Formazione Religiosa

Giovedì, 30 Agosto 2007 00:41

Quelli che furono convertiti dal Concilio. E quelli che no (Marco Ronconi)

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Quelli che furono convertiti dal Concilio.
E quelli che no

di Marco Ronconi

Recentemente, al convegno di presentazione per una mostra fotografica organizzata dal­l’Azione cattolica italiana sul Concilio ecumeni­co Vaticano II ho ascoltato con piacere la vicepresiden­te del settore giovani ragionare su come il Vaticano Il corra i rischio di diventare solo un mito per le nostre ultime generazioni. "Solo", perché la mitizzazione è una delle più pericolose riduzioni di quell'evento che ha prodotto una gamma di documenti ricchissimi e ha introdotto uno stile ecclesiale adeguatamente aggiornato (bisognerebbe dire «nuovo», ma evito l'aggettivo per non distrarre alcune anime giustamente sensibili). Tali tesori non vanno posti sotto una campana di vetro e ammirati, ma vanno fatti circolare, verificati e recepiti fino all'osso. Ascoltavo e condividevo.

Il tentativo di ricezione riduttiva che conosco meglio è quello che cerca di incastrare i protagonisti del Concilio in categorie sociologiche comprensibili, ma tuffo sommato inadeguate (destra-centro-sinistra...). E altrettanto vero però, che anche fare del Concilio un evento "mitico", significherebbe isolarlo dal presente, levandogli quella carica propositiva che è ancora lonta­na non solo dall'esaurirsi, ma forse anche dal manifestar­si in tutta la sua forza. Non mitizziamo, dunque. È diffici­le, a ben guardare, ma lo si può fare. Soprattutto, rac­contiamo le storie tutte intere, senza paura, affrontan­do la fatica della loro complessità. Pretendiamo che ci vengano raccontate nella loro interezza.

Da tempo, discutendo e ascoltando di Vaticano II, io che ne ho letto solo sui libri, ho maturato l'idea che il dittico progressisti-conservatori (non) funziona esattamente come il dittico credenti-non credenti: a proposito di questa distinzione, ad esempio, il cardinale Martini rifletteva che «ogni credente dialoga con il non credente che è in lui» e proponeva perciò di ragionare abbandonando tale distinzione che non corrisponde alla realtà, preferendole invece la distinzione tra "pen­santi" e "non pensanti . Non sono in grado di propor­re un'analogia simile per inquadrare il Vaticano II, i suoi protagonisti e i suoi diversi modi di recepirlo, ma mi sembrerebbe una buona idea che qualcuno lo faccia. Qualcuno che, afferrando la mole di lavoro preziosissi­mo che gli storici stanno offrendo, dia vita a una tradi­zione rispettosa della complessità e dell'intelligenza di molti dei suoi protagonisti, da non ridurre, ma da cono­scere per discernere e progettare.

Faccio un esempio con la storia del cardinale canadese Paul-Emile Léger Nato nel 1904, entrato in seminario a 12 anni, prete di una congregazione auste­ra e rigorista, arcivescovo di Montreal a 46 anni, in occasione della porpora cardinalizia, si firma «principe della Chiesa» (dal linguaggio, sembra conservatore): grande oratore e predicatore radiofonico (atteggiamen­to progressista verso i mezzi di comunicazione?), si distingue nei primi anni di episcopato per la sensibilità verso le cause sociali dei malati e degli anziani (qui è difficile: conservatore o progressista?), nonché per una vigorosa campagna di moralizzazione contro l'alcool, le danze modeme, Elvis Presley, il cinema, il bingo e l'abbi­gliamento sulle spiagge (ok è conservatore). Nelle file dei prelati "tradizionalisti" si presenta al Concilio (an­che se alcune sue affermazioni sui poteri da riconoscere ai laici mi sembrano "progressiste" ancora oggi...), dove fa parte di alcune delle commissioni più importan­ti. Come "esperto", si avvale però di A. Naud, per il quale parla il titolo del suo libro più celebre: Il magistero incerto. Al termine del Concilio, nel 1967, il cardinale Léger lascia Montreal per trasferirsi a Yaoundé, in Ca­merun, dove resta 12 anni dedicando energie e denaro alla cura dei lebbrosi. Apparentemente, un mito. Per evitare quanto dicevamo prima, tuttavia, basta continua­re la storia fino in fondo. Il suo volontario trasferimento africano - che lascia tutti di stucco - non coincide infatti con un lieto fine. Léger incontrerà molti e difficili problemi con il clero locale, venendo costretto a un ulteriore ripensamento del suo modo di vivere l'aspetto missionario del cristianesimo, fino al ritorno in Canada.

Un'altra volta racconterò di come mi sia stupito a scoprire che è stato il cardinale Ottaviani a introdurre la prima volta frère Roger Schutz in Vaticano, o rievo­cherò la "conversione" del cardinale Parente che, da esponente della minoranza curiale si ritrovò nel post­concilio a difendere vigorosamente la dottrina della collegialità episcopale, avendo riconosciuto il valore degli studi del giovane prof. Alberigo ed essendo rima­sto colpito dagli interventi di alcuni confratelli, come l'allora ausiliare di Bologna, monsignor Luigi Bettazzi. Per ora penso basti ricordare che «ognuno può dire che il Concilio non è stato niente per lui, se non l'ha convertito, se non gli ha cambiato la vita, se non gli ha risvegliato responsabilità sino ad allora insospettate o troppo neglette» (cardinal Paul-Emile Léger).

(da Jesus, gennaio 2006)
Letto 1811 volte Ultima modifica il Lunedì, 12 Novembre 2007 22:22
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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