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Sabato, 26 Giugno 2004 15:29

3.2. La dimensione simbolica dei sacramenti

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Giustificazione, Grazia e Sacramenti
don Marino Qualizza



 


 3.2. La dimensione simbolica dei sacramenti


Si diceva all’inizio che nel primo millennio cristiano, soprattutto,si sottolineava parecchio la dimensione simbolica, non solo dei sacramenti, ma di tutta la realtà. Il maestro riconosciuto in questa impostazione era Platone, le cui intuizioni filosofiche furono rielaborate in diverse scuole teologiche, prima fra tutte quelle di Alessandria, all’inizio del III secolo, soprattutto con Clemente e Origene. Ma il grande maestro che influì su tutto lo svolgimento ulteriore della teologia sacramentaria è sant’Agostino. La sua teologia sui sacramenti è veramente geniale e spazia in diversi settori, nei quali ha contribuito a sciogliere dubbi e risolvere situazioni difficili; il tutto con una maestria eccezionale. Certo, ci sono anche dei punti su cui si possono nutrire delle riserve, ma in genere la sua visione ed elaborazione sono da capolavoro.


In seguito l’attenzione al dato simbolico dei sacramenti fu lasciato in ombra, perché, questo a partire dal secondo millennio cristiano, l’attenzione si era concentrata maggiormente sull’efficacia dei sacramenti, sul fatto che davano la grazia che significavano. Solo negli anni ’50 del secolo appena trascorso, l’attenzione dei teologi fu nuovamente attirata dal fatto che i sacramenti sono segni, simboli, immagini, figure di un’altra realtà, a cui danno luogo per la forza dello Spirito di Dio. Non bisogna dimenticare che proprio la differenza di simbolismo rende ragione della diversità dei sacramenti. Se tutti, indistintamente, dessero solo la grazia, ne basterebbe uno solo.



3.2.a. Un cambio di mentalità


Ma agli inizi del secolo XX avvenne un significativo cambio di mentalità nella cultura filosofica europea, con la svolta operata dalla Fenomenologia. Essa si proponeva di restituire alla sua dignità ciò che appare, in quanto non è solo qualcosa di superficiale, ma è rivelazione di qualcosa di più profondo, a cui però arriviamo proprio perché qualcosa ce lo rivela. Era un trampolino di lancio prezioso per la elaborazione teologica, in molti settori, ma soprattutto in quello dei sacramenti. Ciò dunque, che aveva caratterizzato la teologia di Agostino, viene ripreso ed elaborato in un nuovo contesto culturale, quello del XX secolo. Ne derivò una comprensione senz’altro più ricca ed appropriata dei sacramenti e, nello stesso tempo, fu data opportunità ai teologi di adoperare un linguaggio che non era sconosciuto alla cultura del tempo.




3.2.b. Cambiamenti di vocabolario


Ne conseguì, necessariamente, un cambiamento di vocabolario. Si ricominciò a parlare dei sacramenti come di simboli – reali – della grazia di Dio, nel senso che la significano e la rendono presente; di immagini del mondo di Dio e della grazia che ci salva; di figure che danno forma all’opera di Dio in Cristo; di segni dai quali si riconosce l’azione di Dio ed il passaggio dello Spirito Santo. Una ricchezza notevole, che tuttavia non passò senza qualche perplessità, per il fatto che ci si scostava da un vocabolario ormai acquisito e stabilizzato. Ma il vantaggio fu grande. Come si diceva, il simbolo dell’acqua nel battesimo era di per sé eloquente per intendere questo sacramento nella linea dell’intera storia della salvezza, come rinascita nella purificazione. E così per gli altri sacramenti, fino ad arrivare alla realtà stessa del corpo umano, per quanto riguarda il matrimonio.


Da ciò anche la possibilità e l’urgenza di ripresentare la simbologia cristiana dei sacramenti con un linguaggio adatto e con l’attenzione al clima culturale di oggi. Prova ne sia che, almeno nelle intenzioni, e a livello teoretico, la liturgia, che si sostanzia nei sacramenti, ne ha tratto evidente vantaggio. Un modo più vivo, una presentazione più attenta alla vita, un inserimento più immediato nella realtà di oggi, sono i primi risultati di questa impostazione che ha bisogno di ulteriori sviluppi.



3.2.c. La dimensione escatologica


La parola non spaventi, perché non dice nulla se non l’orientamento di tutta la nostra vita verso Dio, che incontreremo definitivamente oltre questa vita. Non si tratta nulla di nuovo, ma presentato in forma nuova. Tutti conosciamo i quattro novissimi, nei quali si riassumeva tutta la nostra conoscenza dell’escatologia cristiana: morte, giudizio, inferno, paradiso. Tale presentazione aveva il limite di pensare queste realtà solo o quasi, come realtà che vengono dopo. Mentre la vita cristiana si svolge ora. A dire il vero il grande san Tomaso d’Aquino, aveva espresso in modo felicissimo la verità sui sacramenti, compresa la dimensione escatologica, nella nota antifona O sacrum convivium.


Parlando dell’eucaristia, ne riassumeva in sintesi la verità, dicendo che essa era incontro con Cristo, pienezza di grazia, memoria liturgica della sua passione e pegno della gloria futura. Qui c’era proprio l’accenno alla gloria futura come realtà che già si pregusta nell’eucaristia. Nelle epoche successive a Tommaso, questo riferimento fu sempre tenuto presente, ma letto e interpretato, necessariamente, secondo il prevalere del sentire teologico di allora. In pratica ci si limitava a ricordare i novissimi.



3.2.d. La riscoperta dell’escatologia


Gli studi biblici, proprio all’inizio del ‘900, rimisero in luce una verità per sé evidente nei Vangeli: in essi Gesù inizia la sua missione, parlando della imminente venuta, se non addirittura della presenza di Dio nella storia degli uomini. È il vangelo del regno di Dio, che si annuncia presente ed operante per la salvezza o riuscita della storia umana. Questa riscoperta o sottolineatura ha operato in modo molto positivo nella teologia, perché l’ha aiutata ad allargare gli orizzonti e a considerare l’escatologia, cioè le verità finali, come già operanti, anche se nel mistero, nella nostra storia. Il mondo futuro è già cominciato e ciò che avviene nella nostra vita di fede è già anticipo e partecipazione iniziale alla vita futura.



3.2.e. I sacramenti verità dell’escatologia cristiana


Ancora una volta, appare in tutta evidenza la singolarità della fede cristiana. Essa non è un sistema ben ordinato di dottrine, di filosofia o di teologia, anche se questo non lo escludiamo; la fede cristiana è veramente vita vissuta in adesione e comunione a Cristo. E i sacramenti ne sono la concretezza. Così noi viviamo l’attesa della venuta di Cristo, partecipando ora alla sua opera di salvezza, essendone beneficiari e nello stesso tempo anche offrendone il frutto al mondo intero. Così essi assolvono a due compiti: sono profezia sul passato, perché annunciano la pasqua di Cristo e sono profezia sul futuro, perché ci fanno partecipare al mondo della risurrezione.


3.2.f. Indicazione bibliografica essenziale


Schneider Th. , Segni della vicinanza di Dio. Compendio di teologia dei sacramenti, Queriniana, Brescia 19893


Ferraro G., I sacramenti nella liturgia, Dehoniane, Roma 1997


Mozzanti G., I sacramenti, simbolo e teologia. 1. Introduzione generale, EDB, Bologna 1997


Rocchetta C., Sacramentaria fondamentale. Dal <<mysterion>> al <<sacramentum>>, EDB, Bologna 19902.

Letto 4107 volte Ultima modifica il Martedì, 03 Agosto 2004 22:12

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