Formazione Religiosa

Venerdì, 21 Dicembre 2007 00:11

Madre di Dio (Luigi De Candido)

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La divina maternità è stato il primo dei dogmi mariologici a essere definito. Il Vaticano II si concentra intorno al significato ecclesiale della verginale maternità di Maria.

Maria Vergine e Madre di Dio

Perpetua verginità e divina maternità di Maria sono inseparabile unità personale: cristologica, ecclesiologica. Insieme a immacolato concepimento e assunzione alla gloria celeste in anima e corpo. entrambi sono dogma, ossia verità rivelate da Dio tutte sulla garanzia magisteriale rispettivamente di Pio IX (1854), Pio XII (1950), sensus fidelium o consenso universale di fede, concilio di Efeso (431).

Insistendo nel precedente articolo, riguardante la verginità di Maria, sul fatto che non è un dogma «solennemente definito», non si intendeva per nulla negare che appartenga al dogma proclamato dalla fede della chiesa. Tale verginità infatti è proclamata in tutti i simboli di fede e nei grandi concili.

Secondo la cronologia, primo dei quattro dogmi mariologici fu definita la maternità divina. La locuzione «maternità divina» ha il pregio della sintesi, ma è imperfetta. La formulazione verace suona: Maria è madre di Gesù Cristo figlio di Dio; e anche: maternità divina secondo la natura umana di Cristo.

Questa puntualizzazione viene cesellata nel terzo concilio ecumenico Esso fu convocato a Efeso dall’imperatore Teodosio junior durante il pontificato di Celestino I (422-432) con l’intento di pacificare i fautori di contraddittorie cristologie. le quali seminavano turbativa nell’impero, soprattutto in oriente. Il popolo, la gente, partecipava al dibattito teologico, si appassionava con la passione dei teologi, parteggiava sull’onda di variegate mozioni.

Efeso fu concilio cristologico, pagina avventurosa della cronaca ecclesiastica, capitolo drammatico di storia della teologia, arena di tenzone tra prestigiosi ecclesiastici, fra i quali spiccavano i vescovi di Costantinopoli Nestorio e di Alessandria Cirillo. Il primo interpreta il Cristo composto bensì di due nature ma altresì di due persone; il secondo difende la duplicità delle nature, divina e umana, congiunte nell’ipostasi dell’unica persona. Da tale precisazione consegue la qualità di maternità divina di Maria. La maggioranza dei padri conciliari (125) approva la seconda lettera di Cirillo a Nestorio, che contiene la formula dogmatica concernente la maternità divina.

«I santi padri - scrive l’inflessibile presidente del concilio - non dubitarono di appellare la santa vergine theotòkos (madre o genitrice di Dio) non in quanto la natura del Verbo e la divinità nella santa Vergine prese inizio, bensì perché da essa nacque quel santo corpo animato da anima razionale, al quale il Verbo di Dio ipostaticamente unito si afferma che nacque secondo la carne», L’assise condanna come anatema chiunque non confessa che l’Emanuele è veracemente Dio e che perciò la santa Vergine è theotòkos.

La definizione efesina si innesta sulle formule dei simboli di fede che Gesù Cristo nacque da Maria vergine per opera dello Spirito santo: prosegue la posizione antiariana nicenocostantinopolitana (concili del 325 e 381); prepara il completamento di Calcedonia (451).

Celebrato al tempo di Leone I(440- 461) sotto l’imperatore Marciano, ribadendo la condanna del monofisismo (unicità di natura e persona in Cristo) rilanciato dal monaco Eutiche, il concilio calcedonense precisa l’ambito della maternità divina di Maria: «il Figlio di Dio è prima dei secoli generato dal Padre secondo la divinità; lo stesso Figlio di Dio per noi e per la nostra salvezza nella pienezza dei tempi è generato da Maria vergine madre di Dio secondo l’umanità».

Il messaggio biblico

e perfino di ‘menzione pneumatologica sufficiente. Il rigore logico e razionale postulava siffatta terminologia, segno che la cultura allora attuale giovava quale supporto a indicibili e ineffabili verità. Quella cultura era elitaria, appannaggio degli ecclesiastici protagonisti di eresie, dibattiti e conflitti a difesa della propria verità e di definizioni solenni.

Il popolo si appassionava più che alle acribie filosofiche e teologiche a lui estranee, ai contenuti verso i quali la teologia dotta e ufficiale riusciva a entusiasmarlo. Oppure veniva guidato dalla gagliardia della pietas e dalla radicata affezione cultuale. Emblematica è la fiaccolata serale, il 22 giugno 431, che accompagna alle dimore i padri conciliari di Efeso. Emblematica è l’attiva partecipazione alle vicende ecclesiastiche e conciliari degli imperatori: perfino la ricerca teologica o una soluzione dogmatica erano «fatto politico».

Le formulazioni conciliari riassumono la fede neotestamentaria nell’incarnazione. I vangeli dell’infanzia narrano il concepimento di Gesù nel grembo di Maria per opera dello Spirito santo: egli viene riconosciuto e annunciato come Figlio di Dio, Signore e Salvatore; dunque sua madre è madre di Dio. Ma siffatta conclusione, quasi sillogistica, viene taciuta, Anche Paolo e il prologo del quarto vangelo conoscono l’evento dell’incarnazione del Verbo (Gv 1,14), dell’inviato Figlio di Dio nato da donna (GaI 4,4); tuttavia, non avanzano oltre nelle deduzioni mariologiche ovvie da siffatta cristologia.

Quelle sono identiche basi sulle quali si eleva la fede nella verginità della madre di Dio: Maria è madre-vergine, è vergine-madre (lo spostamento dei termini segna accentuazioni differenziate). Quale maternità per opera dello Spirito santo, è verginità. Maternità e verginità coesistono e coincidono, perché il Figlio generato è Dio, è il Signore, è il Salvatore di tutto il popolo, è il sommo sacerdote offerto in definitiva espiazione e riconciliazione di Dio e con Dio.

Maria mediante tale maternità verginale si situa sulla linea del Cristo servo per amore del Padre e dei fratelli. Impegnatasi come serva del Signore, diviene l’evangelica «serva inutile», perché quanto aveva in obbedienza di fare - anzitutto accettare la maternità per opera dello Spirito santo e poi la discepolanza oblativa assoluta come verginità totale - ha fatto in somma qualità. E l’«inutilità» di quella maternità verginale nel significato evangelico più alto (alternativo al modesto e incomprensibile «inutili» delle traduzioni vigenti): non abbisognare di null’altro e di nessuno, aver ricevuto e acquisito il massimo (Lc 17,10: achréioi, non bisognosi). La vergine madre possiede il Figlio di Dio che riempie la sua vita, impreziosisce il suo passato, garantisce l’evangelicità del suo futuro.

Anche nell’Antico Testamento vibra qualche raggio illuminante quella maternità. La maternità è dono divino alla donna, la quale anche tramite la donazione della vita partecipa all’immagine e somiglianza in cui è creata: Dio è percepito come padre e talvolta come madre, Il messia appartiene ad Israele nel quale entra tramite una madre. Una madre individuata da Dio, una vergine partoriente sono segno della pienezza dei tempi (Mi 5,1-2; Is 7,14: interpretazioni mariologiche).

La sensibilità attuale

Nel Nuovo Testamento questa madre vergine viene identificata in Maria di Nazaret, sposa del giusto Giuseppe, serva del Signore, benedetta e beata perché credente, partoriente a Betlemme, riconosciuta come segno dai pastori e dai magi, segnata dal progetto di Dio penetrante come spada, custode attenta e in progressiva consapevolezza dei misteri, guida della divina presenza del Figlio in lungo silenzio, mediatrice di ascolto servizievole, beata per la singolare discepolanza, vicina alla sofferenza redentiva, presente nella comunità ecclesiale (citazioni di contesti con l’appellativo «madre»).

L’attualità indaga altre spiegazioni intorno al mistero della verginità perpetua e della divina maternità. A una mentalità curiosa e a una cultura onnivora non bastano risposte tradizionali. Oltre la Bibbia e le definizioni dogmatiche, esse sono immense: padri e teologi pensosi sulle modalità inesperimentabili d’una maternità verginale; magistero solido, essenziale, guardingo; eucologia esuberante, ingegnosa, financo eccessiva; una liturgia (nel rito latino) sobria e rinnovata (esemplare la solennità della madre di Dio il 1° gennaio); espressione artistica delicata, devota, generosa, geniale nel ritornello della maternità mariana; perfino visioni e sogni e messaggi a miriade.

I decenni recenti hanno tentato di snodare i grovigli biologici e genetici della maternità divina, insieme a quelli connessi della verginità perpetua. Nessuno ha fornito risultati soddisfacenti. Tuttavia, l’itinerario continua a restare praticabile (ma poco praticato dopo autorevoli dissuasioni). La genetica può affidare al teologo o al semplice meditabondo sui misteri ipotesi esplicative o risultati scientifici nell’ambito di biologia e fisiologia. Essi possono assicurare che la maternità verginale di Maria almeno non contraddice le potenzialità della persona umana, compreso il corpo e la sessualità, sebbene posta fuori dalla linea continua dell’esperienza consolidata e ragionata. Una maternità verginale è sfida alla ragione; ma non insulto.

Sulla linea della genetica la teologia potrebbe ipotizzare l’intervento diretto di Dio che «all’inizio» immette nell’umanità, generata da fonte unitaria e affratellata da un genio comune, un nucleo divino-umano custodito e tramandato lungo una discendenza etnica via via identificata - linea messianica - che nella pienezza dei tempi matura nella vergine Maria, s’incarna nella sua divina maternità. E’ ipotesi per dire l’utilità che questa porta resti aperta.

Il Vaticano II ha imboccato un percorso nuovo, proiettato verso lunghe distanze di fecondità concettuale e ispirazionale. Ricevuto il depositum tradizionale, l’attenzione si concentra intorno al significato ecclesiale della figura di Maria. Essa è «tipo» della chiesa. Dunque, anche la chiesa è vergine e madre e a Maria vergine madre si ispira. La chiesa è mistero, sacramento universale di salvezza, popolo di Dio. Ma si concreta in realtà ed entità bene individuate e viventi. Chiesa è l’universalità e la particolarità (chiese locali); sono le piccole chiese domestiche e le comunità di fede come quelle di vita consacrata; sono la comunione dei due o tre riuniti nel nome del Signore e ciascun discepolo di Gesù nella propria individualità vocazionale e diaconale. Queste realtà di chiesa custodiscono come Maria un carisma di maternità verso Cristo che donano intorno e di verginità che misurano nella fedeltà.

Resta essenziale che la riflessione o la ricerca di comprensione anche nell’area dei dogmi mariani non alieni dalle concretezze del quotidiano, dove essi invece consapevolizzano all’annuncio e alla costruzione dell’evangelo.

Luigi De Candido OSM

 

Letto 2607 volte Ultima modifica il Venerdì, 07 Dicembre 2012 10:59
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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