Formazione Religiosa

Giovedì, 30 Agosto 2007 01:04

Esperienze liturgiche del silenzio (Pio Tamburrino, OSB)

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Può essere utile richiamare alcune esperienze del silenzio cristiano sia nel mondo antico extracristiano, sia negli autori cristiani e nei testi liturgici delle Chiese. Esse possono suggerire delle piste di approfondimento teologico-spirituale di un elemento celebrativo spesso disatteso nella pratica.

L‘invito della costituzione Sacrosanctum Concilium, n. 30: “Si osservi anche a tempo debito, il sacro silenzio”, fa parte delle disposizioni conciliari sulla partecipazione attiva dei fedeli. La tradizione liturgica latina non sembra offrire, nell’epoca recente, nessuna esperienza significativa in grado di offrire dei modelli ispiratori. La sollecitazione del Concilio Vaticano II sembra provenire principalmente dal desiderio dei fedeli di interiorizzare parole e gesti delle celebrazioni comunitarie.

Reintrodurre “istanti di silenzio” significa favorire il raccoglimento, la meditazione della Parola ascoltata, la preghiera interiore di lode e di ringraziamento.

Sarà l’istruzione Musicam sacram ad indicare la funzione e la motivazione di fondo del silenzio della liturgia:

“Si osservi a tempo debito il sacro silenzio; per esso infatti i fedeli non sono ridotti a partecipare all’azione liturgica come estranei e muti spettatori: ma si inseriscono più intimamente nel mistero che si celebra, in forza delle disposizioni interne, che derivano dalla parola di Dio che si ascolta, dai canti e dalle preghiere che si pronunciano e dall’unione spirituale con il sacerdote che proferisce le parti a lui spettanti”. (1)

Si tratta di far crescere, mediante il silenzio, le capacità di risonanza interiore dei partecipanti, l’assimilazione soggettiva dei riti celebrativi.

Raccogliendo in una silloge completa i testi post-conciliari riguardanti il silenzio sacro. D. Sartore delinea in questi termini la tipologia del silenzio liturgico.

Silenzio di raccoglimento: per la preghiera personale; silenzio di appropriazione: specie durante la preghiera presidenziale; silenzio di meditazione: dopo la Parola o dopo l’omelia; silenzio di adorazione: nella comunione o nel culto eucaristico”. (2)

Si profila, così, per la liturgia attuale una certa varietà di espressioni e di significati del silenzio sacro.

Può essere utile, in questo contesto, richiamare alcune esperienze del silenzio cristiano sia nel mondo antico extracristiano, sia negli autori cristiani e nei testi liturgici delle Chiese. Esse possono suggerire delle piste di approfondimento teologico-spirituale di un elemento celebrativo spesso disatteso nella pratica.

1. Il silenzio sacro nel mondo greco-romano

Il silenzio celtico compare nelle religioni del bacino mediterraneo e,, per certi aspetti, costituisce la preistoria del silenzio liturgico cristiano. O. Casel, alcuni decenni or sono, ne raccolse in una dotta monografia le testimonianze relative al mondo religioso e filosofico della Grecia antica, (3) indicandole come espressioni del “silenzio mistico”.

La sua origine è da ricercare nella poesia e nei frammenti orfici prodotti nel contesto di gruppi che in seguito si fonderanno con i “misteri eleusini”. L’esperienza indicibile dei misteri, in quanto non esprimibile direttamente, trovava nella poesia orfica una espressione sostitutiva. (4)

I misteri distinguevano due categorie di persone: gli iniziati e i profani. Solo ai primi erano riservate certe rivelazioni e venivano vincolati dal segreto con il rito della “chiave degli dèi”, che veniva posta dai sacerdoti eleusini sulla bocca dei ministri. (5) Solo gli iniziati potevano “rappresentare” i misteri divini: il silenzio loro imposto doveva coprire la liturgia contro gli indiscreti sacrileghi, perché non ne potessero riprodurre le azioni.

Questa motivazione esoterica del silenzio celtico non era l’unica né la più importante. I misteri consistevano essenzialmente in riti rappresentativi e in azioni simboliche. L’iniziazione consisteva in una esperienza di visione simbolica, in una specie di contemplazione attiva.

“L’idea di una visione beatificante era (…) il cuore di questa esperienza misterica; per la meditazione degli oggetti contemplati che rendevano sensibile la presenza efficace della divinità e invitavano all’unione, gli iniziati acquistavano una specie di conoscenza vitale che operava una trasmutazione della loro esistenza”. (6)

La “reticenza mistica” era strettamente legata alla natura particolare dell’esperienza vissuta nei misteri: l’emozione profondamente religiosa prende l’uomo in presenza del sacro, emozione in cui si mescolano timore e venerazione. (7)

Nella storia di Eleusi si narrava che Demetra, in cerca della figlia Core, era venuta nella città attica e vi si era manifestata nella sua gloria divina:

“E Demetra a tutti mostrò i riti misterici, i riti santi, che non si possono trasgredire né apprendere né proferire: difatti una grande attonita riverenza per gli dèi impedisce la voce.Felice colui – tra gli uomini viventi sulla terra – che ha visto queste cose. (8)

L’inno omerico collega il silenzio mistico all’esperienza vissuta alla presenza divina, che è propriamente indicibile, incomunicabile. Strabone caratterizza i culti antichi, classificandoli l secondo due riti: l’uno era celebrato in pieno giorno con trasporto entusiastico e musiche, l’altro silenzioso, compiuto in segreto, i spiega:

“Questa differenza è suggerita dalla natura delle cose. Il riposo, infatti apparta lo spirito dalle preoccupazioni umane e lo dirige verso la divinità. L’entusiasmo riveste, per così dire, l’ispirazione del dio (…). Ma il nascondimento mistico rende rispettabile il divino, perché imita la natura superiore, che si sottrae al senso umano. (9)

Dunque è tacendo che si esalta la dignità e la maestà divina. Dio oltrepassa l’intelligenza dell’uomo; non può essere “compreso” né con la parola né con lo spirito. (10)

Più tardi, lo gnosticismo e l’ermetismo riprendono il tema del silenzio tipico dei misteri. Nel Corpus Hermeticum il silenzio, in conformità con il carattere gnostico-dualistico, è visto come rifiuto delle sensazioni corporee, come una esperienza interiore di raccoglimento che permette l’acquisizione della gnosi attiva verso la rivelazione. (11)

Dopo aver descritto il modo in cui avviene la palingenesi, Hermes dice al figlio Tat:

“Ora non parlare, o figlio, e mantieni un religioso silenzio: in ricompensa la misericordia di Dio non cesserà di scendere su di noi. (12)

Il silenzio misterico si fonda sul fatto che Dio è indicibile, troppo grande per ricevere un nome. Nella benedizione finale del Poimandres, Dio è invocato come l’inesprimibile, l’indicibile, colui che è chiamato solo con il silenzio. (13)

2. I silenzi del Verbo

Hans Urs von Balthasar ha fatto notare come in tutte le religioni vi è un fastidio delle parole e una fascinazione del silenzio. La parola, pur contenendo la verità nella propria forma finita, non sopprime nell’uomo la brama verso la piena liberazione dai limiti, verso il Senza-nome. La parola è positività. La stessa rivelazione biblica e la fede cristiana sembrano incatenate alla positività del Libro:

“Una religione chiusa nei ceppi della positività, come può sperare di saziare la brama del cuore stesso verso il Senza-nome?”. (14)

Lo Spirito, donato da Cristo risorto, dà la possibilità di superare il livello della storia e della parola data.

A qualche decennio dagli apostoli, il silenzio “leva il capo sulla parola, in formule così definitive, che in ambiente cristiano non sono state superate e a stento raggiunte”. (15)

Il primo ermeneuta dei silenzi del Logos è IGNAZIO DI ANTIOCHIA:

“Meglio è tacere ed essere, che parlando non essere. Bella cosa è l’insegnare, se colui che parla agisce pure. Vi è dunque un solo Maestro, che parlò ed (ecco) si compì (ciò che aveva detto), e le cose che egli fece tacendo sono degne del Padre.

Chi possiede realmente la parola di Gesù, può percepire anche il suo silenzio, affinché sia perfetto, affinché opera attraverso le cose di cui parla e, attraverso quelle di cui tace, sia riconosciuto”. (16)

La parola di Gesù risuona in uno spazio di silenzio, per poter essere, in assoluto, parola. Essa è anzitutto il silenzio del Padre, “che si è rilevato attraverso il suo Figlio Gesù Cristo, che è il suo Verbo che procede dal silenzio”. (17) Ma è al tempo stesso il tacere di Cristo che può essere percepito da chi ha accolto la sua parola: egli è perfetto perché, come Cristo stesso, opera parlando, ma viene riconosciuto dal silenzio, dallo spazio più ampio di mistero, di cui è impregnata la parola per essere Verbo di Dio. E tuttavia questo spazio non è vuoto, bensì ricolmo del tacito agire ed essere del Verbo, che infine è passione silente. (18)

Per Ignazio, questa costituisce la fisionomia propria della Chiesa:

“Quanto più uno veda un vescovo tacere, tanto maggior rispetto dovrà avere verso di lui”. (19)

Nel caso di questo vescovo, ho riconosciuto che egli non ha raggiunto di per sé e non per opera di uomini il ministero di servizio della comunità (…); sono pieno di stupore per la sua mite discrezione, che tacendo ha maggior potere di quanto ne abbiano coloro che proferiscono vane parole”. (20)

Silenzioso, l’essere sostiene la parola che risuona; la giustifica e le conferisce l’energia operante.

“Si riconosce l’albero dai suoi frutti; così coloro che si professano seguaci di Cristo, saranno visibili dalle azioni che compiono”. (21)

Questo essere, poi, per Ignazio è l’amore e la vita di unità. La tranquillità silenziosa dell’amore, fondamento di ogni parola, è descritta con immagini musicali: sinfonia di amore,m armonia delle corde.

I misteri di Cristo (concezione, nascita verginale, morte in croce) sono “tre misteri dall’alta voce, che si sono compiuti nella calma silenziosa di Dio”: (22) in essi la visibilità non è l’elemento più vistoso, perché Gesù Cristo appare maggiormente in quanto è nel Padre, ed è stata la morte che ha permesso a Gesù di accedere al Padre.

Ignazio prega i Romani di tacere, perché egli possa essere in Cristo mediante il martirio:

“Poiché, se voi tacete con me, io sarò una parola; ma se voi amate la mia carne di nuovo, io diverrò soltanto un suono”. (23)

Per Ignazio, la realtà positiva della parola (carne, discorso e scrittura) ha valore per lo spazio infinito che essa testimonia e rivela, che è lo spazio della realtà e della realizzazione in senso assoluto.

Per Valentino e la gnosi, Dio è il primo principio (propàtor), il Silenzio, l’Abisso. Nella testimonianza di CLEMENTE ALESSANDRINO si riferisce:

“Il Silenzio (sigè) per quelli è la madre di tutti coloro che emergono dall’abisso ed esso ha taciuto come ineffabile tutto ciò che non riusciva a dire; ciò invece coglieva e concepiva, l’ha pronunciato come ineffabile tutto ciò che non riusciva a dire; ciò che invece coglieva e concepiva, l’ha pronunciato come inconcepibile”. (24)

Pur reagendo al mito gnostico, Clemente introduce nella teologia il tema dell’arcano, dei “mysteria”. (25)

Egli mette in parallelo l’inconoscibilità divina affermata dai pensatori greci, con la dottrina biblica: “Dio, nessuno lo ha mai visto” (Gv 1, 18); le parole udite da Paolo erano inesprimibili all’uomo (2 Cor 12,2.4); la profondità della ricchezza e scienza di Dio (Rm 11,33) veramente un “abisso”.

Il logos però, fatto uomo, abbatte le barriere dei nostri limiti e ci apre alla ineffabilità di Dio. Il progresso nella santità verso l’infinito e l’avvicinarsi in qualche modo all’Onnipotente, ci farà conoscere “non ciò che egli è, ma ciò che non è”. (26) E’ l’esordio della teologia negativa.

Contro l’eresia di Eunomio, i CAPPADOCI difendono questa incomprensibilità di Dio: “attraverso il silenzio si onora la sublimità di Dio, che si dischiude solo alla fede”. (27)

“Essere teologi significa vivere il verbo di Dio,, il messaggio che viene dall’alto, senza mai presumere di capirlo e di spiegarlo in modo esauriente con i concetti e il metodo discorsivo della logica, per evitare di sostituire a Dio gli idoli della mente umana”. (28)

Il teologo (come Mosè, Elia, Paolo) è colui che, illuminato da Dio, associa la certezza al mistero e osserva I comandamenti. Le teologia presuppone un profondi spirito di umiltà:

“Umile è colui che sa dire alcune cose intorno a Dio, altre le sa tenere nell’animo, altre confessa di ignorarle e lascia che ne parli chi ne ha ricevuto l’incarico; colui che ammette che vi sia qualcuno più spirituale e più avanzato nella contemplazione”. (29)

La dossologia è il compito più alto e più nobile dei figli di Dio:

“Ognuno nel tempio dice gloria: rendere gloria a Dio è dovere degli angeli; tutta la creazione, sia tacendo sia parlando, sia in cielo sia in terra, rende gloria al Creatore”. (30)

Lo sviluppo massimo di questa teologia dossologica e apofatica si ha nella teologia mistica dello Ps.-DIONIGI: nel prologo alla Mystica Teologia, l’Areopagita si rivolge alla Trinità per essere illuminato:

“Dirigici all’estrema vetta delle mistiche Scritture, al di là dell’inconoscenza e del chiarore, lì dove i misteri semplici e immutabili della teologia sono avvolti nella tenebra oltre la luce del Silenzio che inizia all’arcano”. (31)

Il silenzio di adorazione scaturisce – per Dionigi – dalla inadeguatezza di ogni nome e di ogni parola che possa riferirsi alla Trinità.

“Di lei non c’è parola, né errore, né verità e nemmeno esiste in generale affermazione o negazione (…) dal momento che supera ogni affermazione la causa perfetta e singolare di tutte le cose e che sta al di sopra di ogni affermazione l’eccellenza di lei che è sciolta assolutamente da tutto e che sta al di sopra di tutto”. (32)

“Nemmeno il nome di bontà possiamo dare a lei in maniera adeguata, ma soltanto per il desiderio di intendere e di dire qualcosa intorno a questa natura ineffabile le conserviamo anzitutto il più venerato dei nome (= Trinità) (…), pur rimanendo sempre lontano dalla verità delle cose. Perciò (i teologi) hanno preferito la via delle negazioni, in quanto tale via distacca l’anima dai pensieri che le sono naturali e la guida attraverso tutti i pensieri divini, dai quali è ben lontana colei che sorpassa ogni nome, discorso, concetto”. (33)

Gli angeli, appunto perché spirituali e vicini a Dio, sono “i proclamatori del divino silenzio” (34) e riflettono in sé “la bontà del silenzio che dimora negli abissi”. (35)

In questa corrente del pensiero cristiano, il silenzio è considerato in rapporto al Logos rivelatore del Padre: silenzio eloquente che scaturisce dalla fonte divina del Padre e si esprime nell’agire, nel patire, morire e risorgere del Figlio; silenzio che è “obbedienza di fede” al mistero nascosto in Dio e rivelato nell’economia della salvezza.

Il silenzio cristiano è, quindi, la coscienza del mistero trascendente di Dio, rivelato in Cristo: atteggiamento adorante e stupito di fronte al Dio ineffabile, che rivelando non ha dissolto il suo mistero. Conoscere Dio e parlare di Lui (theologia) sono attività spirituali riservate a chi si è incamminato sui sentieri della contemplazione e dell’adorazione dossologica. “La scienza di Dio non ha bisogno di un’anima dialettica, ma di un’anima dioratica”, (36) perché lo studio lo possiedono anche gli impuri, mentre la contemplazione non si trova che nei puri.

3. Il silenzio nell’ambito della liturgia cristiana

Delineando il cammino del pensiero cristiano sul silenzio da Ignazio di Antiochia allo Pseudo-Dionigi, abbiamo inteso presentare il quadro teologico entro il quale si collocano le testimonianze liturgiche antiche che esamineremo.

La riscoperta del silenzio cultuale è debitrice da una parte allo studio delle fonti, e dall’altra allo sviluppo del silenzio come categoria filosofica nella cultura occidentale a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. (37)

Non possiamo escludere “a priori” l’influsso del mondo greco-romano. Significativamente O. Casel, dopo la sua ricerca sul silenzio mistico presso i greci, si è dedicato alla “teologia dei misteri”, rilevando le analogie tra le celebrazioni cultuali ellenistiche e quelle cristiane.

Il carattere mistico della liturgia conferisce al silenzio diverse valenze: “vi è il silenzio come suicidio linguistico di fronte all’ineffabilità di ciò che viene esperito, ma vi è anche il silenzio come reticenza e, infine, vi è il silenzio come ascolto del Totalmente Altro”. (38)

La formula latina antica “favete linguis” (39) originariamente ritenuta magica e destinata a soggiogare la potenza della parola sfavorevole entra nella liturgia cristiana come espressione dell’indicibile, linguaggio dell’inesprimibile: “silentium habete” (liturgia ambrosiana); “silentium facite. State cum disciplina et silentio, audientes intente”, (40) “cum silentio et timore manete et orate”. (41) lo stesso « sursum corda » sembra che in origine fosse pronunciato dal celebrante affinché si facesse silenzio. (42) Teodoro di Mopsuestia sembra confermare questa interpretazione, quando osserva:

“Dopo che tutti ci siamo alzati in silenzio con grande timore, il sacerdote comincia l’offerta del sacrificio e innalza il sacrificio della comunità”. (43)

Il silenzio al momento di entrare nell’Anafora è una costante universale. La tradizione cristiana si è ispirata alla letteratura profetica vetero-testamentaria, che invita al silenzio di fronte a Dio che visita la terra: L’accoglienza della teofania nell’adorazione e nello stupore della grandezza divina. (44) Teodoro di Mopsuestia raccomanda all’assemblea di entrare nel silenzio assoluto nel momento in cui il celebrante offre i divini misteri. (45)

La presenza del “Sanctus” nelle liturgie orientali è direttamente collegata con la visione di Isaia (Is 6,3) e vi si fa esplicito riferimento ai Serafini. (46) L’esempio di queste “creature invisibili” che cantano “con voci incessanti, dossologie non tacenti e labbra non silenti” fanno superare il senso di sbigottimento di fronte al Dio che viene:

“Quale pensiero possiamo adoperare e con quale potenza di parola possiamo innalzare a te, re dei re e Signore dei signori, una dossologie degna di te? Tu hai costituito le potenze spirituali (…) e hai fatto l’uomo atto a cogliere l’eccellenza e la somiglianza divina, perché nessuna delle tue creature sia privata della possibilità di comunicare con la tua grazia e anche la polvere goda della contemplazione della tua gloria (…) e ti onoro con profondi silenzi”. (47)

L’Anafora di Basilio si fa interprete della ineffabilità della lode divina, quando afferma:

“Tu sei colui che ha elargito la conoscenza della verità. Ma chi può parlare della tua potenza e far udire tutte le lodi che ti convengono, oppure enumerare tutte le tue meraviglie in ogni occasione?”. (48)

L’”esercito celeste” con la sua lode inesauribile induce l’assemblea a celebrare Dio onnipotente, “investigabile, incomprensibile, inintelligibile, ineffabile” (49) e a magnificarlo “con labbra incessanti, cuore che non tace mai e lode ininterrotta”. (50) L’uomo non solo fa “memoria” dell’adorazione angelica, ma si associa e fa comunione con le creature del cielo:

Per questo pronunciamo la dossologie trasmessa a noi dai Serafini, perché in comunione con gli eserciti celesti ci associamo alla loro innodia”. (51)

La Mistogogia di s. Massimo il Confessore, composta verso gli anni 628-630, “vede nel Trisagion biblico un’immagine dell’unità delle anime con gli angeli e della loro comune lo9de e adorazione di Dio”: (52)

“Per mezzo del Trisagion, il Verbo pone le anime nel numero degli angeli e accorda loro la stessa conoscenza che costoro hanno della teologia santificante”. (53)

Un altro testo anaforico introduce il “Sanctus” con una grandiosa visione ecclesiologica, in cui la Chiesa celeste esalta Dio nel canto dei santi e delle schiere angeliche, mentre la terra, “in questa Chiesa”, innalza le sue lodi

“Nella bocca dei suoi figli, nel gruppo dei profeti, nella schiera degli apostoli, nelle sofferenze dei martiri, negli ordini dei confessori, nella dottrina dei dottori, nelle dimore degli asceti, nella pazienza dei continenti, negli eserciti dei giusti, nelle olle dei santi e nelle varie vocazioni dei fedeli”. (54)

E’ sorprendente il fatto che si usino tante parole, sempre insufficienti per esprimere la lode dovuta, quando il proposito era di raccogliersi nell’interiorità del silenzio. Giustamente G. van Leeuw ha osservato:

“La mistica, in generale, ricerca il silenzio. Il potere della potenza cui si rivolge è tale, che soltanto il silenzio potrebbe offrirle un’occasione. Paradosso dell’espressione, così caratterizzato da Karl Jaspers: si vorrebbe dire tutto, tutto quel che esiste e più ancora; la massima eloquenza si alterna al silenzio completo. Se la mistica, in ogni tempo, ha spiegato una grande loquacità, questa è soltanto il rovescio, il corrispondente, del cui essenziale silenzio”. (55)

Nella liturgia avviene qualcosa di analogo. L’uomo, tuttavia, ha sempre viva la sensazione dell’inadeguatezza delle sue parole.

L’Anafora malabarese di Addai e Mari modella la cušapa del Post-Sanctus sulle reazioni di Isaia (Is 6,5-7) e di Giacobbe (Gn 31, 32; 28, 16-17) al contatto con l’Eterno:

“Ohimé, ohimé e sono pieno di stupore, perché sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo al mio popolo, le cui labbra sono immonde. I miei occhi hanno visto il Re e Signore degli eserciti. Quanto è terribile questo luogo, perché oggi ho visto il Signore faccia a faccia. Questo non è altro che la casa di Dio. Sia ora la tua misericordia verso di noi, Signore; purifica la nostra immondezza e santifica le nostre labbra. E fondi insieme, Signore, la voce della nostra bassezza con le lodi dei Serafini e degli arcangeli. Gloria alla tua misericordia, per la quale hai associato (esseri>) terreni con gli spirituali”. (56)

Nell’Anafora dell’Eucologio di Serapione il celebrante invoca lo Spirito Santo per poter narrare “i misteri ineffabili”:

“Donaci lo Spirito Santo, perché possiamo proferire ed esporre i tuoi santi misteri. Parli in noi il Signore Gesù e lo Spirito Santo e ti inneggi per noi”. (57)

Un testo di venerabile antichità (II-III sec.), anche se venato di talune idee gnostiche, esordisce il ringraziamento sul pane con le parole:

“Quale lode o quale offerta o quale ringraziamento, spezzando questo pane, possiamo invocare se non te solo, Signore Gesù?” (58)

E gli Acta Thomae invocano:

“Vieni, carità perfetta (…), vieni, tranquillità (esychia) che rendi manifesta la magnificenza di tutta la grandezza; vieni, tu che mostri i segreti e indichi le cose indicibili”. (59)

A distanza di alcuni secoli, ritroviamo il tema della lode espressa più con il silenzio dell’essere che con le parole, a proposito dei santi innocenti:

“Gli infanti per la loro età non potevano parlare, con gioia facevano risuonare la tua lode. Da uccisi predicano, come non potevano fare da vivi. Con il sangue dicono ciò che non poterono con la lingua. Il martirio diede (la possibilità) della lode a coloro che la lingua negava la favella”. (60)

Ritorna, così, con altre variazioni, il tema fondamentale di Ignazio di Antiochia, secondo il quale la testimonianza di Cristo nel martirio fa del cristiano una parola eloquente. (61)

Un uso abbastanza diffuso nella tradizione liturgica è la particolare presenza del silenzio nella ascesi quaresimale.

La Regula Benedicti suggerisce al monaco di cancellare, in quei giorni santi, le negligenze degli altri tempi dell’anno:

“Perciò in questi giorni aggiungiamo qualcosa all’ordinario compito del nostro servizio (…); ciascuno sottragga cioè al suo corpo un po’ di cibo, della bevanda, del sonno, della loquacità, della leggerezza”. (62)

Questa pratica del silenzio quaresimale ha un illustre antesignano in Gregorio di Nazianzo, sincero ammiratore di Pitagora, maestro della “tanto filosofia del silenzio”. (63)

San Gregorio si imponeva lunghi periodi di silenzio assoluto, delle quaresime di astinenza totale della parola. Durante la quaresima del 382 (dal 27 febbraio al 17 aprile: 7 settimane), Gregorio impossibilitato a darsi alle ascesi comuni (veglie, digiuni, maneunie), decide di osservare il silenzio in modo rigoroso e, agli attoniti critici, offre la spiegazionein quattro carmi In silentium ieiunii e poi nell’Hymnus ad Christum post paschale silentium. (64) Eccone qualche estratto:

“Dominati, lingua cara: e tu penna scrivi parole di silenzio, ed aprimi con gli occhi del cuore i tuoi pensieri (…).

Iniziando la Quaresima austera, medicina dei corpi, anzitutto ho calmato la mente con la quiete, abitando da solo, lontano dagli altri uomini, tutto raccolto nell’interiorità, immobile nella mente; poi seguendo i comandi dei pii, ho chiuso le porte delle labbra. E questa ne è la ragione: per imparare a regolare le parole, me ne sono astenuto completamente”.

(E’ necessario dominare la lingua, specialmente per i ministri dei misteri celesti, i quali cantano le lodi e sono strumento di Dio).

“Muri, porte, cortili, chiudetemi, perché non entri un discorso ladro e la mia vita sia privata del tesoro: Dio è il mio tesoro, e il timore di Dio”. (65)

La parola sacrificata fa del silenzio un sacrificio e un culto spirituale. Inizia, così, a farsi strada l’idea del silenzio come espressione del vero culto, secondo Is 32,17: “Cultus iustitiae silentium”. (66) Il Nazianzeno dedica a Cristo le prime parole del giorno di Pasqua:

“Cristo re, le labbra a lungo tenute sigillate e la mia voce, anzitutto a te cantano; dal mio petto esce la parola, pura vittima del puro sacrificio”. (67)

La consuetudine del silenzio quaresimale verrà incrementata, nel Medioevo, dagli usi cluniacensi. Pietro il Venerabile prescrive:

“E’ stabilito che nel tempo quaresimale, aggiunti i tre giorni, cioè la feria quinta, sesta e sabato, in cui si era soliti, secondo il costume anteriore, di parlare nei chiostri, si mantenga un continuo silenzio per l’intera Quaresima”. (68)

Senza dubbio, sia in Oriente che in Occidente, le pratiche monastiche relative al silenzio hanno un influsso sulla liturgia. S. Pier Damiani concepisce la vita di coloro che si appartano dal mondo come un tempio costruito dallo Spirito Santo mediante il silenzio:

“Quando cessa lo strepito delle parole umane, si costruite in te, per mezzo del silenzio, il tempio dello Spirito Santo (…). Il tempio di Dio cresca mediante il silenzio (…). Il tempio del tuo petto cresca ora con il silenzio; si eriga in te la costruzione delle virtù spirituali come pietre celesti, dove lo sposo celeste, che ami con tutto il cuore, riposi con piacere come nel suo talamo”. (69)

Le consuetudini monastiche medievali descrivono in modo circostanziato come il silenzio sia necessario per favorire il clima e l’intensità della preghiera. (70) L’”entrata” nel silenzio notturno è regolata da un rito per la “chiusura della bocca” con il versetto salmico: “Poni Signore, una custodia alla mia bocca; sorveglia la porta delle mie labbra” (SalSal 50,17). (71) 140,3), mentre alla levata mattutina ha luogo il rito della “apertura della bocca” con il versetto: “Signore, apri le mie labbra” (

I giorni della Settimana Santa sono caratterizzati da una partecipazione tacita ai silenzi della passione di Cristo.

L’Ordo Romanus XVI stabilisce che il Giovedì santo i canti della messa siano ridotti in favore del silenzio; il Venerdì la comunione è fatta “cum silentio nihil cantantes”. (72) Anche nella vita conventuale c’è un riflesso di questo silenzio liturgico:

“Nella settimana di Pasqua non parlino nel chiostro, ma tutti facciano la lectio divina,così pure nella settimana di Pentecoste, nei giorni dominicali, nella Natività del Signore e nelle principali feste dei santi”. (73)

Il Sabato santo, nelle tradizioni liturgiche dell’Oriente, associa i fedeli al silenzio del “sonno della morte” di Cristo, in attesa della sua risurrezione, un’omelia dello Pseudo-Epifanio considera:

“Un grande silenzio regna oggi sulla terra, un grande silenzio e una grande solitudine. Un grande silenzio perché il Re dorme. La terra ha tremato e si è calmata, perché Dio si è addormentato nella carne ed è andato a svegliare coloro che dormivano da secoli”. (74)

L’inno che accompagna la grande processione di offerta dei doni, nella Liturgia di S. Basilio, il Sabato santo sottolinea con vigore la necessità del silenzio:

“Taccia ogni carne mortale: si tenga immobile con timore e tremore; nulla di terrestre occupi il suo pensiero, perché avanza il Re dei re, il Signore dei signori, per essere immolato e dato in cibo ai credenti, preceduto dal coro degli arcangeli, con i principati e le potenze e i Cherubini dagli occhi innumerevoli e i Serafini con le sei ali, che si coprono la faccia e cantano l’inno: Alleluia, alleluia, alleluia”. (75)

Tra le esperienze liturgiche contemporanee vogliamo segnalare il ricupero veramente significativo del silenzio nei “Services and Prayers” proposti alla Comunione Anglicana per la Quaresima, la Settimana santa e Pasqua. (76)

Il rito del mercoledì delle ceneri presenta un servizio liturgico caratterizzato dal silenzio, la riflessione e la penitenza. Dopo la litania che precede l’imposizione delle ceneri, è previsto un silenzio per un certo tempo. La rubrica premessa al rito specifica:

“Il tempo del silenzio (…) è una parte integrante del rito e non può essere omessa né ridotta ad una semplice pausa”. (77)

I “Services” o liturgie penitenziali prescrivono che corti periodi di silenzio debbano essere fatti prima o dopo le invocazioni titaniche e un periodo più lungo alla conclusione. (78)

Per la Quaresima viene istituita una “preghiera della notte” come

“Ufficio di quiete e di riflessione prima del riposo ed è più efficace quando la conclusione è veramente tale, senza aggiunte, conversazione o chiasso. Se il servizio ha luogo in chiesa, si spengono le luci e i presenti partono in silenzio. Se si tiene in casa, si va a letto silenziosamente”. (79)

Ovviamente, il Venerdì santo il silenzio occupa un posto significativo e ricorre più volte durante il rito. (80)

Conclusione

Il silenzio ha un posto nel culto cristiano, quantunque non si possa dire nelle diverse tradizioni liturgiche abbondino i riferimenti ad esso. E’ raccoglimento nella pace di Dio, condizione necessaria dell’ascolto e dell’interiorizzazione della Parola ascoltata.

“Si tratta (…) di un atteggiamento di recettività, di calma, di sazietà che fa pensare che la parola detta o cantata scompone il silenzio, così come i coloro scompongono la luce”. (81)

Particolarmente significative e diffuse sono le variazioni sul tema del silenzio presenti nelle Anafore, collegate con il tema biblico dell’adorazione del Signore che viene, mentre sembrano costanti i riferimenti ad una prassi liturgica e ascetica che valorizza il silenzio particolarmente nella Quaresima e nelle celebrazioni della Settimana santa.

La tradizione cristiana non ha fatto del silenzio liturgico solo una dimensione estetica o un’articolazione necessaria della parola, come l’ombra accanto alla luce nella pittura, il vuoto con la massa nella scultura e la pausa dei suoni nella musica. Il silenzio non è vuoto o assenza. “Nell’esistere essenziale è l’opposto dell’assenza: è la presenza della pienezza nell’istante presente”. (82) Per questo il silenzio è stato considerato come “pulcherrima caeremonia”, (83) il linguaggio più degno della lode (84) e dell’adorazione, un modo autentico di “stare davanti a Dio” nel culto.

Il silenzio liturgico rappresenta, nell’esperienza cristiana, una credibile esegesi vissuta dell’invito di Gesù ad adorare il Padre in spirito e verità (Gv 4,23-24).

Pio Tamburrino, OSB

Note

1) SACRA CONGREGATIO RITUUM, Instructio in sacra Liturgia, Musicam Sacram, 5 martii 1967, n. 17, in: R. KACZINSK (ed.), Enchiridion Documentorum Instaurationis Liturgicae, 1 (1963-1973), Marietti, Torino 1976, p. 279 (il corsivo è nostro).

2) O. CASEL, De Philosophorum graecorum silentio mystico, Giessen 1919.

3) O. CASEL, De Philosophorum graecorum silentio mystico, Giessen 1919.

4) G. COLLI, La sapienza greca, I Milano 1977, p. 38

5) J. SOULHE’, Le silente mystique, in « Revue d’Ascétique et de Mystique » 4 (1923) 131.

6) A. MOTTE, Silente et secret dans les mystères d’Eleusis, in: AA. VV., Les rites d’initiation. Actes du Colloque et de Louvain-La-Neuve, 20-21 novembre 1984, Louvain 1986, p. 319

7) Ibid., p. 325.

8) OMERO, Inno a Demetra. 476-482 (il corsivo è nostro).

9) Stradone X, 467C.

10) PLOTINO, Enneadi VI, 9, 11.

11) G. SFAMENI GASPARRO, Gnostica et ermetica. Saggio sullo gnosticismo e sull’ermetismo, Roma 1982, pp. 311-325.

12) Corpus Hermeticum XIII, 10

13) Corpus Hermeticum I, 31.

14) H. U. VON BALTHASAR, Parola e silenzio, in Verbum caro. Saggi teologici, I (tr. It.), Brescia 1968, pp. 141-143.

15) Ibid. p. 145.

16) Eph. 14,1-2; ed. P. TH. CAMELOT, Ignace d’Antioche, Lettres (=Sources Chrétiennes, 10), Paris-Lyon 1945, p. 60.

17) Magn. 8,2; ed. CAMELOT, p. 74.

18) U. U. VON BALTHASAR, Parola e silenzio, op. cit., p. 154.

19) Eph, 6,1; ed. CAMELOT, p. 52

20) Philad. 1,1; ed. CAMELOT, p. 108.

21).Eph 14,2; ed. CAMELOT, p.60.

22) Eph, 19,1; ed. CAMELOT, p. 64

23) Rom. 2,1; ed. CAMELOT, p. 96

24) Excerptum ex Theodoto, 29 ; PG 9, 673B-C.

25) Stromata V, 4-9; PG 9, 38ss.

26) Stromata V, 11; PG 9, 109

27) GREGORIO NISSENO, Contra Eunomium II, 105; ed. W. JAEGER, Berlin 1921, p. 240.

28) P. SCAZZOSO,

29).GREGORIO NAZIANZENO, Or. 32, 19; PG 36, 106.

30) BASILIO,Hom, in ps. 28, 7; PG 29, 302C. Cf SINESIO DI CIRENE, Hymni IV; PG 66, 105: “Canto te, o beato, con le voci, canto te, o beato, con i silenzi. Tu cogli tanto le voci, quanto i silenzi dell’intelligenza”

31) PS.-DIONIGI, Mystica Teologia,1; PG 3, 997A-B.

32) PS.-DIONIGI, Mystica Teologia,5; PG 3, 1048B.

33) PS.-DIONIGI, De divinisnominibus,13; PG 3, 981A-B.

34) PS.-DIONIGI, De divinis nominibus,4; 2 ; PG 3, 753.

35) PS.-DIONIGI, De divinisnominibus,4,22; PG 3, 793.

Centuriae, 4,90; ed. W. FRANKENBERG, Euagrius Ponticus, Berlin 1912, p.317.

37) Cf M. BALDINI, Le dimensioni del silenzio, Roma, 1988, pp. 36-48.

38) M. BALDINI, , Le dimensioni del silenzio, op. cit., p. 49.

39) CICERONE, De div. 2, 40; ORAZIO, Od. 3, 1, 2.

40) E. LODI (a cura di), Enchiridion euchologicum fontium liturgicorum, Roma 1979, n. 2340, p. 1019; cf GREGORIO DI TOURS, Hist. Franc. VII, 8; PL 71 421.

41) Anafora siro-orientale di Teodoro di Mopsuestia, in: A. HÄNGGI – I. PAHL, Prex eucaristia. Textus e variis liturgiis antiquioribus selecti (= Spicilegium Friburgense 12), Fribourg 21968, p. 385 (d’ora in poi si abbrevierà HÄNGGI- PAHL); Anafora siro-orientale di Addai e Mari = HÄNGGI- PAHL, p.409.

42) O. CASEL, Daschristiliche Opfermysterium, Graz-Wien-Köln p. 162.

43) TEODORO DI MOPSUESTIA, Catechesi mistg. VI = HÄNGGI- PAHL, p. 215.

44) Ab 2,20, “Il Signore risiede nel suo tempio santo. Taccia davanti a lui tutta la terra”. Sof 1,7: “Silenzio alla presenza del Signore Dio, perché il giorno del Signore è vicino”. Cf Is 41,9; Zac 2,17; Sal 76,9; Ap 8,1. R. CANTALAMESSA, “Silenzio alla presenza del Signore Dio!)”, in “Vita consacrata” 24 (1988) 773-784.

45) Hom. 15, 28-29, ed. R. TONNEAU – R. DEVREESSE, Les homélies catéchétiques de Théodore de Mopsueste ( = Studi e Testi, 145), Città del Vaticano 1949, pp. 309-311.

46) Frammento di Der Balizeh = HÄNGGI- PAHL, p. 125; cf CIRILLO DI GERUSALEMME, Catechesi mist. V, 6 = HÄNGGI- PAHL, p. 208; Eucologio di Serapione = HÄNGGI- PAHL, p. 130; Cost. Apost. VIII, 12, 27 = HÄNGGI- PAHL, pp. 89-90.

47) Anafora di Severo di Antiochia = HÄNGGI- PAHL, pp. 281-282.

48) Anafora di Basilio = HÄNGGI- PAHL, pp. 231-232.

49) Frammento copto di Lovanio, HÄNGGI- PAHL, p. 141.

50) Anafora di Cirillo di Alessandria = HÄNGGI- PAHL, p. 141.

51) CIRILLO DI GERUSALEMME, Catechesi mist. V = HÄNGGI- PAHL, p. 208.

52) R. BORNET, L’anaphore dans la spiritualitè liturgique de Bysance. Le témoignage des commentaires mystagogiques, in AA. VV., Eucharisties d’Orient et d’Occident, II, Paris 1970, p. 245.

53) MASSIMO IL CONF:, Ambigua, 13; PG 91, 692C.

54) Anafora di Cirillo Gerosolimitano o Alessandrino = HÄNGGI- PAHL, p. 285.

55) Riportato in: M. BALDINI, Le dimensioni del silenzio,op. cit., pp. 151-152.

56) HÄNGGI- PAHL, p. 406.

57) Ibid., p. 128.

58) Acta Ioannis 109 HÄNGGI- PAHL, p. 76.

59) Acta Thomae 27 = HÄNGGI- PAHL, p. 76. La liturgia celtica riprenderà questo testo nella Missa Circumcisionishesychia con taciturnitas: HÄNGGI- PAHL, p. 491. traducendo

60) Contestatio in natale sanctorum infantum = HÄNGGI- PAHL, p. 482.

61) Rom. 2,1; ed. CAMELOT, p. 96.

62) Regula Benedicti, 49, 3.5-7. S. Benedetto dedica il cap. 20 alla “riverenza nell’orazione”. Sembra che si tratti della oratio secreta che seguiva i salmi; cf. A. DE VÖGUÉ, La Règle de Saint Benoît. VII: Commentaire doctrinal et spiritual, Paris. 1977, pp. 206-221. “L’antica liturgia monastica sembra essere consistita unicamente in questa alternanza di salmi recitati da uno degli assistenti e ascoltati da tutti gli altri – e di orazioni silenziose, fatte in comune e ispirate dal salmo appena recitato”; J. LECLERCQ, Culte liturgique et prière intime dans le monachisme au moyen âge, in “La Maison-Dieu” n. 69 (1969) 44.

63) Oratio contra Iul; PG 35, 637A.

64) PG 37, 132-1330.

65) Carmen, 25: PG 37,1321.

66) Statuta Petri Venerabilis,19; ed. G. CONSTABLE, Consuetudines benedictinae variae (= Corpus Consuetudinum Monasticarum, VI), Siegburg 1975, p. 58. (D’ora in poi il Corpus sarà abbreviato: CCM).

67) Carmen 28.

68) Statuta Petri Venerabilis, 20; ed. CONSTABLE, CCM VI, p. 59.

69) PIER DAMIANI, Ep. VI; PL 144, 444

70) Per i monaci addetti alla cucina: “Anzitutto (…) si osservi il silenzio. Inoltre perché il silenzio venga custodito con il frutto di un’altra ricompensa, si cantino i salmi senza interruzione”: Consuetudines Coebienses, 16; ed. J. SEMMLER, CCM I, Siegburg 1963, p. 384.

“Accolto il silenzio, entrino con riverenza a Compieta (…): Terminato questo ufficio, sia custodito un silenzio sommo, e con la bocca si facciano preghiere segrete”: Memoriale qualiter,17; ed. D. C. MORGAND, CCM I, pp. 259-260.

71) Rito noto alla Regula Magisteri,30-32; ritorna semplificato nel Memoriale qualiter,19; CCM I, p. 261.

72) Instructio a ecclesiastici ordinis;CCM I, p. 19

73) Additationes legislationis monasticae acquisgranensis alienae, 2; ed. J. SEMMLER, CCM I, p. 468.

74) PS.EPIFANIO, Homilia in Sabbatum Sanctum;PG 43, 440.

75) Hieratikon,Roma 1950, pp. 182-183.

76) Lent, Holy, Week, Easter. Services and Prayers, Cambridge-London 1986.

77) Ibid., p. 13.

78) Ibid., p. 38.

79) Ibid., p. 58.

80) Ibid., p. 198ss.

81) J. –J. VON ALLMEN, Celebrare la salvezza. Dottrina e prassi del culto cristiano, Leumann(Torino) 1986, p. 93.

82) M. F. SCIACCA, Come si vince a Waterloo, Milano 1963, p. 183.

83) Citato da Consuetudini medievali da L. LELOIR, Deserto e comunione (tr. It.), Torino 1982, p. 119.

84) I. CECCHETTI, “Tibi silentium laus”, in: AA. VV., Miscellanea liturgica in honorem L. Cuniberti Mohlberg, II, Roma 1949, pp. 521-570.

Letto 5234 volte Ultima modifica il Venerdì, 10 Febbraio 2012 10:07
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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