“La scomparsa del latino” e il Concilio
di Rinaldo Falsini
Una vecchia accusa rivolta all’attuazione del Concilio, che ne riafferma l’uso in linea di principio pur concedendo l’ingresso della lingua volgare (SC 36), e ripetuta di recente non solo dai nostalgici, ma anche da non pochi responsabili che ne reclamano il recupero, specie nella messa (SC 54), riguarda “la scomparsa del latino” come lingua propria della liturgia romana. Non è fuori luogo un chiarimento, a distanza di oltre 40 anni (1965), per una verifica del passaggio dal latino alla “lingua volgare” (accettiamo l’espressione collaudata), nel nostro caso la lingua italiana, e trarne qualche riflessione(1).
La posizione del Concilio. Il problema è stato affrontato dal Concilio con l’affermazione di principio: ”L’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini” (SC36). Per “riti latini” in sostituzione di “liturgia occidentale” si intendono quelli romano, ambrosiano, lionese, bragarense, ecc. Ma in pari tempo nel secondo capoverso si dichiara: “Dato però che (….) nella messa non di rado l’uso della lingua volgare può riuscire di grande utilità per il popolo, si possa concedere ad essa una parte più ampia, specialmente nelle letture e nelle monizioni, in alcune preghiere e canti, secondo le norme fissate per i singoli casi nei capitoli seguenti”. Nel terzo paragrafo si demanda agli episcopati locali la determinazione dei limiti e della misura con la conferma degli atti da parte della Sede apostolica.
Sull’art. 36 la discussione dei Padri conciliari, apertasi il 22.10.1962, fu una delle più accese, come dimostra l’elevato numero di ben 81 interventi, con diversità di opinioni e di emendamenti in maggioranza favorevoli. Il clima fu rasserenato con la formulazione che lasciava intatto il principio della lingua latina circa la possibilità, non più obbligatoria ( da tribui debet in tribui potest ) di una parte più ampia alla lingua volgare, specialmente nelle letture e nelle munizioni, in alcune preghiere e canti “secondo le norme”- ecco l’aggiunta risolutiva dei contrasti - “fissate per i singoli casi nei capitoli seguenti”, “in particolare per la messa e i sacramenti”.
A proposito della messa, il n. 41 (diventato l’attuale SC 54) fu oggetto di una vivace discussione su posizioni contrastanti, contrarie o favorevoli alla concessione. Fu scelta, in base al n. 36, la via media accettata da tutti con varie sottolineature. Ecco il testo: “ Si possa concedere (non tribuatur ), nelle messe celebrate con partecipazione di popolo, una congrua parte alla lingua volgare, specialmente (praesertim) nelle letture e nella “orazione comune” e, secondo i luoghi,anche nelle parti spettanti al popolo, a norma dell’art. 36”. E prosegue con una disposizione insolita: “Si provveda però che i fedeli sappiano recitare o cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell’Ordinario della messa che spettano ad essi”. Era stato l’auspicio espresso dal relatore monsignor Calewaert nell’art.36, fatto proprio dalla Commissione ma praticamente dimenticato fino ad oggi. Sulle singole parti del Proprio e dell’Ordinario la competenza è affidata alle Conferenze episcopali e non viene esclusa nessuna parte, nemmeno il Canone. Nella votazione del 14 ottobre 1963, 22 padri espressero il placet iuxta modum con l’esclusione del Canone: ad essi il relatore monsignor Inciso rispose:” Non sembra opportuno che dal Concilio si escluda formalmente ciò che i casi particolari dalla Sede apostolica può essere concesso, come è già stato concesso”.
Il passaggio dal latino alla lingua italiana. L’episcopato italiano si dimostrò fin dall’inizio nettamente favorevole all’uso della lingua italiana. Nell’assemblea del 14-16 aprile 1964 scelse la soluzione della misura più ampia possibile e nominò la Commissione episcopale di liturgia con l’incarico esecutivo. La complessa e tormentata storia della versione italiana dei testi liturgici può essere distribuita in varie tappe o fasi, sia perché condizionata dalle concessioni del Consilium,sia per la variante del gruppo degli esperti, sia dello stesso centro di coordinamento,senza dimenticare il problema dei criteri. A noi interessano le tappe che corrispondono alle tre edizioni del Messale romano: la prima provvisoria del 1965, la seconda, con i testi conciliari, del 1973; la terza del 1983, con un accenno conclusivo alla prossima imminente edizione.
L’edizione del Messale festivo latino-italiano entrata in vigore il 7. 3. 1965 aveva un carattere di “provvisorietà” perché utilizzava il testo del Messale tridentino con alcune modifiche del 1962. Vera novità erano le parti dell’Ordinario (risposte, acclamazioni, preghiere e dialogo del sacerdote con il Gloria e Credo, ecc.) predisposto dalla Commissione diretta da monsignor Carlo Rossi, vescovo di Biella, presidente del Centro di azione liturgica (Cal), con il segretario monsignor Virgilio Noè (oggi cardinale)
L’Ordinario è l’unico elemento del Messale rimasto quasi immutato fino ad oggi e il più delicato, perché di uso quotidiano e familiare a tutti, destinato alla recitazione e al canto, esposto al logorio dell’uso. La versione fu compilata con grande impegno da nove esperti (liturgia, Bibbia, musica) convocati a Saronno (Va) nei giorni 28-29.7.1964, quindi sottoposta al parere di due letterati. Il testo passò all’esame della Commissione che vi apportò due modifiche non concordate con gli esperti, tra cui l’infelice “La messa è finita, andate in pace”. L’Assemblea episcopale il 19 settembre dello stesso anno ne dava l’approvazione definitiva e il giorno seguente il Consilium emanava il decreto di conferma.
La versione del testo s’ispirò ad alcuni criteri che, presentati al Congresso internazionale delle traduzioni (9-11. 11. 1965) risultarono analoghi a quelli seguiti dagli episcopati di altre nazioni. La versione dei Prefazi, a seguito della lettera di concessione da parte del Papa al cardinale Lercaro (27.4.1965), fu messa in cantiere da un piccolo gruppo di esperti sotto la guida del Comitato episcopale, ottenne l’approvazione definitiva il 7 ottobre ed entrò in vigore con la prima domenica di Avvento del 1965. Con il Messale del 1973 il testo dei Prefazi, salito ad una ottantina anche se uniformi nell’inizio e nella conclusione, era ritenuto uno dei più complessi per la variante di contenuto, per la forma stilistica e tono ieratico,per un ordinamento ritmico. Perciò la traduzione fu molto impegnativa. Il Canone romano prese l’avvio con una bozza prima ancora della decisione della Conferenza episcopale italiana: durante l’estate del 1967 fu sottoposto a una consultazione che ottenne 205 placet su 212 votanti.
L’Istruzione Tres abhinc annos del 4.5.1967 da parte della Congregazione dei riti e del Consilium concedeva alle Conferenze episcopali la facoltà di usare la lingua volgare nel Canone romano, accompagnata da una lettera ai presidenti con allegate disposizioni circa i criteri da seguire nella versione. Cadeva così l’ultimo muro del latino nella celebrazione della messa e l’ingresso pieno della lingua volgare. Nessun testo liturgico ha conosciuto un cammino più lungo, più tortuoso e laborioso del nostro: cinque redazioni, due consultazioni dell’episcopato e dieci mesi di esame a tutti i livelli, di esperti, vescovi, della Congregazione della fede e dello stesso Paolo VI. Approvato dal Consilium, entrava in vigore il 24.3.1968. Al Canone romano seguiva la pubblicazione, il 22 maggio 1968, di tre nuove preghiere eucaristiche con le indicazioni relative alla versione e susseguente approvazione (sul testo italiano delle nuove preghiere eucaristiche si può consultare quanto è pubblicato nel volume del Cal Le preghiere eucaristiche nella celebrazione della Messa, Padova 1969).
Non possiamo dimenticare che proprio nel 1969 usciva l’Istruzione circa le traduzioni dei testi liturgici per la celebrazione con il popolo .L’edizione del Messale romano del 1973 riproduceva letteralmente il testo delle preghiere eucaristiche sopra ricordate con qualche ritocco improprio,la traduzioni di tutti i Prefazi e di tutte le orazioni.La novità maggiore fu la separazione delle letture bibliche nel libro del Lezionario.Nel 1974 la Cei istituì l’Ufficio liturgico nazionale con tutti i compiti operativi assieme alla Consulta nazionale di pastorale liturgica, che ebbe dei riflessi nell’organizzazione diocesana. L’edizione 1983 del Messale romano non apportò alcuna modificazione nelle traduzioni.Introdusse il ricambio per gli interventi del sacerdote e collette domenicali in rapporto con le letture bibliche triennali per tutte le domeniche. Invece nel 2003 l’Ufficio liturgico ha organizzato una revisione totale dell’intero Messale con particolare attenzione alle quattro preghiere eucaristiche, escluso l’Ordinario.
Concludendo questa cronistoria relativa al passaggio “totale” dal latino alla lingua italiana nella celebrazione della messa, partendo dalla rilettura del Concilio che stabiliva la conservazione dell’uso del latino pur concedendo l’ingresso della lingua volgare secondo modalità affidate alle Conferenze episcopali e alla conferma della Sede apostolica, possiamo affermare che la volontà del Concilio è stata interpretata e attuata entro il quadro prefissato. Nulla è avvenuto proprio nel primo decennio senza il beneplacito di Paolo VI. Se di fatto l’uso della lingua latina sembra riservato all’”edizione tipica”, salvo casi particolari, lo si deve alle forti esigenze pastorali, le stesse che avevano animato i Padri conciliari, a sollecitare gli episcopati a chiedere e ottenere maggiore estensione dell’uso della lingua volgare. Indietro non si può tornare. Resta aperto per la Chiesa italiana un lavoro di “rilettura totale” in attesa della nuova edizione del Messale
(da Vita Pastorale, 3, 2007)
Note
(1) Scrivo queste pagine come frutto di un’esperienza personale, cioè di testimone del Concilio nella segreteria della Commissione liturgica al 1969 dopo la traduzione delle quattro preghiere eucaristiche, quindi nell’edizione del Messale del 1983 e quella per la revisione delle stesse preghiere del 2003 per la prossima edizione. Segnalo i due convegni sulle traduzioni cui ho partecipato, il primo internazionale organizzato dal Consilium nel 1965 a Roma su Le traduzioni dei testi liturgici (Libreria Vaticana 1965); il secondo organizzato dall’Isr di Trento nel 1994 su La traduzione dei testi religiosi (Morcelliana 1994, Brescia).