Formazione Religiosa

Domenica, 25 Febbraio 2007 18:39

Il sacramento dell'ordine

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Nella successione dei sette sacramenti, usuale a partite dall’alto Medioevo, il settimo è detto sacramento dell’ordine. Con questo nome la chiesa cattolica intende l’ufficio del ministero, articolato in tre gradi, ai cui detentori diamo il nome di vescovi, sacerdoti e diaconi.

a) Le ordinazioni

Nella successione dei sette sacramenti, usuale a partite dall’alto Medioevo, il settimo è detto sacramento dell’ordine. Con questo nome la chiesa cattolica intende l’ufficio del ministero, articolato in tre gradi, ai cui detentori diamo il nome di vescovi, sacerdoti e diaconi. Una piccola inchiesta negli scritti neotestamentari servirà a chiarire quanto questi uffici corrispondano all’intenzione di Gesù e come furono visti e praticati nelle comunità apostoliche.

Fondamenti biblici e sviluppo storico del sacramento dell’ordine

Il NT conosce numerosi titoli di onore per Gesù, i quali esprimono il significato della sua persona e della sua opera per gli uomini. «Gesù per la chiesa primitiva è colui che ha e dona lo Spirito, colui che è inviato e che invia, colui che serve e chiama a servire. Perciò gli vengono dati anche molti nomi e titoli tradizionali, i quali tutti devono rilevare la mediazione singolare e del tutto nuova di Gesù, il crocifisso e il risorto, che continua la sua vita al tempo stesso presso Dio e nella sua chiesa: egli è il santo di Dio, il liturgo, il mediatore dell’alleanza, il sacerdote, insieme offerente e vittima, l’unico e definitivo sommo sacerdote; egli è colui che è munito del pieno potere, colui al quale ogni potere è stato dato in cielo e in terra. Egli è il Figlio di David, il profeta, il Figlio dell’uomo, il buon pastore, il re d’Israele, il Figlio di Dio. Gesù è il testimone fedele, colui che guida tutti gli uomini alla salvezza».

Tra questi titoli di onore, quelli di profeta, di pastore e di sacerdote esprimono in modo particolarmente denso la sua opera per l’umanità; noi parliamo dell’ufficio di profeta (maestro), di pastore e di sacerdote di Gesù. Come profeta egli è il messaggero di una nuova e buona novella da parte di Dio, come pastore egli, disinteressato, pieno di abnegazione e pronto al sacrificio, serve gli uomini, i quali erano «come pecore senza pastore» (Mt 9,36; Mc 6,34) e offre la sua vita per loro (cfr. Gv 10,1-18). Egli vede la sua morte in croce come obbedienza alla volontà del Padre suo e la accetta con amore quale sacrificio per la salvezza del mondo, come le parole decisive dei racconti dell’Ultima Cena fanno chiaramente capire. Però colui che offre se stesso in questo modo per la salvezza del mondo deve essere detto in realtà un sacerdote, un sommo sacerdote. L’ufficio pastorale di Gesù si compie nel suo ufficio sacerdotale. «Per me non c’è dubbio che il termine “pastore” indica compiutamente la missione di Gesù, e tuttavia il sacerdozio indica il massimo di intensità del suo ufficio pastorale, poiché Cristo compie tale ufficio attraverso il dono di sé fino alla morte». Egli è nello stesso tempo il ministro e l’offerta del sacrificio.

Poiché tuttavia Cristo è lo strumento dell’universale volontà saIvifica di Dio, egli, come Signore glorificato, attraverso il suo Spirito, perpetua questi servizi di salvezza in tutti i tempi, rimanendo presente agli uomini come maestro, pastore e sacerdote. Egli realizza questa presenza attraverso l’invio dei suoi discepoli.

Cristo collega l’invio dei suoi apostoli e discepoli a continuare così il suo triplice ufficio con l’assicurazione che egli è dietro di loro, solidarizza e anzi si identifica con loro. Così nell’inviare i 70 discepoli dice: «Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi mi ha mandato» (Lc 10,16). Nello stesso modo, dopo aver lavato i piedi ai suoi discepoli egli assicura: «In verità, in verità vi dico: Chi accoglie colui che io manderà, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato» (Gv 13,20).

Un tale invio e una tale delega di poteri con un così alto grado di identificazione di Cristo con gli inviati, significa per essi una responsabilità quasi sovrumana. La loro prima preoccupazione dovrebbe essere di incontrare sempre gli uomini nel modo con cui Cristo li incontrerebbe e di rendersi trasparenti nei confronti della persona e dell’intenzione salvifica di Cristo. Per abilitarli a ciò egli promette loro lo Spirito santo e prega per loro: «Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso perché siano anch’essi consacrati nella verità» (Gv 17,17 s.). Qui è chiaro che l’invio dei discepoli non è solo un incarico (= ordinazione), ma contiene pure un elemento di santificazione e di consacrazione che autorizza pienamente a parlare appunto di consacrazione.

La continuazione del triplice ufficio di Cristo nei suoi inviati riguarda dapprima la cerchia ristretta dei seguaci, i cui componenti sono chiamati dagli evangelisti ora apostoli, ora discepoli. Però oltre a questo il NT conosce nella comunità apostolica una quantità di doni dello Spirito o carismi, i quali devono servire alla edificazione del Corpo di Cristo (cfr. 1 Cor, 12,28).

Oltre agli uffici e ai carismi non si deve trascurare che tutti i fedeli, in base alla loro vocazione e santificazione, sono tenuti a collaborare alla edificazione del popolo di Dio. Nel battesimo e nella confermazione è conferito loro questo «sacerdozio comune dei fedeli» (cfr. 1 Pt 2,9): anche essi quindi sono al servizio di Cristo.

I capi della comunità vengono designati (dapprima indistintamente) come pastori, episcopi e presbiteri, e solo in seguito vengono distinti gli uni dagli altri nelle loro funzioni e competenze. Le lettere del vescovo e martire Ignazio di Antiochia (dopo il 110) conoscono già i gradi gerarchici di vescovo, presbitero e diacono, con poteri ben determinati e reciproca correlazione. Questo ordinamento degli uffici si diffuse con relativa rapidità in tutta la chiesa e si mantenne fino a oggi.

Ma la Chiesa non è legata per sempre ed esclusivamente a questa forma di ministeri. Proprio in questi nostri tempi vediamo come da bisogni pastorali e anche da un nuovo accento posto sul laicato sorgano nuove attività, le quali portano anche a nuovi ministeri, paragonabili alle sfere di competenza dei carismi neotestamentari in 1 Cor 12.

Il riconoscimento dei mutamenti storici e delle possibilità non ancora esaurite non ci dispensa dall’obbligo di vedere e di accettare nell’attuale ordinamento del triplice ministero sacramentale uno sviluppo legittimo, che in definitiva ha le sue radici nella volontà salvifica di Cristo. Ministero sacramentale significa che vescovi, sacerdoti e diaconi sono segni e strumenti, rappresentanti attivi di Gesti Cristo, profeta, pastore e sacerdote, il quale opera nella e attraverso la sua chiesa. Dovunque essi annunciano la parola di Dio, celebrano i sacramenti e prestano agli uomini le molteplici opere dell’amore che serve e della guida che aiuta, Cristo è presente ed è all’opera con essi (cfr. SC 7).

Purtroppo talora il senso del potere ha, nei secoli, oscurato questo aspetto di servizio.

L’episcopato

Mentre, come gia ricordato, negli scritti neotestamentari, le parole episkopos (da cui la nostra parola italiana vescovo, letteralmente: (soprintendente) e presbyter (da cui la nostra parola prete, letteralmente: anziano) sono ancora usate molto indistintamente, emerge all’inizio del sec. II, in Siria e in Asia minore, l’episcopato monarchico con autorità su presbiteri e diaconi. Le prime testimonianze sono fornite dalle lettere del vescovo e martire Ignazio di Antiochia. L’autorità dell’ufficio episcopale viene incrementata dal fatto che i suoi titolari, dalla metà del sec. II spesso si radunano in sinodi per deliberare sulla difesa dalle eresie, che si diffondono minacciosamente. Il conferimento liturgico dell’ufficio attraverso l’imposizione delle mani e la preghiera,di cui si parla già nel NT (At 6,6; 1 Tm 4,14; 2 Trn 1,6), viene descritto per la prima volta nella Tradizione apostolica di Ippolito di Roma attorno al 215. Ivi viene anche rilevata espressamente la preghiera epicletica dell’assemblea. L’ordinazione episcopale era preceduta dalla scelta del candidato da parte della comunità

Di significato storico fu il fatto che già Pio XII con la Costituzione apostolica Sacramentum ordinis del 30 novembre 1947 decise con un intervento di magistero che il rito essenziale in tutti e tre i gradi del sacramento consistesse nell’imposizione delle mani e nella preghiera di ordinazione. Il Vaticano II era consapevole della debolezza non solo del rito dell’ordinazione, ma anche della teologia dell’ufficio episcopale. Mentre la SC, come primo documento del concilio, con chiaro riserbo, si limita a chiedere una rielaborazione del rito dell’ordinazione e permette nella consacrazione episcopale l’imposizione delle mani di tutti i vescovi presenti (invece di tre soltanto come finora), LG e CD pongono in modo più approfondito le basi teologiche. Della consacrazione episcopale si insegna che attraverso di essa viene conferita la «pienezza del sacramento dell’ordine» e che «i vescovi, in modo eminente e visibile, sostengono le parti dello stesso Cristo Maestro, Pastore e Pontefice, e agiscono in sua persona» (LG 21). Peraltro nei documenti vaticani le espressioni latine ordinatio e consecratio vengono usate indistintamente come già appare in SC 76.

In seguito i Vescovi hanno affidato, in vario grado, il loro ministero a vari soggetti della Chiesa.

Tutte le ordinazioni hanno luogo nell’ambito di una celebrazione eucaristica, dopo il vangelo e possibilmente in un giorno domenicale o festivo per facilitare una grande partecipazione di fedeli. Per motivi pastorali però può essere scelto anche un altro giorno come, per l’ordinazione di un vescovo, la festa di un apostolo.

Il rito dell’ordinazione di un vescovo prevede che il consacrante principale abbia come con-consacranti almeno altri due vescovi. Però anche tutti gli altri vescovi presenti possono opportunamente (decet) diventare consacratori compiendo l’imposizione delle mani. Il candidato all’ordinazione, che nei testi ufficiali è designato come “eletto”, è assistito da due presbiteri. Tutti coloro che sono stati citati prendono parte all’eucaristia concelebrando. L’ordinazione inizia dopo il vangelo e ha la seguente struttura:

a) Invocazione allo Spirito santo, presentazione e lettura del mandato del papa;
b) Omelia del celebrante principale;
c) Interrogazioni;
d) Litanie dei santi;
e) Imposizione delle mani e preghiera di ordinazione con imposizione del libro dei vangeli;
f) Riti esplicativi: unzione crismale, consegna del libro dei vangeli, consegna dell’anello, della mitra e del pastorale, insediamento;
g) Abbraccio di pace;
h) Riti di conclusione al termine della celebrazione eucaristica.

a) Come invocazione allo Spirito santo è previsto il Veni, creator Spiritus o un altro inno corrispondente. L’eletto si avvicina al consacrante principale. Uno dei sacerdoti che l’assistono fa la domanda di ordinazione episcopale per l’eletto. Quindi viene letto il mandato del papa, al termine del quale tutti rispondono «Rendiamo grazie a Dio».

b) Nell’omelia il celebrante principale prende lo spunto dall’invio di Cristo da parte del Padre, che trova la sua continuazione nella missione degli apostoli, che essi a loro volta trasmettono ai loro successori con l’imposizione delle mani. Grazie a essa è conferita «la pienezza del sacerdozio» e continua «l’ininterrotta successione dei vescovi», e con essa si ha la prosecuzione dell’opera della salvezza.

c) Le interrogazioni, nelle quali il celebrante principale ritorna ancora una volta su questi importanti obblighi e amplia il discorso con la domanda sulla disponibilità a custodire puro e integro il deposito tradizionale della fede e a rimanere unito al papa nell’obbedienza e nella fedeltà. Davanti a tutta l’assemblea il candidato consente con le parole: «Sì, lo voglio»

d) Le successive litanie dei santi, quale preghiera dell’assemblea, sono concluse dal consacrante principale con la preghiera: «Ascolta, o Padre, la nostra preghiera: effondi su questo tuo figlio con la pienezza del sacerdozio la potenza della tua benedizione».

e) Ora il consacrante principale impone le mani - e dopo di lui anche tutti i vescovi presenti - sul capo dell’eletto senza dire nulla. Quindi gli viene imposto sul capo il libro dei vangeli aperto, che due diaconi sorreggono fino al termine della preghiera di ordinazione. Questa cerimonia, già conosciuta in Oriente (Siria occidentale) nel sec. IV, doveva simboleggiare nel senso originario la discesa dello Spirito «come dono del Signore Gesù Cristo presente nel segno dell’evangeliario» . La preghiera di ordinazione fin qui in uso è stata sostituita da quella di Ippolito, leggermente rimaneggiata, preghiera utilizzata anche nei patriarcati di Antiochia e di Alessandria della chiesa orientale. La Costituzione apostolica Pontificalis Romani considera come essenziali le parole: «Effondi ora sopra questo eletto la potenza che viene da te, o Padre, il tuo Spirito che regge e guida; tu lo hai dato al tuo diletto Figlio Gesù Cristo ed egli lo ha trasmesso ai santi apostoli che nelle diverse parti della terra hanno fondato la chiesa come tuo santuario a gloria e lode perenne del tuo nome».

f) Poiché con l’imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione si è compiuto il sacramento, i riti che seguono devono essere considerati come riti esplicativi dell’ordinazione avvenuta. Ciò vale anche per l’unzione crismale del capo, già inserita nella preghiera di ordinazione e considerata come parte essenziale.

La successiva consegna del libro dei vangeli si riferisce alla partecipazione all’ufficio di insegnamento di Cristo.

La consegna dell’anello episcopale, benedetto insieme con la mitra e il pastorale non più nella messa di ordinazione ma prima, in un momento conveniente, simboleggia l’obbligo di fedeltà del vescovo verso la chiesa, specialmente la chiesa locale, che nelle parole di accompagnamento è designata come sposa di Cristo.

La mitra è imposta senza nessuna formula di accompagnamento.

Un simbolo eloquente dell’ufficio di pastore del vescovo è il pastorale, conosciuto anche dalla chiesa orientale. Il consacrante principale lo consegna con le parole che si richiamano al discorso di addio di Paolo a Mileto (At 20,28): «Ricevi il pastorale, segno del tuo ministero di pastore: abbi cura di tutto il gregge in mezzo al quale lo Spirito santo ti ha costituito vescovo per reggere la chiesa di Dio».

g) A conclusione del rito di ordinazione il nuovo vescovo, se è stato ordinato nella sua cattedrale, viene condotto alla cattedra (seggio episcopale) e qui egli riceve da tutti i vescovi presenti l’abbraccio di pace.

h) Detta l’orazione dopo la comunione, mentre si canta il Te Deum, il neoordinato viene condotto attraverso la chiesa e imparte ai fedeli la sua prima benedizione episcopale.

Il Presbiterato

Da quanto detto sopra è emerso che anche il ministero dei sacerdoti deve essere visto solo come partecipazione ai tre uffici di Cristo e quindi come sviluppo dell’unico ministero che Cristo ha affidato alla sua chiesa. Ogni derivazione da, o parallelo con i sacerdoti di Israele o della religione pagana, è fuori posto. Per questo fu anche molto grave il fatto che dalla fine dell’epoca antica e poi in misura accresciuta nel Medioevo si fossero introdotti nei riti di ordinazione degli elementi testuali, che ponevano in risalto l’ufficio dei sacerdoti e dei leviti dell’AT come modello ed esempio del sacerdozio cristiano.

Elementi fondamentali quanto all’essenza e al significato del ministero sacerdotale sono contenuti soprattutto in alcuni documenti del magistero del Vaticano II, specialmente in LG, CD e nel “Decreto sul ministero e la vita dei Presbiteri” (Presbyterorum ordinis = PO) del 7 gennaio 1965. «I Presbiteri, pur non possedendo l’apice del sacerdozio e dipendendo dai vescovi nell’esercizio della loro potestà, sono tuttavia a loro congiunti per l’onore sacerdotale e in virtù del sacramento dell’ordine, ad immagine di Cristo….., sono consacrati per predicare il vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento. Partecipi, nel loro grado di ministero, dell’ufficio dell’unico Mediatore Cristo (1 Tm 2,5) annunziano a tutti la divina parola. Ma soprattutto esercitano il loro sacro ministero nel culto eucaristico o sinassi….. agendo in persona di Cristo e proclamando il suo mistero...» (LG 28). Il discorso verte quindi sul loro servizio di riconciliazione dei peccatori e di sollievo dei malati. Nella partecipazione all’ufficio pastorale di Cristo essi portano le loro comunità per mezzo di Cristo, nello Spirito santo, al Padre. «I sacerdoti, saggi collaboratori dell’ordine episcopale e suo aiuto e strumento…., costituiscono col loro vescovo un unico presbiterio, sebbene destinato a diversi uffici» (ivi). Per così dire essi rendono presente nelle loro comunità il vescovo, e nello stesso tempo rendono visibile la chiesa universale.

Il nuovo rito dell’ordinazione sacerdotale è nella sua struttura molto simile a quello dell’ordinazione dei vescovi e dei diaconi. Anche l’ordinazione sacerdotale viene celebrata dopo il vangelo di una celebrazione eucaristica, in giorno domenicale o festivo, e ha la seguente struttura:

a) Presentazione dei candidati ed elezione da parte del vescovo;
b) Omelia del vescovo;
c) Interrogazioni e promesse di obbedienza dei candidati, che pongono le mani in quelle del vescovo;
d) Litanie dei santi;
e) Imposizione delle mani e preghiera di ordinazione;
f) Riti esplicativi: vestizione degli abiti sacerdotali, unzione crismale delle mani, consegna del pane e del vino;
g) Abbraccio di pace.

a) I candidati, che hanno indossato amitto, camice, cingolo e stola diaconale, vengono chiamati per nome. Ciascuno risponde «Eccomi» e si avvicina al vescovo. Ad una domanda del vescovo il sacerdote responsabile della formazione dichiara che sono stati interpellati il popolo cristiano e coloro che hanno curato la formazione dei candidati, ed essi attestano che i candidati sono degni. Qui si intravede ancora come nell’epoca antica della chiesa il conferimento degli ordini era fatto dipendere dalla previa scelta o consenso della comunità.

b) Il successivo modello di omelia del vescovo si ispira fortemente alle affermazioni di LG 28

c) Le promesse dei candidati, in risposta a corrispondenti domande del vescovo, dichiarano la loro disponibilità ad assumere i doveri dell’ufficio di pastori, di sacerdoti e di maestri, e a dedicarsi a Dio in una unione sempre più stretta di se stessi col sommo sacerdote Cristo, per la salvezza degli uomini. Quindi ognuno si inginocchia davanti al vescovo, pone le sue mani giunte in quelle del vescovo e promette a lui e ai suoi successori «rispetto e obbedienza».

d) Dopo un invito del vescovo alla preghiera l’assemblea canta le litanie dei santi in forma molto abbreviata. Secondo cognizioni recentemente acquisite questa preghiera dell’assemblea per i candidati all’ordinazione deve essere considerata un elemento importante del rito, in connessione con la preghiera di ordinazione del vescovo. «Poiché si è ordinati attraverso l’imposizione delle mani e la preghiera della ekklesia radunata attorno al vescovo ordinante»

e) A questo punto il vescovo, senza dire nulla, impone le mani sul capo di ciascun candidato. Anche i sacerdoti presenti fanno lo stesso e rimangono schierati attorno al vescovo fino alla fine della preghiera di ordinazione. Così è messo in evidenza che i neoordinati sono accolti come fratelli nel presbiterio. Purtroppo la preghiera di ordinazione è rimasta ancora fortemente legata ai paralleli veterotestamentari della precedente formula. A quanto si dice sembra che anche qui nella progettata nuova edizione si prospetti una revisione. Anche sotto altri aspetti questa preghiera rimane indietro di fronte alla profondità e alla ricchezza della nuova teologia dell’ordine e dei ministeri.

f) Come segno del ministero sacerdotale ricevuto i neoordinati vengono rivestiti da alcuni sacerdoti con la stola sacerdotale (disponendo diversamente la stola diaconale) e con la casula. Quindi il vescovo unge la parte interna delle mani col crisma pregando che Cristo, consacrato dal Padre in Spirito santo e potenza, voglia custodire e rafforzare i neoordinati nel loro compito sacerdotale. Durante questi riti esplicativi può essere cantato l’inno Veni, creator Spiritus o un salmo o un canto. Quindi il vescovo consegna a ogni ordinato le offerte sacrificali del pane e del vino (patena e calice) per l’eucaristia che segue e dice: «Ricevi le offerte del popolo santo per il sacrificio eucaristico. Renditi conto di ciò che farai, vivi il mistero che è posto nelle tue mani, e sii imitatore del Cristo immolato per noi». Così ciò che prima era considerato come segno essenziale si è conservato come simbolo esplicativo.

g) L’abbraccio di pace del vescovo, che anche i sacerdoti presenti possono scambiare con i neoordinati, conclude il rito di ordinazione.

Nella celebrazione eucaristica i neoordinati concelebrano con il vescovo. Nella Preghiera eucaristica è possibile inserire un particolare testo di intercessione.

Se si confronta il nuovo rito con quello finora in uso non si può negare un apprezzabile miglioramento; si può tuttavia sperare che la nuova edizione eliminerà le carenze che ancora si avvertono

Il Diaconato

L’ufficio dei diaconi (dal greco diakonêin - servire) viene menzionato già negli scritti del NT (Fil 1,2; 1 Tm 3,8 s). Come precursori possono essere considerati quei sette uomini che, secondo il racconto di At 6,1-6, furono scelti dalla comunità primitiva di Gerusalemme e furono costituiti dagli apostoli come loro collaboratori con la preghiera e l’imposizione delle mani. Anche se il loro primo compito fu il «servizio delle mense», e quindi un compito sociale- caritativo, però già presto vediamo questi sette anche nel servizio della predicazione e della conversione, compresa l’amministrazione del battesimo (Stefano, Filippo). 1Tm 3,8-12 avanza già determinate esigenze morali riguardo ai diaconi. All’inizio del sec. II essi compaiono nelle lettere del vescovo e martire Ignazio di Antiochia come un grado ben definito del ministero in seno alla direzione gerarchica della chiesa. Mentre la chiesa orientale conosce fino ad oggi il diaconato come ministero stabile che dura tutta la vita, in Occidente esso è stato praticato a partire dal Medioevo come grado di passaggio sulla via al sacerdozio. Si diventava diaconi non per rimanerlo, ma per poter diventare sacerdoti.

Col Vaticano II LG 29 definisce innanzitutto i compiti del diacono: «E’ ufficio del diacono, conforme gli sarà stato assegnato dalla competente autorità, amministrare solennemente il battesimo, conservare e distribuire l’eucaristia, in nome della chiesa assistere e benedire il matrimonio, portare il viatico ai moribondi, leggere la sacra Scrittura ai fedeli, istruire ed esortare il popolo, presiedere al culto e alla preghiera dei fedeli, amministrare i sacramentali, dirigere il rito funebre e della sepoltura. Essendo dedicati agli uffici di carità e di assistenza…».

A questo punto però il documento continua con la frase più importante: «E siccome questi uffici, sommamente necessari per la vita della chiesa, nella disciplina oggi vigente della chiesa latina in molte regioni difficilmente possono essere esercitati, il diaconato potrà in futuro essere restituito come proprio e permanente grado della gerarchia. Spetterà poi ai competenti ceti episcopali territoriali di vario genere, decidere, con l’approvazione dello stesso sommo Pontefice, se e dove sia opportuno che tali diaconi siano istituiti per la cura delle anime. Col consenso del romano Pontefice questo diaconato potrà essere conferito a uomini di matura età anche viventi nel matrimonio, e così pure a dei giovani idonei, per i quali però deve rimanere ferma la legge del celibato» (29). Il decreto su l’attività missionaria della chiesa (Ad gentes, del 7 dicembre 1965) conferma questa decisione e la motiva con la convenienza «che uomini, i quali di fatto esercitano il ministero di diacono, o perché come catechisti predicano la parola di Dio, o perché a nome del parroco o del vescovo sono a capo di comunità cristiane lontane, o perché esercitano la carità attraverso appunto le opere sociali e caritative, siano confermati e stabilizzati per mezzo dell’imposizione delle mani, che è tradizione apostolica, e siano più saldamente congiunti all’altare, per poter esplicare più fruttuosamente il loro ministero con l’aiuto della grazia sacramentale del diaconato» (EV II, 1154-1169).

A queste dichiarazioni di intenzione seguì, dopo altre intense consultazioni, il ripristino ufficiale del diaconato stabile col motu proprio Sacrum diaconatus di Paolo VI, del 18 giugno 1967. In seguito si formarono in molti paesi cristiani delle “comunità diaconali”, le quali servono a preparare all’ordinazione sotto la guida di un incaricato del vescovo.

I candidati al sacerdozio assumono con l’ordinazione diaconale anche l’obbligo della liturgia delle ore, mentre per i diaconi stabili è indicato come altamente conveniente che essi «recitino quotidianamente almeno una parte della liturgia delle ore, quale sarà definita dalla Conferenza Episcopale»

Il rito di ordinazione. dopo il vangelo di una celebrazione eucaristica, è essenzialmente uguale nella sua struttura a quello dell’ordinazione presbiterale:

a) Presentazione dei candidati d elezione da parte del vescovo;
b) Omelia del vescovo;
c) Interrogazioni e promessa di obbedienza dei candidati, che pongono le mani in quelle del vescovo;
d) Litanie dei santi;
e) Imposizione delle mani e preghiera di ordinazione;
f) Riti esplicativi: vestizione della stola e della dalmatica, consegna del libro dei vangeli;
g) Abbraccio di pace.

a) La presentazione e l’elezione dei candidati, che indossano amitto, camice e cingolo si svolgono come nell’ordinazione sacerdotale.

b) Il modello di omelia del vescovo definisce innanzitutto la posizione e i compiti del diacono in forma generale: «Fortificato dal dono dello Spirito santo, esso sarà di aiuto al vescovo e al suo presbiterio nel ministero della Parola, dell’altare e della carità, mettendosi al servizio di tutti i fratelli»; vengono quindi enumerate le sue funzioni in particolare (LG 29).

c) Anche la promessa di obbedienza dei candidati (a una corrispondente domanda del vescovo) e il porre le proprie mani in quelle del vescovo assomigliano a quelle dell’ordinazione presbiterale.

d) Lo stesso vale per le litanie dei santi.

e) L’imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione formano anche qui il nucleo dell’azione sacramentale. La preghiera di ordinazione contiene elementi di lode e di intercessione, soprattutto però l’epiclesi per la discesa dello Spirito santo, che dalla Costituzione apostolica Pontiflcalis Romani è posta in rilievo come testo essenziale: «Ti supplichiamo, o Signore, effondi in lui lo Spirito santo, che lo fortifichi con i sette doni della tua grazia, perché compia fedelmente l’opera del ministero». L’assemblea conferma la preghiera di ordinazione con il suo «Amen».

f) La vestizione degli abiti diaconali si compie con l’aiuto di alcuni diaconi o sacerdoti. Quindi il vescovo consegna nelle mani di ogni neoordinato il libro dei vangeli e dice: «Ricevi il vangelo di Cristo del quale sei divenuto l’annunziatore: credi sempre a ciò che proclami, insegna ciò che credi, vivi ciò che insegni».

g) A conclusione dell’ordinazione il vescovo scambia con ciascuno l’abbraccio di pace, il che fanno pure i diaconi presenti. In tal modo essi accolgono il neoordinato nel loro collegio.

Gradi preparatori al sacramento dell’ordine

Sulla via al sacerdozio furono collocati nel corso di una lunga evoluzione storica vari gradi preparatori, che non potevano essere saltati. Per poter apprezzare meglio il nuovo ordinamento postconciliare viene ora descritto brevemente il precedente ordinamento della chiesa cattolica romana.

Prima del Vaticano II

La Tonsura

L’ammissione nello stato clericale (e anche nello stato monastico) era unita già alla fine dell’antichità cristiana con il taglio dei capelli e si sviluppò nel rito della tonsura (dal latino tondere = tagliare).

I quattro ordini minori

Tra essi si annoverano nella chiesa latina gli ordini degli ostiari, dei lettori, degli esorcisti e degli accoliti; nella chiesa orientale, solo i lettori e i suddiaconi. Nell’antichità si trattava di determinati servizi nelle comunità, in seguito essi divennero solo gradi di passaggio senza funzioni concrete. Il suddiaconato fu anche in Occidente sino al 1200 circa un ordine minore, allorquando sotto papa Innocenzo III fu contato tra gli ordini maggiori.

Gli ostiari (dal latino ostium = ingresso, porta) avevano il compito di tenere lontano gli estranei dalla casa di Dio e di vegliare sulla sua sicurezza. Nella precedente ordinazione essi ricevevano simbolicamente una chiave della chiesa e dovevano aprire e chiudere le porte e suonare una campana. Il loro ufficio è compiuto oggi dai sacrestani.

I lettori avevano il compito di proclamare le letture nelle celebrazioni liturgiche.

Agli esorcisti toccò nell’antichità il compito di fare i cosiddetti esorcismi, soprattutto nel battesimo. Per esorcismo si intende lo sforzo per liberare, per mezzo di particolari preghiere, gli uomini dal potere di forze avverse a Dio.

Gli accoliti (letteralmente: persone del seguito) avevano il compito di prestare determinati servizi aiutando nelle celebrazioni liturgiche.

L’ordinazione del suddiacono

Originariamente il suddiacono era l’aiuto del diacono, specialmente nella celebrazione dell’eucaristia, nella quale toccava a lui ad es. la lettura dell’epistola. Il rito di ordinazione non previde mai un’imposizione delle mani: una conferma che esso non è da considerare ordine maggiore o parte del sacramento dell’ordine.

Dopo il Vaticano II

Il nuovo ordinamento, che già da molte parti era stato auspicato prima e durante il Vaticano II, venne instaurato dal papa Paolo vi con le due lettere apostoliche Ministeria quaedam e Ad pascendum, del 13 agosto 1972. Nella prima lettera è stato deciso che al posto dei quattro ordini minori fino allora in uso subentrano i due ministeri del lettore e dell’accolito. Nello stesso tempo essi assumono i compiti del suddiaconato, che da ora in poi decade. L’ammissione allo stato clericale si ha solo con il diaconato. I due servizi non sono riservati ai candidati al sacramento dell’ordine, cioè essi possono essere affidati anche a laici, però, secondo la tradizione ecclesiastica, solo a uomini.

Nella seconda lettera Ad pascendum si stabilisce che la tonsura, come rito di ammissione nello stato clericale, decade. Al suo posto subentra un rito di ammissione tra i candidati al diaconato e al presbiterato. Questi, dopo un certo tempo, devono ricevere l’istituzione di lettore e di accolito per prepararsi attraverso questi ministeri al diaconato e al presbiterato.

La Congregazione per il culto divino preparò riti propri per la citata istituzione, l’ammissione tra i candidati alle ordinazioni e la pubblica accettazione del celibato (3 dicembre 1972). Una edizione italiana del rito, con aggiunte la consacrazione delle vergini, la benedizione abbaziale, l’istituzione dei ministri straordinari della comunione e un’appendice di letture, preghiere e canti, fu pubblicata per ordine della Conferenza episcopale italiana il 29 settembre 1980.

I servizi liturgici delle donne

Nella lettera apostolica Ministeria quaedam, dell’istituzione dei ministeri di lettore e di accolito - aiquali a discrezione delle Conferenze episcopali possono essere aggiunti anche altri uffici - si dice che essi non sono più “ordini minori”, ma che coloro che sono incaricati rimangono laici. Nello stesso tempo si afferma che questi ministeri si basano sul sacerdozio universale dei fedeli, il che significa partecipazione al sacerdozio di Cristo, anche se distinta dal sacerdozio ministeriale sacramentale

Tanto più sorprendente risulta quindi la disposizione VII: «L’istituzione del lettore e dell’accolito, secondo la veneranda tradizione della chiesa è riservata agli uomini». Questa disposizione, sentita da molti come una penosa discriminazione delle donne, che tuttavia in forza del loro battesimo e confermazione partecipano pure al sacerdozio universale, appare difficilmente componibile con altre determinazioni dell’autorità romana. Così nella terza Istruzione “per l’esatta applicazione della Costituzione liturgica”’, del 5 settembre 1970, viene permesso alle donne di proclamare le letture con eccezione del vangelo; le Conferenze episcopali possono precisare maggiormente il posto adatto per tale proclamazione. Una disposizione simile si trova nella seconda edizione tipica del MR (1975) e in PNMR 70. Nella Istruzione Irnmensae caritatis della Congregazione dei sacramenti, del 29 gennaio 1973, come ministri straordinari della comunione nella e fuori della messa vengono ammesse anche le donne. Il CIC del 1983 ripete innanzitutto che laici uomini possono essere costituiti stabilmente, con il rito previsto, nei ministeri del lettore e dell’accolito (can. 230 § 1); tutti i laici però, con un incarico temporaneo, possono assumere nelle azioni liturgiche il munus lectoris; «ugualmente tutti i laici possono esercitare gli uffici del commentatore, del lettore e altri uffici previsti dal diritto» (can. 230 § 2). In caso di necessità e in mancanza di ministri, anche i laici possono, se pure non sono lettori e accoliti, svolgerne i compiti, e cioè celebrare liturgie della Parola, guidare la preghiera liturgica, amministrare il battesimo e distribuire la santa comunione (ivi § 3).

Se dunque donne in certi casi assumono gli uffici dei lettori e degli accoliti (distribuzione della comunione), ci si domanda perché non deve essere permessa la loro istituzione con un rito liturgico. «A dire il vero questa discriminazione ha nella chiesa un’“antica e veneranda tradizione” - è l’unico argomento che viene addotto come motivazione - e tuttavia non si può dimenticare che la chiesa primitiva ha conosciuto incarichi ufficiali di donne a uffici ecclesiali».

Una discussione ancora più accesa si ebbe e tuttora si ha in certi paesi sulla questione se sia permesso alle ragazze o alle donne l’ufficio di ministranti nella celebrazione della messa. L’Istruzione Inestimabile donum del 3 aprile 1980 (Congregazione per i sacramenti e il culto divino) aveva stabilito al nr. 18: «Non è permesso alle donne assumere gli uffici di un accolito o di un ministrante», D’altra parte l‘Istruzione Immensae caritatis della Congregazione dei sacramenti, del 29 gennaio 1973, aveva concesso alle donne l’ufficio essenzialmente più importante di ministro straordinario della comunione. Si era così in attesa di quale posizione avrebbe preso in questa questione il CIC 1983. Nel can. 906 esso rinuncia, senza proporre un’alternativa, alla disposizione del CIC 1917 can. 813 § 2, per cui il ministrante non può essere una donna. Invece del can. 813 § 1, che proibisce la celebrazione della messa sine ministro e quindi senza un inserviente uomo, la disposizione nel nuovo CIC can. 906 suona: «Al di fuori di un motivo giusto e ragionevole il sacerdote non può celebrare il sacrificio eucaristico senza la partecipazione almeno di un fedele» (fidelis, senza riferimento al sesso).

Per togliere ogni dubbio il (pro-) presidente della commissione per l’interpretazione del Codice, arcivescovo R.J.Castillo Lara, il 14 febbraio 1983 in una lezione pubblica dichiarò: «Quanto alla distinzione uomo-donna nell’ambito ecclesiale, oltre all’esclusione dall’ordine e dai ministeri istituiti non c’è alcun’altra differenza tra l’uomo e l’altro sesso»

Più difficile da chiarire sembra essere il problema della possibilità di una ordinazione delle donne al presbiterato e al diaconato sacramentale. Si è fatto notare che le donne avevano assunto compiti importanti nella cerchia di Gesù e nelle comunità neotestamentarie, e che escono risultati di recenti ricerche «nelle chiese orientali e, durante i primi secoli cristiani, sporadicamente, anche nelle chiese del rito latino, delle donne vennero ordinate diaconesse». Inoltre si è attirato l’attenzione sul fatto che molte donne esercitano una quantità di attività, che per sé spettano al diaconato. La loro attuale posizione nella chiesa e nella società non permette di «escluderle da funzioni ufficiali nella chiesa, teologicamente possibili e pastoralmente auspicabili». Nello stesso tempo si sottolinea che la questione dell’ammissione della donna al diaconato sacramentale ‘è diversa da quella del sacerdozio della donna. In questa prospettiva è stato anche avanzato il voto che «si esamini secondo le attuali conoscenze teologiche la questione del diaconato della donna e, considerata l’odierna situazione pastorale, se possibile, siano ammesse delle donne all’ordinazione diaconale»

A Roma stessa la Pontificia commissione biblica approvò la dichiarazione unanime, per cui in base alla sola Scrittura non si può provare, chiaramente e una volta per tutte, che le donne possono essere ordinate oppure no». Contrariamente a ciò la Congregazione per la dottrina della fede pubblicò una “Dichiarazione sull’ammissione delle donne al Sacerdozio ministeriale” (15 ottobre 1976), la cui frase centrale suona: «la chiesa, per fedeltà all’esempio del suo Signore, non si considera autorizzata ad ammettere le donne all’ordinazione sacerdotale» . Con ciò tuttavia non è ancora stato pronunciato alcun no all’ordinazione diaconale delle donne. Sembra che questa questione sarà in avvenire oggetto di esame a Roma. A dire il vero una recente ricerca storica di un apprezzato studioso fa apparire ridotte le prospettive di una decisione favorevole.

 

Letto 6718 volte Ultima modifica il Mercoledì, 20 Marzo 2013 16:41
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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