Formazione Religiosa

Giovedì, 30 Agosto 2007 01:54

Gesù Cristo presso gli ebrei ed altrove (Bruno Secondin)

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C –GESU’ CRISTO PRESSO GLI EBREI
ED ALTROVE

di Bruno Secondin

L’interesse per Gesù e per il suo messaggio di salvezza e di sapienza ha da sempre superato le frontiere della sua comunità costituita e storicamente definita. La curiosità per questa figura «straordinaria» ha preso i sapienti fin dalla prima ora, e ne sono stati sovente affascinanti, senza tuttavia per questo entrare tra i suoi «seguaci»

Nel nostro tempo questo «interesse» e questo «fascino» continuano a mantenersi vivi. Passiamo in rassegna alcuni settori.

I

... Gesù l’ebreo

Non c’è dubbio che in questi anni è andato crescendo l’interesse per la figura storica di Gesù e per il suo significato «spirituale» negli ambienti religiosi ebrei culturalmente più sensibili al dialogo con la religione cristiana. Soprattutto importante è stato il tentativo di recuperare la figura di Gesù alla cultura ebraica del tempo e di riscoprire la «simpatia» che tanti rabbini ebrei hanno avuto per questo famoso «rabbino».

Si è arrivati così a leggere in forme nuove il ruolo del cristianesimo di fronte all’ebraismo. La «giudaicità» di Gesù affascina oggi sia gli ebrei che i cristiani. Per questi è un recupero dell’umanità storica di Gesù, del suo rapporto con la cultura e le sue forme regionali, del riflettersi in lui dei vari movimenti messianici. Per gli ebrei è come una «reclamazione» della ebraicità di Gesù, un «bringing home» di questo famoso rabbi.

Per capire la novità e anche la causa dell’ostilità storica fra i due gruppi, bisogna non dimenticare la situazione conflittuale cui furono sottoposti gli ebrei per secoli: da una parte l’accusa di deicidio e dall’altra la persistente pressione per indurli a «conversione».

Gesù e la sua croce nella storia sono diventati per gli ebrei il segno/sintesi della sopraffazione e delle violenze. Solo alcuni isolati e ammirevoli dissenzienti - come Maimonide (1135-1204) che riconosce come «provvidenziale» il cristianesimo - andavano oltre le solite accuse raccolte e diffuse nelle famose Tôledôth Yéshü (Vita di Gesù) piene di leggende infamanti (Gesù figlio di Pantèra...). Tali testi (la loro origine risale al sec. VIII) sono una specie di anti-evangelo, diffusi in ebraico e yiddish, erano molto conosciute negli stati popolari e spesso venivano letti durante la veglia di natale. (1)

Di recente ha preso l’avvio uno studio più esatto delle «concezioni» ebraiche (e anche islamiche) di Gesù nel medioevo, contestualizzando con maggiore cura le affermazioni nelle situazioni di conflitto, di polemiche culturali, di interessi economici, di modelli di società. E appare un mondo finora sconosciuto, in cui il rifiuto dell’accettazione di Gesù e della sua «chiesa» ha molteplici ragioni, non tutte senza peso. Si pensi alle critiche dei giudei e dei musulmani medievali della Spagna a certe forme «cristiane» di praticare la fede in Gesù Cristo, con fanatismo sanguinario.

Nel secolo scorso, quando i ghetti si smantellarono e cominciò una storia nuova per gli ebrei, più rispetto e libertà anche per loro, qualcuno comincia a riconoscere il valore spirituale dell’insegnamento del rabbi di Nazaret. Così H. Graetz, grande studioso ebreo, che riconosce in Gesù «nobiltà di cuore, profonda serietà morale e santità di vita», ma la cui stima viene contestata nell’ambiente ebraico. Così C.G. Montefiore, che lo definisce un autentico «profeta».

Il movimento sionista - cioè il grande revival del ritorno alla terra dei padri - con la fine del sentimento di emarginazione e di insicurezza, conduce più facilmente a riconoscere in Gesù di Nazaret un grande figlio di Israele. Ammiratori di Gesù sono tra gli altri: Moshé Hess, Max Nordau, Max Bodenheimer, Theodor Herzl, Klausner Joseph («Gesù è un grande artista delle parabole»).

Le conseguenze della visita storica del papa alla sinagoga di Roma (13 aprile 1986) sono ancora da verificare, sul piano di eventuale «riflesso» nella cristologia. Per ora però si possono meglio valutare le conseguenze di dialogo e collaborazione provocate dal paragrafo 4 della dichiarazione Nostra aetate del concilio Vaticano Il.

Sono tanti coloro che dal lato dell’ebraismo rileggono la vicenda Gesù.

Citiamo alcuni autori che si sono distinti in particolare su questo tema.

Jules Isaac (+ 1965): con la sua opera. Gesù e lsraele (2) inaugura una nuova era nei rapporti reciproci. E’ un invito ad una rimeditazione più equilibrata e onesta degli scritti neotestamentari. L’opera si divide in quattro sezioni: Gesù detto «il Cristo» era ebreo secondo la carne e la cultura; predicò il «Vangelo» nella sinagoga ebraica e nei luoghi sacri ebraici, fu in buone relazioni con il suo popolo, esclusa una piccola minoranza fanatica che lo condannò; del crimine di deicidio è imputabile una minoranza di «collaborazionisti» invasa da orgoglio dottorale, mentre il vero ebraismo non ha consegnato Gesù al potere occupante. Tipico tono dell’opera è quello del rispetto e dell’attenzione a tutte le fonti, per riscoprire la profondità ebraica di Gesù e del suo messaggio.

Martin Buber (+ 1965): l’autore dei famosissimi Racconti dei Chassidim. Egli affermava in una conferenza a Gerusalemme (1948): «lo credo fermamente che la comunità ebraica, nel corso della sua rinascita. riconoscerà Gesù.

Shalom Ben-Chorin: sostenitore dell’ebraismo progressivo e del dialogo ebraico-cristiano e autore di un famoso libro: Fratello Gesù. (3) Gesù vi appare come un maestro giudaico, vicino alla linea dei farisei, che ha proposto l’interiorizzazione della Legge condensandola nell’amore.

Pinchas Lapìde: autore del libro Ist das nichtJosephs Sohin? Jesus in heutigen Judentum.. Questo teologo ebreo ha dimostrato, anche con altri studi e pubblicazioni, come oggi fra gli ebrei sia altissimo l’interesse per Gesù di Nazaret:.

Egli sviluppa anche la ricerca sulle opinioni dei rabbini circa Gesù: e da questo studio sulle testimonianze di 18 secoli risulta evidente la stima per la qualità sapienziale del «rabbi» di Nazaret. In un dialogo con Hans Küng egli ebbe a dire:

«Il fratello Gesù viene finalmente riportato a casa come compagno, come connazionale e consanguineo... anzi, perfino come sionista e compagno di lotta». (4)

Franz Rosenzweig (+ 1929): interessante la sua teoria nella difficile opera La stella della redenzione, di recente tradotta in italiano. (5) Prendendo lo spunto dai due triangoli incrociati della «stella davidica» egli vede che l’ebraismo rappresenta la santa vita che anticipa l’eterna pienezza della redenzione: il popolo ebraico per questa vita è chiamato a star fuori del tempo, è da sempre presso Dio. Il cristianesimo invece rappresenta la via, perché il cristiano cammina nel tempo e nello spazio e, camminando, conduce al Padre i pagani attraverso il Figlio. Con riferimento alla stella davidica, l’ebraismo è il fuoco che brucia in eterno, mentre il cristianesimo è l’insieme dei raggi che sono lanciati, in tutte le direzioni.

«Davanti a Dio dunque, entrambi, ebreo e cristiano, sono lavoratori intenti ad una stessa opera. Egli non può far a meno di nessuno dei due. Tra i due egli ha posto inimicizia in ogni tempo e tuttavia li ha legati l’uno all’altro reciprocamente nel modo più stretto...". (6)

David Flusser: con l’opera Jesus egli vuole recuperare le radici ebraiche e anche la personalità profetica e l’originalità dell’amore ai poveri e agli emarginati (e anche ai nemici) di Gesù. Egli difende decisamente la storicità della vicenda di Gesù, e anche la specificità («gli influssi ricevuti da Gesù non bastano a spiegare tutto il suo comportamento morale sulla dottrina dell’amore»). Accetta anche la situazione gloriosa del Cristo:

«Non abbiamo alcun motivo di dubitare che il crocifisso sia veramente “apparso” a Pietro, poi ai dodici, poi a più di 500 fratelli alla volta!...., poi a Giacomo e a tutti gli apostoli». (7)Anche se trascura Giovanni (non lo ritiene storico) e rifiuta di accettare le opere di potenza, il Gesù di Flusser appare un profeta impegnato per la conversione individuale e radicale a Dio, tuttavia non il Salvatore dell’umanità. Accetta però che Gesù si sia autoidentificato coni il «Figlio dell’uomo» di Daniele, senza che sia accettabile il «Figlio di Dio» in senso cristiano. In sostanza Flusser si interroga continuamente sul significato della figura e accetta che si «possa scrivere una vita di Gesù».

Molti altri nomi si potrebbero citare: Robert Aron con l’interessante operetta Gli anni oscuri di Gesù, Paul Winter, Samuel Sandmel, Harvey FaIk , letterati come Shalôm Asch (autore del romanzo Il Nazareno), Max Brod. J. Sinclair, J. Bor, A. Chouraqui (noto traduttore del NT in bellissimo francese). Infine il grande artista Marc Chagall che ha più volte dipinto la crocifissione, ma come «simbolo» del destino del popolo ebraico, non come segno «cristiano» .

Infine un fenomeno che sta suscitando parecchio interesse è il moltiplicarsi di gruppi di ebrei che permanendo nell’ambito ebraico, considerano Gesù come Messia vero: si chiamano Jews for Jesus. Si trovano diffusi in particolare in California.


Osservazioni

In conclusione quello che per un ebreo medio oggi può essere ammesso circa Gesù, è che si può considerare un grande profeta di Dio, maestro di sapienza, dalla morale elevata, che nella tradizione spesso è stato molto stimato, e che oggi ancor di più si può stimare, come una figura «eccezionale» della storia ebraica.

Però del «Verbo fatto ebreo» si continua a lamentare la trasformazione - ad opera di Paolo specialmente (cf. R. Aron) - della figura e del messaggio di Gesù in un qualcosa di «universale», però de-ebreizzato, e fatto figura teologica, rispondente ai canoni ellenistici. E qui il contrasto non è sanabile.

Note
1) Un’antologia dei testi: J.P. Osier, L’évangile du ghetto, ou comment les juifs se racontaient Jésus, Berg International, Paris 1984, importante per le varie redazioni delle Tôledôth. In italiano c’è anche R. Di Segni, Il Vangelo del ghetto, Newton Compton, Milano 1985, con intenti simili al precedente. Per un primo approccio più panoramico cf. Ben-Chorin, Jesus im Judentum, Wuppertal 1970, specie pp. 7-46.


2) Ed. Italiana Cardini, Firenze 1976 (originale tedesco 1948).

3) Morcelliana, Brescia 1985. originale tedesco: Bruder Jesus, der Nazarener in jüdiscer Sicht, Paul List, München 1967.

4) H. Küng-P.Lapide, Gesù segno di contraddizione. Un dialogo ebraico-cristiano, Queriniana, Brescia 1980, p. 15.

5) Marietti, Casale Monferrato, 1985.

6) Rosenzweig, La stella, pp.444-445.

7) Gesù, p. 165.

II

... ed altrove…..

Bisogna chiarire subito una cosa: che in questo settore si può cadere facilmente nell’equivoco: o del riduttivismo (disprezzo dei valori altrui) o del parallelismo (somiglianze che non sono omogenee). Perciò poniamo alcune indicazioni di partenza.

Le domande vitali che l’uomo si pone. si ritrovano praticamente con eguale frequenza in tutte le religioni: sono le domande sulla nostra origine, sulla morte, sul dolore, sulla felicità, ecc. Dall’esperienza ellenistica, alle Svetasvara Upanishad (1,1) e alla Nostra aetate, (n. 1): ovunque sono espresse praticamente con gli stessi termini. Citiamo da questo ultimo testo:

«Gli uomini delle varie religioni attendono la risposta agli oscuri enigmi della condizione umana che ieri come oggi turbano profondamente il cuore dell’uomo: la natura dell’uomo, il senso e il fine della nostra vita, il bene e il peccato, l’origine e il fine del dolore, la via per raggiungere la vera felicità, la morte, il giudizio e la sanzione dopo la morte, infine l’ultimo e ineffabile mistero che circonda la nostra esistenza, dal quale noi traiamo la nostra origine e verso cui tendiamo» (NÆ 1).

Alla varietà delle domande religiose - seppur consonanti - corrisponde la pluralità della forma delle risposte. Qui nasce storicamente la varietà delle religioni, che risentono sia della peculiarità etnica (genio dei popoli), sia delle condizioni ecologiche, storiche, culturali, sia della presenza di leaders influenti, ecc.

Il cristiano che si incontra con la molteplicità e la varietà delle forme di religione, ha spesso rifiutato globalmente tutto, ritenendolo inutile e «estraneo”, o superstizione. Oggi il problema si pone invece in termini nuovi, molto interessanti, che propongono una possibile convergenza di tutta la varietà verso l’unità.

Nei documenti conciliari vengono riconosciuti «elementi di verità e di grazia» (AG 9) anzitutto a livello di persone seguaci di altre religioni, e anche come dati oggettivi propri delle stesse tradizioni religiose: «riti e culture» (LG 17), «iniziative religiose» (AG 3), «ricchezze che Dio nella sua munificenza ha dato ai popoli» e si riscontrano nelle loro «tradizioni religiose» (AG 11). E inoltre mostra una consapevolezza importante dell’influenza universale dello Spirito santo in tutto il mondo. «Indubbiamente lo Spirito santo operava nel mondo già prima che Cristo fosse glorificato» (AG 4). Lo Spirito chiama tutti gli uomini a Cristo, col Vangelo predicato, con i «semina Verbi» sparsi ovunque (AG 15) e offrendo a tutti «nel modo che Dio conosce.., la possibilità di venire a contatto col mistero pasquale» (GS 22). Forse il passaggio più «cattolico» del concilio sta nel paragrafo 92 di Gaudium et spes dedicato al dialogo fra tutti gli uomini, attraverso quattro cerchi concentrici. Termina accennando «a tutti coloro che credono in Dio e che conservano nelle loro tradizioni preziosi elementi religiosi e umani». E si augura che «un dialogo fiducioso possa condurre tutti noi ad accettare con fedeltà gli impulsi dello Spirito e portarli a compimento con alacrità». Il dialogo interreligioso appare elemento costitutivo intrinseco alla missione della chiesa.

Esempi recenti di testimoni profetici di questo incontro - da Ch. de Foucauld a Monchanin, da Peryguère a Le Saux, a Griffiths, ecc. — rendono questo discorso sempre più fecondo e carico di promesse.

Per il cristiano il centro dell’universo e della storia è Cristo Gesù: per cui la figura del «pantocrator» esprime bene il ruolo centrale rispetto ad ogni esperienza religiosa. Ma oggi questa universalità non è solo un concetto più o meno astratto e vago, è di fatto diventato un grosso problema; di fronte alla vitalità e al dialogo con le altre religioni.

Si parla oggi di «Cristo dentro le religioni»: è la posizione assunta dal concilio, specialmente in Nostra aetate e anche espressa dal teologo K. Rahner sui «cristiani anonimi». Ci sono tuttavia delle resistenze, perché questo fa delle altre religioni una «praeparatio evangelica», cioè del materiale grezzo che viene assorbito dal cristianesimo, una volta che il Vangelo sarà annunciato. E quindi le altre religioni hanno un valore subordinato e secondario, in fondo.

Altri parlano di «Cristo al di sopra delle religioni»: in questo modo di vedere le altre religioni non sono pura preparazione evangelica, ma di fatto sono autentiche «vie di salvezza», al di fuori dell’esperienza «chiesa cristiana». Questo toglierebbe a Cristo la normatività unica e ultima, perché Dio avrebbe da dire e da fare più di quanto non sia stato detto e fatto in Cristo. Il pluralismo di «figure» religiose sarebbe volontà di Dio, e Cristo sarebbe né contro, né sopra, ma «insieme» con le altre religioni. I diversi sentieri, quasi vie differenziate di salvezza, «portano» a Dio, e non più solo a Cristo.

C’è infine la «teologia della liberazione» delle religioni: che accentua il criterio della capacità non tanto di «affermare» verità e unicità, ma di «migliorare» la storia dell’umanità. Quindi il valore unico di Cristo si misura su questa capacità di essere l’unico che «libera» oppure di essere in compagnia di altri efficaci «liberatori». Quest’ultima posizione di fatto rinnega completamente quello che la rivelazione su Gesù Cristo (gli Evangeli) afferma in maniera non equivoca: che cioè egli è l’unico «liberatore» definitivo.

Mi pare meglio accettabile la posizione di chi suggerisce anche una lettura universalistica del messaggio biblico (che è attestata specialmente nelle correnti sapienziali), in modo da riuscire a cogliere le «tracce di Dio» o i cosiddetti «semina Verbi» in mezzo alle molteplici tradizioni religiose le quali risalgono a Dio, perché lui ne è l’autore.

Come bene spiega Rossano (8) le varie «risposte religiose» possono considerarsi risposta a quell’ interiore «instinctus Dei invitantis» con il quale Dio chiama tutti gli uomini a sé. C’è un tempo prima di Cristo e un tempo dopo Cristo: ma non esiste un tempo senza salvezza (Unheilzeit ) e un tempo con la salvezza (Heilzeit). La così detta «economia sapienziale» - cioè l’azione salvifica di Dio tramite la Sapienza e il suo Spirito - è attestata ampiamente sia nell’Antico Testamento che nel Nuovo. Si pensi alle molteplici alleanze attestate nel Pentateuco dal codice sacerdotale. Si pensi a testi come questi: «Dio ama i popoli» (Dt 33,3), è «amante della vita» (Sap 11,26), «la terra è piena del suo amore» (Sal 32,5), «la potenza di Dio riempie l’universo» (Sap 1,7; Pro 8,31).

Per quanto riguarda il Nuovo Testamento, soprattutto Giovanni e Paolo hanno assunto il criterio dell’universale sovranità di Cristo. Nella lettera agli Efesini e in quella ai Colossesi Cristo è proclamato fondamento e chiave di volta di tutta la storia: tutto fu creato in lui, tutto sussiste in lui, tutto tende alla conciliazione ultima in lui (Col 1,15-20; Ef 1,10). Sempre secondo Paolo lo Spirito opera per la giustificazione in ogni uomo che opera il bene e che segue la legge dell’amore (Rm 2,25-29; cf. At 10,34-35). Ancor più splendida la testimonianza di Giovanni: nel prologo l’azione del Verbo è descritta come «presenza» nel mondo, «illuminazione» e vita spirituale per tutti (Gv 1,9). Nell’Apocalisse Cristo è «il Primo e l’Ultimo, il Vivente» (1,18), agnello vittorioso prima della fondazione del mondo (5,13) e nel libro che tiene in mano sono segnati i destini della storia (5,6-9).

La riflessione teologica di questi anni ha cercato di percorrere la strada degli epiteti cristologici come Logos, sapienza, manifestazione, ecc., per valorizzare tutto il patrimonio di «beni spirituali e morali» e i valori socio-culturali (NÆ 5) che si trovano nell’universo religioso delle grandi tradizioni religiose mondiali. E’ una riflessione ancora aperta e che già i Padri fecero (come Giustino, Ireneo, Clemente Alessandrino, Origine, Agostino, Gregorio Nisseno), ma rimangono da affrontare molti settori.

Non solo quello del riconoscimento di Gesù Cristo come «rivelatore e salvatore unico», ma anche quello del valore dei «libri sacri», degli «archetipi religiosi» propri dell’antropologia universale, dell’apporto delle religioni alla fede in Cristo e all’esperienza cristiana della salvezza. Si tratta cioè di un apporto di esplicitazione soltanto, o di scoperta di valenze nuove non ancora percepite, o vi sono addirittura degli elementi «nuovi» da «assumere»?

Così il dialogo interreligioso diviene un processo di annuncio e di ascolto, di accoglienza e di offerta: e non una pura presa di coscienza delle differenze esistenti, storiche ed esistenziali. Come appunto viene suggerito anche da documenti ufficiali più recenti.

Evangelii nuntiandi (n. 53) a riguardo delle altre religioni ossserva:

«Esse portano in sé l’eco di millenni di ricerca di Dio, ricerca incompleta, ma realizzata spesso con sincerità e rettitudine di cuore. Posseggono un patrimonio impressionante di testi profondamente religiosi. Hanno insegnato a pregare a generazioni di persone».

E in un altro documento recente, del Segretariato per le religioni non cristiane, che offre delle «riflessioni e orientamenti» per il dialogo interreligioso dice:

«A un livello più profondo, uomini radicati nelle proprie tradizioni religiose possono condividere la loro esperienza di preghiera, di contemplazione, di fede e di impegno, espressioni e vie della ricerca dell’Assoluto».

Il valore di quello che altre religioni possono dire oggi di Gesù Cristo (o arricchire il già detto) deve essere visto in questa prospettiva: che tenga conto delle ricchezze espressive e sacre delle altrui tradizioni, della capacità di ciascuna tradizione di assimilare in maniera creativa il messaggio di Cristo. L’esperienza del resto s’è già verificata per tutto l’occidente nei secoli IV e seguenti, e si sta ripetendo nei luoghi dove l’inculturazione spinge verso nuove «sintesi».

E’ tutto ancora da verificare l’impatto storico della grande riunione, ad Assisi dell’ottobre 1986, dei rappresentanti delle varie religioni del mondo. Ma certamente quell’esperienza ha aperto la strada ad una forma nuova di dialogo fra le religioni, e di rapporto tra religioni e storia comune.

È interessante che siano soprattutto gli asiatici e gli africani a sentire questo problema in maniera intensa. Essi amano oggi parlare di «Christus cosmicus», cioè «universale». Mentre la teologia occidentale ha posto l’accento di più sulla persona storica di Gesù di Nazaret e sulla chiesa come istituzione storica, la giovane teologia asiatica e africana è più attenta a cogliere le implicazioni universali del «primato» di Cristo.

Scrive il teologo dello Sri Lanka, Tissa Balasuriya (9):

«Cristo il Signore implica una dimensione di essere molto più vasta che non Gesù di Nazaret, sebbene Gesù sia il Cristo».

Lo studio di alcuni passi del Nuovo Testamento (es. Ef 1 e Col 1) in cui si parla del pieno compimento della rivelazione divina nella universale signoria del Risorto, invita ad una visione «cristica» di tutta la realtà. umana e cosmica.

Se una teologia centrata sulla figura di Gesù e la fondazione storica della chiesa ha indotto i cristiani - argomenta Balasuriya - a reclamare un monopolio su Dio, ritenendosi gli unici depositari della salvezza, la riflessione sul primato di Cristo e l’universale presenza del suo Spirito conduce a ripensare la creazione nei termini della presenza di Cristo in tutta la realtà creata. Se è vero il «disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,10), allora bisogna cercare il messaggio di Dio in tutti gli strati dell’esistenza: storica, cosmica, sociale, individuale.

C’è una «teoprassi» nei valori «religiosi» dei popoli: tale patrimonio deve essere capito, assunto, letto in Cristo, purificato in lui. Bisogna far attenzione per non confondere l’universalità di Cristo come unico mediatore con la universalità del cristianesimo come religione storica.

Dice un altro teologo asiatico, A. Pieris: se la chiesa vuole conoscere e mostrare il «volto asiatico di Cristo», deve

«essere abbastanza umile da farsi battezzare nel Giordano della religiosità asiatica e abbastanza forte da essere crocifissa sulla croce della povertà asiatica»

La religiosità profonda e ricca dell’Asia e la sua immensa povertà (80% dei poveri del mondo) sono l’impasto per una chiesa cristiana a misura dell’Asia? Egli sostiene anche che vi sono quattro modelli di inculturazione: cultura e religione (latino); filosofia e religione (greco): questi sono impraticabili nel contesto asiatico. Il terzo: religioni cosmiche (animiste) e cristianesimo (nordeuropeo): potrebbe andare bene in Asia, ma per pochi ormai; altre grandi religioni sono già arrivate. E sono le religioni «metacosmiche»: cioè con una realtà trascendente che agisce in maniera immanente nel cosmo e nell’uomo, attraverso l’agape (amore redentore) e la gnosis (conoscenza salvatrice). Per cui conclude che il modello monastico è il più vicino al genio asiatico: per la solidarietà con i poveri (agape) e per la comprensione del linguaggio dei monaci (gnosis) asiatici.

Interessante è anche la «Minjung Theology», cioè la teologia coreana che ritiene il «popolo» (= minjung) come soggetto della storia. La «Minjung Theology» non intende essere né una teologia politica coreana, né una teologia coreana della liberazione. Essa si basa sulla convinzione che il messaggio cristiano si radica nell’esperienza storica e culturale di un popolo. Uno dei termini usati è han (da cui anche «Theology of han»): significa il sentimento collettivo del popolo oppresso, carico di tutti i soprusi e le violenze, è la «giusta indignazione» che permane oltre i tiranni e le tragedie, e indica una coscienza collettiva messianica di speranza e libertà.

In linea generale: si può dire che nelle grandi religioni non cristiane, Gesù Cristo è visto non solo come via all’uomo maturo e realizzato, ma anche come via a Dio, come mediazione al trascendente e al divino.


Note

8) P. Rossano, Teologia delle religioni: un problema contemporaneo, in R. Latourelle, (ed.), Problemi e prospettive di Teologia fondamentale. Queriniana, Brescia 1980, pp. 359-377.

9) Teologia planetaria.

Letto 2634 volte Ultima modifica il Lunedì, 12 Novembre 2007 23:09
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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