Formazione Religiosa

Sabato, 24 Dicembre 2005 18:30

Camminare nella luce (Carlo Molari)

Vota questo articolo
(7 Voti)

Camminare nella luce
di Carlo Molari


Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che ora vi annunziamo: Dio è la luce e in lui non ci sono tenebre. Se diciamo che siamo in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato.
(1Gv 1, 5-7)

La prima lettera di Giovanni, dopo il prologo inizia con un esplicito riferimento a Dio. È un dato essenziale, perché la vita cristiana è teologale, cioè centrata sulla presenza di Dio in noi. L'orizzonte teologale è necessario per ogni esperienza cristiana. Il richiamo a Dio si realizza attraverso il riferimento a Gesù: "Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui". Egli è il "Testimone fedele", come lo chiama l'Apocalisse (3,14), è l'icona di Dio, come dichiara l'inno riportato da san Paolo (Col 1,15). Anche Giovanni nel prologo del Vangelo dice: "Dio nessuno l'ha mai visto: il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (1,18), cioè ce lo ha narrato, ce ne ha fatto l'esegesi (exeghèsato). Gesù resta continuamente il punto di riferimento della testimonianza dell'Apostolo. Come nei primi versetti (1-4 prologo) aveva scritto: la lettera è a una testimonianza; essa comincia con un primo annuncio: "Dio è luce e in lui non ci sono tenebre". Vedremo subito le applicazioni concrete dell'apostolo, per il momento esaminiamo la formula: "Dio è luce". È un'affermazione metaforica, non è una definizione di Dio. Dio nessuno l'ha mai visto (Gv 1,8), non sappiamo che cosa sia in sé stesso. Conosciamo solo le sue manifestazioni create, in particolare la manifestazione del Figlio.

Ma cosa significa allora "Dio è luce e in lui non ci sono tenebre"? Due cose fondamentali. La prima: Dio è una realtà positiva; la seconda: è una realtà solo positiva. Noi non possiamo cogliere tutto il valore di questa metafora, perché per noi la luce è normale, quotidiana, facilmente gestibile e utilizzabile; per questo non ci rendiamo conto della sua preziosità. Solo quando viene a mancare la corrente elettrica ci accorgiamo che essa è importante, assolutamente necessaria per alcune attività. Per gli antichi era un bene assoluto, perché la vita fioriva là dove c'era la luce; essi erano completamente dipendenti dal sole e dai cicli del tempo. Possiamo cogliere il valore di questa metafora se usciamo dalle nostre abitudini mentali e riusciamo a metterci in una prospettiva diversa. Potremmo tradurre il senso della metafora con l'affermazione: Dio è forza che rende possibile il cammino, illumina la via. Immaginate una gita in montagna, siete in ritardo, cala il sole, non trovate più il sentiero, dovete fermarvi. L'affermazione di Giovanni ha una valenza molto più profonda, al di là della superficialità della metafora. Dio è una forza positiva di vita, rende possibile il cammino.

La seconda componente di questo messaggio, da un punto di vista teorico è ancora più importante, Dio è solo luce. A noi può sfuggire l'importanza di questa affermazione, ma al tempo di Giovanni c'erano tendenze dualiste che pensavano a un duplice principio, quello del bene e quello del male, la fonte della luce e la fonte delle tenebre. Nell'ambiente essenico erano in uso formule che potevano favorire queste tendenze, che poi acquisteranno rilevanza nel movimento gnostico. Già alla fine del I secolo appaiono componenti gnostiche dualiste in scritti della comunità cristiana.

Lo gnosticismo si caratterizzava proprio perché tendeva ad affermare un dualismo iniziale, per cui non c'era solo il principio del bene, c'era anche il principio del male, con una entità a sé, una forza assoluta che si contrapponeva a Dio. Nella prospettiva giovannea il dualismo è radicalmente respinto. Dio è luce e solo luce, non ci sono tenebre. Le tenebre non sono una realtà positiva, sono la mancanza di luce. Anche nel prologo del Vangelo Giovanni riprende la metafora della luce parlando dell'azione del Verbo eterno nella storia umana: "veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo" (4,9). Dove risplende la luce non ci sono tenebre. Le tenebre stagnano dove non arriva la luce o dove essa viene respinta. Credo che possiamo riassumere questo primo messaggio così: non sappiamo cosa è Dio, ma sappiamo che è una forza positiva e che in sé non ha componenti negative. La sua azione riflette continuamente questa perfezione.

Permettete che faccia una parentesi sul problema del male, dato che ho accennato al dualismo. L'esistenza del male è stato uno dei grandi interrogativi che hanno accompagnato il pensiero religioso. Il male nella creazione e nella storia, infatti, costituisce una difficoltà notevole per la fede in Dio. Se diciamo che Dio è solo bene, dobbiamo rispondere alla domanda: da dove viene il male? Questo è l'interrogativo da cui è partito lo gnosticismo. Unde malum?

A questo interrogativo oggi è più facile rispondere che nel passato, perché la cultura attuale ha acquisito la consapevolezza del tempo come componente essenziale della creatura. Il tempo non è un fattore esteriore, come il palcoscenico dove si svolge il dramma umano, ma è una struttura essenziale della creatura. Essa non è in grado di accogliere e di esprimere tutta la sua ricchezza vitale e quindi di raggiungere la sua identità personale in un solo istante, ma ha bisogno di tappe successive, di esperienze molteplici. La creatura vive solo a frammenti in una successione di situazioni diverse. Abbiamo bisogno di portarci dietro il passato, di aprirci costantemente alla novità del futuro e tutto questo nel piccolo istante presente che ci è donato. Da questa condizione consegue che tutto il cammino compiuto nella storia è accompagnato necessariamente dalla insufficienza, dalla inadeguatezza, dalla imperfezione e dal male, che, a sua volta, diventa peccato quando è rifiuto volontario del dono offerto dalla vita. Il male non richiede un'aggiunta di causalità, non è stato introdotto da un'azione successiva a quella di Dio, come se Dio avesse fatto bene tutte le cose e poi qualcuno le avesse guastate. Dio sta facendo ora le cose, ma il bene senza imperfezioni esisterà solo alla fine, perché le creature non possono accogliere le offerte divine tutte insieme, in un solo istante. Quello che noi chiamiamo male è una componente essenziale del nostro processo di creature, del nostro sviluppo nel tempo. Non c'è un'altra causa prima oltre a Dio.

Dio è tutto luce, ma noi, che non possiamo accogliere il suo dono interamente in un istante solo, siamo un groviglio di luce e di tenebre. Il vuoto, il nulla, la tenebra dell'inizio non sono ancora stati sconfitti, perché il tempo a disposizione non è stato ancora sufficiente. Sono stati necessari molti miliardi di anni perché sorgesse la specie umana: quel tempo non poteva essere abbreviato. Non si può dire: Dio è onnipotente, può fare tutto nella creazione e nella storia. Dio è onnipotente in sé, ma noi non lo siamo e non possiamo accogliere in un istante tutto ciò che Lui ci offre. Nella creazione e nella storia l'azione di Dio, limitata dalle creature, non può esprimersi in tutta la sua potenza. Quando diciamo Dio onnipotente esprimiamo la fede in Dio che ci può condurre al compimento, ma non vogliamo dire che Dio possa tutto in questo momento della nostra vita, perché egli è limitato dalla nostra condizione e dalla nostra capacità di accoglienza. Inoltre il termine onnipotente presente nel Credo è una traduzione non esatta della formula greca, che a sua volta non traduce bene quella ebraica da cui deriva. Il termine greco è pantocrator, che significa: colui che tiene le cose insieme e traduce nella LXX la formula Eloim sebaot, (cfr Is 6,3) Dio degli eserciti o il Dio delle schiere. I latini non avevano una parola corrispondente a pantocrator, siccome però i pagani (che in quel tempo entravano a frotte nella chiesa) chiamavano Juppiter onnipotens, anche i cristiani sono ricorsi a questa formula, più per ragioni pastorali che teologiche dato che i pagani divenuti cristiani la percepivano familiare. Nella traduzione italiana e poi nell'uso comune, quando diciamo Dio onnipotente pensiamo che Egli possa fare tutto. Ma questa convinzione non è esatta. Ora è importante avere una immagine corretta di Dio, per vivere bene il rapporto con Lui, e aprirsi alla sua azione in modo che fiorisca in noi come novità di vita e diventi nostra ricchezza.

In Dio non c'è tenebra, ma in noi ci sono tenebre, perché non siamo pienamente illuminati. Illuminati: così venivano chiamati i cristiani. Il battezzato è colui che è rivestito di luce. Il Battesimo inizia il cammino, ma la tenebra resta finché non diventiamo figli, finché non ci lasciamo investire pienamente dalla luce e diventiamo luminosi. Giovanni giunge subito a una applicazione concreta: “Se diciamo che siamo in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato" (1,6-7).

Dal fatto che Dio è luce Giovanni trae due conclusioni immediate: siamo in comunione gli uni con gli altri e siamo purificati dai peccati. L'azione di Dio mette in comunione, fonda la koinonia che è la condizione specifica dei discepoli di Gesù. Camminare nella luce implica essere in comunione gli uni con gli altri mentre camminare nelle tenebre corrisponde alla mancanza di comunione. Se diciamo di essere in comunione con lui, ma camminiamo nelle tenebre, mentiamo, perché se Dio è il faro che proietta la sua luce sul cammino non possiamo ignorare che cammina con noi. Non possiamo camminare nelle tenebre disgiunti gli uni dagli altri (le tenebre dividono); se la via di Gesù è la via della luce è necessariamente via di comunione. Qui alla metafora della luce si aggiungono le metafore della via e del cammino.

La metafora della via è stata la prima a qualificare l'identità cristiana dato che i primi seguaci di Gesù venivano chiamati: quelli che seguono la via. Negli Atti degli Apostoli appare questo uso prima che nel mondo di lingua greca e precisamente ad Antiochia (forse un qualche burocrate) si inventasse il nome 'cristiano' (At. 11, 26). Nel capitolo nono si dice Saulo "chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne seguaci della vita di Cristo" (At 9, 2 trad. CEI ha dottrina, ma la nota precisa che alla lettera sarebbe 'via'. Cfr anche At 18,25.26; 19,9.23; 22,4;24,14.22)

La metafora del camino è conseguente e spesso ritorna negli scritti neotestamentari. Paolo ad es. usa spesso la metafora della corsa: “corro verso la meta per arrivare al premio” (Fil. 3,14 cfr. 1 Cor 9,24-26; Gal 5,7 ecc.). la lettera agli Ebrei parla a volte della “corsa che ci sta davanti” (Eb. 12,1).

Anche i membri della comunità di Qumran si chiamavano figli della luce in contrapposizione ai figli delle tenebre. Gesù e i primi cristiani erano vicini più agli Esseni che ai Farisei o ai Sadducei. Forse è questa la ragione per cui gli Esseni non vengono mai nominati nel Nuovo Testamento, proprio perché costituivano l'area in cui i cristiani si muovevano.

Questo è il primo effetto dell'essere nella luce, siamo in rapporto gli uni con gli altri.

La remissione dei peccati

Il secondo effetto: il sangue di Gesù ci purifica da ogni peccato. Il presupposto di questa affermazione è che tutti siamo peccatori. Giovanni lo afferma chiaramente: "Se diciamo che siamo senza peccato inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi" (1,9 s.).

Il perdono dei peccati è uno degli annunzi essenziali della Nuova Alleanza. La purificazione dal peccato è un’azione divina ed è gratuita, è iniziativa di Dio, ma esige che riconosciamo di essere peccatori, perchè se diciamo di essere senza peccato inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Giovanni continua: "Vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo" (2,1-2).

Queste affermazioni relative al perdono dei peccati spesso vengono interpretate in modo errato, sia per il termine espiazione, che viene inteso nel senso moderno e non nel senso biblico, sia perché pensiamo che esistano condizioni preliminari perché Dio ci perdoni. Precisiamo subito che il perdono dei peccati anche se incondizionato, deve essere accolto per diventare efficace. Incondizionato vuol dire che il perdono è iniziativa divina ed è gratuito, non chiede nulla da noi. L'unica condizione per essere perdonati è accogliere la misericordia di Dio, dato che la sua azione non è condizionata, Dio infatti non richiede prezzi o compensi. Questo è uno dei messaggi centrali della Nuova Alleanza. Ricordate Geremia: "Perdonerò la loro iniquità, non mi ricorderò più del loro peccato (31,34).

L'attività di Gesù si è subito concretizzata come attenzione ai peccatori e quindi come perdono dei peccati. È necessario però che noi accogliamo l'azione di Dio, altrimenti non c'è perdono del peccato. Questi processi sono processi vitali, non giuridici. Noi diventiamo viventi per l'azione di Dio che suscita una nostra qualità, un nostro pensiero, una nostra decisione e quindi una nostra azione. Noi però, in virtù dei doni già ricevuti, possiamo non accogliere la misericordia divina e impedire che diventi nostra azione. Per accoglierla dobbiamo riconoscerci peccatori. Riconoscerci peccatori non è una condizione posta da Dio alla sua offerta, come se Dio dicesse: "Tu non ti riconosci peccatore? Allora non ti offro perdono". Dio non ricorre a questi ricatti. Dio offre sempre il perdono, ma se noi non ci riconosciamo peccatori non siamo in grado di accogliere l'azione misericordiosa di Dio e se non accogliamo la misericordia che ci investe, essa non diventa nostra qualità e in noi non fiorisce novità di vita. Se ci riteniamo buoni, giustificati e santi, non avvertiamo il bisogno di rivolgerci a Dio per accogliere la sua misericordia. Riconoscerci peccatori, perciò, e aprirci alla misericordia divina non sono condizioni giuridiche o estrinseche poste da Dio bensì condizioni vitali richieste dalle stesse dinamiche della crescita personale.

Se diciamo di essere senza peccato inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Il male esiste nella nostra vita perché siamo ancora incompiuti. Nessuno dei nostri atti di amore è così puro da contenere una qualche ricerca di noi, nessun atto di servizio è talmente perfetto da non contenere egoismo. Non dobbiamo pensare di essere compiuti e perfetti. Tutto ciò che noi pensiamo, decidiamo e operiamo porta il segno della nostra incompiutezza e costituisce il regno del peccato. Qui il termine peccato va inteso in un senso più ampio come il male della nostra vita.

Nella nostra vita non c'è nessun pensiero che sia totalmente puro, nessun gesto che sia radicalmente gratuito, nessun desiderio che sia libero dal nostro egoismo. Dobbiamo riconoscere questo bisogno di purificazione continua, altrimenti siamo bugiardi. Riconoscerci bisognosi dell'azione di Dio, riconoscerci imperfetti è la condizione assoluta per aprirci alla misericordia di Dio. Questo vale non solo a livello personale bensì anche a livello comunitario, di popolo e di Chiesa. La Chiesa deve riconoscersi peccatrice. Uno scritto del secondo secolo, il Pastore di. Ermas, presenta la Chiesa nell'immagine di una vecchia, con le rughe, perché c'erano già le divisioni e incomprensioni fra le diverse comunità. Nei secoli successivi la Chiesa ha compiuto scelte sbagliate e spesso è stata infedele al Vangelo. Dobbiamo riconoscere il peccato della Chiesa. Il Papa Giovanni Paolo II ha insistito molto sulla necessità che la Chiesa chieda perdono per le sue numerose colpe storiche, in occasione dei suoi viaggi nelle diverse parti del mondo e soprattutto in occasione del grande giubileo. Ci sono state però molte resistenze anche da parte di Cardinali ad ammettere il peccato della Chiesa. Certo, la Chiesa celeste è santa, ma sulla terra la Chiesa è peccatrice e ha bisogno di essere purificata continuamente. Sì, anche sulla terra la Chiesa può essere detta santa, in quanto è continuamente purificata dalla misericordia di Dio e santificata dal Sangue del Calice. Per questo i Padri dicevano che la Chiesa è: sancta et meretrix, santa e meretrice. Meretrice per le sue infedeltà al Signore e santa perché santificata ogni giorno dall'azione purificatrice di Dio.

Secondo elemento da chiarire è il termine espiazione che oggi viene inteso nel senso di pagare il debito della propria colpa, il fio del proprio delitto. Il termine ebraico che soggiace questa formula è Kippur, che vuoi dire: purificare. Nel rito ebraico il termine designa l'azione che Dio compie per purificare i peccati degli uomini. Giovanni scrive: "Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa" (1,9). Poi aggiunge che Gesù Cristo, giusto, "è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo" (2,2).

Purificare ed espiare si corrispondono in senso biblico. Il catechismo della CEI quando parla della redenzione, ha due pagine con i termini da utilizzare nel senso giusto. Spiega che il termine espiazione è da intendersi come purificazione. E' un'azione compiuta da Dio. Non siamo noi che dobbiamo espiare, non è Gesù che ha pagato a Dio il debito del nostro peccato o ha offerto a Dio una sofferenza in compenso dei peccati degli uomini o per espiare i peccati degli uomini. Gesù ha messo a disposizione di Dio il suo corpo perché Egli potesse esprimere la sua misericordia e comunicasse vita agli uomini. Gesù ha espiato perché ha offerto a noi la purificazione da parte di Dio, donandoci il suo Spirito. Egli ha offerto agli uomini la testimonianza dell'amore misericordioso di Dio, che purifica dai peccati e rinnova la vita. In questo senso Paolo può affermare: "Se uno è in Cristo è una creatura nuova. Le cose vecchie sono passate, ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione" (2 Cor 5,5-17).

La purificazione o espiazione quindi è una iniziativa di Dio a favore di tutti gli uomini, non solo dei Cristiani. L'azione misericordiosa di Dio si rivolge a tutti gli uomini che, consapevoli di essere peccatori, Lo riconoscono come misericordioso e ne accolgono il perdono.

(Testo tratto dalla registrazione di una conferenza e pubblicato in Monastica, 2, aprile-giugno 2005, pp. 5-16).

Letto 3375 volte Ultima modifica il Venerdì, 31 Marzo 2006 20:13
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search