troppo alla retroguardia stanca e sfiduciata e non all'avanguardia ardimentosa ed entusiasta? La marcia escatologica deve trovare costantemente i cristiani alla sua testa. L'affermazione che un mondo migliore è possibile, è sempre possibile, appartiene di diritto a noi. Ciò appare più chiaramente nei periodi di transizione, come il nostro. La ripetizione, l’abitudine, la monotonia sono i nemici mortali dello Spirito.

Egli è la creatività: «Spiritus creator». Come un giorno lontano, egli cova l'attuale creazione per portarla alla sua pienezza finale, in cui il male non avrà più luogo e il bene brillerà in tutto il suo splendore. Costruttori del futuro, costruttori del Regno, i cristiani sono al servizio dello Spirito, il regista della storia, il direttore della sinfonia cosmica che tende infallibilmente alla sua cadenza finale.

Egli e motore invisibile della storia. I «segni dei tempi» sono i suoi richiami e le sue indicazioni di lavoro. Chi disattende i segni dei tempi, oltre che perdere il treno della storia, sta contro lo Spirito Santo. I sentieri aperti dinnanzi a noi sono oggi la solidarietà, la giustizia, la pace, la salvaguardia del creato, l'ecumenismo, il dialogo interreligioso. «Omne verum a quocunque dicitur a Spiritu Santo est» dicevano gli antichi, fra cui anche S. Tommaso. Oltre che completatore, lo spirito è anche preparatore e antesignano del Verbo.

Egli è la bellezza. «La bellezza salverà il mondo», ha affermato Dostoevskij. Se il Padre nella creazione ha impresso il sigillo della potenza e il Verbo quello della sapienza, lo Spirito ha disseminato dovunque le suggestioni e gli incanti della sua infinita bellezza. Una chiesa dello Spirito è una chiesa bella, perché nella sua vita e perfino nelle sue apparenze esterne riflette le linee di un ordine trascendente. Siamo noi a deturparla, a renderla repellente con le nostre parole e i nostri comportamenti. «Cristo sì, la chiesa no» perché questa divaricazione? Perché la luce che splende sul volto di Cristo non si riflette anche nel volto della sua chiesa da lui stesso illuminato?

Sant’Ambrogio contemplava la chiesa nel lucore suggestivo delle notti lunari: «Veramente beata sei tu, o luna, che hai avuto il merito di tanto significato. Io ti credo beata non per il tuo novilunio ma perché sei tipo e immagine della chiesa». E San Giovanni Crisostomo ne ammirava in distanza le sue divine sembianze: «No, non separarti dalla chiesa! Nessuna potenza ha la sua forza. La tua speranza è la chiesa. La tua salvezza è la chiesa. Il tuo rifugio è la chiesa. Essi è più alta del cielo e più grande della terra. Essa non invecchia mai: la sua giovinezza è eterna». Lo Spirito è il dinamismo della chiesa, la quale “cresce” nel tempo fino al compimento finale (cf. DV 8). Cresce anche nella comprensione della divina rivelazione che le è stata consegnata. Seguire i suoi passi, assecondarli, promuoverli è ancora una forma di ubbidienza alle mozioni  dello Spirito.

Egli è l'universalità. Pentecoste è la risposta alla divisione dì Babele. Nello Spirito, che attualizza il comandamento di cristo, tutti gli uomini possono sentirsi fratelli. Per questo la globalizzazione è una vittoria dello Spirito sulla materia e sulla dispersione. L’impegno della comunità è semplicemente quello di assecondare questo movimento indirizzandolo verso le regioni della solidarietà e della condivisione. Lo Spirito sposta continuamente i confini della chiesa: la terra va percorsa tutta.

Egli è la libertà, perché «dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà» (2Cor 3,17). Ma è così la chiesa? C'è al suo interno la possibilità di dire il proprio pensiero senza il pericolo di venire messi in disparte? Esiste nella chiesa un’opinione pubblica capace di creare cultura e formare forti personalità? Non dice niente a questo proposito la crisi degli organismi di partecipazione? E il silenzio lungo e preoccupante della teologia? Anche l'eccessiva legislazione ha bisogno di essere confrontata e commisurata con lo Spirito di libertà. Su questo punto dobbiamo rileggere attentamente gli scritti dell'apostolo Paolo.

In qualche modo lo Spirito è anche la femminilità, colui che più delle altre Persone porta evidenti in sé i segni e il genio della  femminilità. Per questo quando Paolo enumera i suoi frutti, parla di timore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza. Una dimensione dello Spirito capace di assicurare nella chiesa un posto d'onore e di responsabilità all’universo femminile, che non ha ancora trovato la collocazione che si merita e che gli compete.

Si può finire affermando che lo Spirito è la follia della chiesa. La festa dello Spirito è la festa dei folli. Così egli debuttò nella pentecoste di Gerusalemme sotto il cielo terso della Palestina. La follia con cui fu designato Gesù, la follia del "discorso della montagna". La follia dell'amore folle di Dio: Verrebbe da dire: se siete semplicemente “normali”, che cosa fate di straordinario? La via che vi è riservata è quella dell'anormalità. Perché quello che è stolto agli occhi degli uomini è sapienza agli occhi di Dio.

Il sogno del terzo millennio

Come M.L. King, in questo inizio del terzo millennio, non possiamo coltivare un sogno. Se si abbandonerà allo Spirito, la chiesa del futuro sarà tutta chiesa libera, fraterna. Partecipata, amante del vero “nuovo”, proiettata verso il compimento della storia, lieve e leggera nel suo passaggio sulla terra, povera e serva, amica dell'umanità, una chiesa bella esposti all’ammirazione di tutti gli uomini. Una comunità alternativa rispetto alle altre organizzazioni umane, una comunità “scandalizzante” nel senso kierkegaardiano della parola, una comunità narrante. Che racconta con le parole la più bella fiaba che l'uomo abbia mai ascoltato; soprattutto che narra con la vita la meravigliosa avventura di cui è stata fatta partecipe e sacramento. Che riscrive a ogni generazione il «quinto Evangelo», il quale non esiste sulla carta e negli archivi. ma riluce attraverso la vita dei suoi figli come un annuncio di speranza e di pace. «La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei vostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini... una lettera scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori» (2Cor 3,2-3).

Questa lettera è nelle mani dello Spirito, ma anche nelle nostre mani.

(da Settimana n.15, 2004)
Letto 2453 volte Ultima modifica il Martedì, 09 Agosto 2005 22:12
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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