Formazione Religiosa

Venerdì, 04 Aprile 2008 22:05

La teologia delle religioni vista dall’America Latina (José Comblin)

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La teologia delle religioni
vista dall’America Latina

di José Comblin

Fin dall'inizio è necessario dire che non si intende qui offrire una teologia a partire dall'America Latina come se fosse un punto di vista particolare, uno tra i tanti, come se fossero tutti equivalenti e accettabili. Quello che è accaduto nella teologia latinoamericana negli ultimi decenni non è un fenomeno locale. Non è nata una teologia particolare, una teologia circostanziale, locale, parziale. Così la vedono in Europa e in questo si sbagliano totalmente. Gli europei credono di situarsi in un punto di vista universale, credono di rappresentare l'universalità e di poter giudicare le teologie di tutti gli altri come se si trattasse dì teologie particolari che non riguardano la teologia universale.

È la teologia del Primo Mondo ad essere una teologia circostanziale, locale, parziale, particolare, perché è una teologia della cristianità occidentale. Non ha ancora rotto il legame con la cristianità, così come le Chiese storiche della cristianità: non hanno assimilato - e soprattutto non hanno portato avanti - il Vaticano II (...).

Che è successo in America Latina? Esattamente il contrario: si è portata avanti la teologia del Vaticano II in una forma radicale e si è abbandonato lo schema della cristianità. Si è preso sul serio quello che diceva il Vaticano II, cercando il popolo di Dio in mezzo ai poveri, cosa che le Chiese del Primo Mondo non si sono azzardate a fare e che la burocrazia romana è riuscita ad impedire difendendo la sua politica di alleanza con i poteri nella società occidentale, erede della cristianità. (...)

Naturalmente, all'interno della cristianità, vi sono state moltitudini di cristiani poveri che hanno compreso il Vangelo e lo hanno vissuto: erano il popolo di Dio, ma tra loro e la struttura di cristianità c'era un abisso quasi senza comunicazione. Il popolo pensava una cosa, e il sistema un'altra.

(...) In America Latina è avvenuta all'interno dello stesso clero e all'interno della teologia la riscoperta dei poveri e il vero senso della buona novella, del Vangelo che si rivolge ai poveri e non semplicemente agli esseri umani come se fossero tutti uguali. Quello che troviamo nella Bibbia è, precisamente, che non sono uguali, che nella storia vi sono ricchi e poveri, dominatori e dominati, sfruttatori e sfruttati, oppressoti e oppressi, e che il Vangelo ha senso nella denuncia di questa situazione, affermata fino alla morte dai profeti di tutti i tempi.

La teologia latinoamericana (...) ha riscoperto l'essenziale del cristianesimo, il suo messaggio centrale. Come ha potuto farlo? Perché ha rotto con la cristianità, ha rotto con il sistema coloniale, ha rotto con il sistema ecclesiastico. (...)

Si è scoperto che la Chiesa vera è la Chiesa dei poveri, quella che non è riconosciuta né accettata dal sistema. Cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi, leader laici hanno rotto con il sistema e per questo hanno conosciuto la vera Chiesa. Con i poveri hanno scoperto che la vera unità è escatologica, si situa alla fine, ma che in questo momento siamo in una storia di lotta, la lotta dei poveri per la loro liberazione, che è ciò che Gesù annunciò al suo popolo opponendosi a tutte le autorità di Israele, clero, dottori, anziani capi delle grandi famiglie. Hanno scoperto che il messaggio di Gesù è la speranza di una liberazione totale.

Situandosi in mezzo ai poveri, hanno capito che questa liberazione non si riferisce solo alla vita futura, che non si condensa in una cristianità idealizzata, ma che è presente nella lotta costante e perseverante dei poveri illuminati dalla promessa divina della loro piena liberazione. Questo non vuol dire che gli altri siano esclusi. Gesù offre loro un mezzo di salvezza: abbandonare la ricchezza e unirsi al popolo dei poveri.

Questo è il punto di vista che ci permette di giudicare e di apprezzare il significato del dialogo interreligioso.

1. Chi sta dialogando?

1.1. Chi dialoga con chi?

La questione è: se quelli che dialogano a nome del cristianesimo sono membri della struttura di cristianità - clero, religiosi - conviene dubitare molto. Non rappresentano il cristianesimo. Sarebbero sempre preoccupati di uscire dall'ortodossia. Quello che presenteranno come cristianesimo sarà l'ortodossia, cioè il sistema istituzionale della cristianità. (...)

Questo sistema è quello che si è presentato come cristianesimo per 16 secoli a tutti gli altri popoli. (...). Ancora oggi la maggior parte dei membri del sistema sono impregnati di esso e non riescono neppure a capire di essere dentro un sistema. Credono che quanto dicono è il cristianesimo perché è quanto hanno appreso nella loro teologia ed è quanto pratica il sistema.

Un dialogo in cui gli interlocutori che si dicono cristiani sono piuttosto rappresentanti di un sistema è molto sospetto. E possiamo presumere che per le altre religioni succeda qualcosa di simile. (...).

In questa fase della storia, la situazione è peggiore. C'è un cattolicesimo ufficiale che è sempre più burocratico. Il XX secolo ha assistito al sorgere della burocrazia vaticana che si è resa indipendente e manipola il papa, attribuendosi i poteri di Pietro. (...) Essa produce documenti senza fine per giustificare la sua esistenza. Ma la sua ragione d'essere, come quella di tutte le burocrazie, è aumentare il suo potere e per questo difficilmente può lasciar trasparire qualcosa di cristiano in mezzo a tutta questa immensa produzione di carta stampata. (...)

Il dialogo tra burocrazie darà una ragione d'essere alle burocrazie, ma non porterà a nulla. (...).

Un dialogo vero è un dialogo tra i popoli quando questi cominciano a convivere, confrontando le proprie religioni e influenzandosi reciprocamente. Con ciò si corromperà il cristianesimo? Non è probabile, perché le eresie le hanno sempre create i chierici e non i laici. La soluzione è imprevedibile, ma non c'è dialogo se si vuole sapere in anticipo dove si arriverà. Ogni dialogo è rischio, perché mette in discussione, squilibra tutte le parti e le obbliga a riformulare il proprio modo di vivere e di pensare.

1.2. La finalità del dialogo

C'è un sospetto. Nel mondo attuale tutte le religioni soffrono l'impatto del secolarismo della civiltà occidentale, scientifica e tecnologica. Tutte si sentono minacciate. Sentono di essere sempre più respinte dalla vita pubblica nelle varie nazioni. Il sospetto è il seguente: i rappresentanti delle grandi istituzioni potrebbero pensare, in quanto religioni, ad una lega di difesa dei propri interessi specifici. Una sorta di sindacato mondiale delle religioni.

(...). Il dialogo potrebbe essere lo strumento di un'alleanza mondiale dei fondamentalismi per promuovere l'importanza politica, sociale e culturale della religione. (...)

Una religione non è capace di correggersi da sola. Ha bisogno di ricevere la critica e la provocazione di altre persone ubicate fuori. Cioè, di altre religioni. Per questo alcuni dicevano che le eresie sono necessarie perché permettono di cercare la verità liberandosi da formule convenzionali e fisse. Per il cristianesimo questo lavoro è particolarmente necessario perché c'è un abisso tra il comportamento storico delle Chiese e il Vangelo di Gesù Cristo. Il dialogo permetterà di correggere tutta la corruzione di una religione, perché il confronto con le altre rivelerà le proprie deficienze. (...).

1.3. Cos'è la religione?

(...) Il cristianesimo vero è nell'azione dei cristiani che seguono l'azione di Gesù. Tutto il resto è simbolo, che aiuta o impedisce la ricerca della verità, secondo i casi. La verità della religione è ciò che va oltre la religione: la ricerca di Gesù Cristo, di Dio, non per mezzo di simboli e atti simbolici, ma nella realtà della vita. Che vantaggio ci sarebbe nel confrontare sistemi di simboli? Sarebbe impedire proprio l'essenziale, la ricerca comune della verità che è al di là di tutto ciò.

(...) Tutti insieme sono chiamati ad aiutarsi ad andare al di là dei propri limiti, delle proprie rigidità, delle proprie idolatrie, perché l'idolatria è considerare la religione come fine a se stessa. E fare della religione il fine e non il mezzo che deve cedere il passo a quello che è al di là.

2. L'oggetto del dialogo

2.1. Il discernimento delle religioni

La religione può essere la migliore o la peggiore delle cose. Tutto dipende dall'uso che se ne fa. In America, questa opposizione si è manifestata in forma tragica. La religione ha giustificato, provocato, incentivato la distruzione delle culture dei popoli indigeni e degli schiavi africani. Ha legittimato e consolidato la conquista, lo sterminio e la quasi schiavitù dei popoli indigeni. Ha giustificato l'importazione di milioni di schiavi dall'Africa e tutto il sistema di schiavitù che durò secoli. Tutto con la benedizione della religione ufficiale, dei suoi ministri e rappresentanti. Tutte le religioni sono accusate di orrori simili per quanto forse non di tale estensione. (...). D'altro lato la religione è indispensabile per dare senso alla vita. Senza religione la vita umana non ha direzione, non ha linea, è una successione di fatti senza significato.(...).

2.2. Il dramma dei monoteismi

Nel mondo attuale, la maggiore crisi religiosa riguarda i monoteismi. Quelli che sussistono sono il cristianesimo, l'islamismo e il giudaismo. Sono in crisi. Nel cristianesimo molti si sono allontanati dalla pratica tradizionale e si dimenticano dei dogmi tradizionali. (...)..

Nel giudaismo la crisi è immensa e la grande maggioranza non è praticante, neppure mantiene la fede nelle proprie credenze. Molti la mantengono in quanto ebrei, ma più per motivi culturali e politici che religiosi. L'islam si difende da un trauma tremendo attraverso il cammino del fondamentalismo. Questo entrerà in crisi inevitabilmente perché il contatto con la nuova cultura occidentale è inevitabile ed è essa che provoca la crisi. (...)

A questo punto dobbiamo riflettere sul cristianesimo. Questo è un monoteismo speciale. (...) Per prima cosa, il Dio unico non ha come attributo principale il potere, ma una combinazione di compassione, indignazione e volontà di agire. Questo si rafforza nella figura di Gesù che, lungi dall'apparire come un dio potente, è un dio debole, impotente, ridotto ai limiti di un essere umano, dominato, sfruttato, escluso.

In secondo luogo, dopo la morte di Gesù, la figura di Dio che balza in primo piano è lo Spirito, che è una forza immanente. Il Dio cristiano è al tempo stesso trascendente e immanente ma sempre debole, senza potere di imposizione e coercizione.

In terzo luogo, Gesù si pone alla guida della lotta dei poveri e dei dominati. Il Dio cristiano non è un Dio cosmico che rappresenta l'immobilità dell'universo, ma un Dio che entra nella storia non per giustificare il potere, ma per contraddirlo. È un monoteismo che si solleva contro la società stabilita, contro i potenti, smentendo la menzogna del monoteismo politico.

(...) Nel cristianesimo di Gesù, la povertà non e semplicemente un problema "sociale" o "politico", risolvibile con strumenti umani razionali, scientifici, tecnologici. Si è sempre sottolineato nella teologia della liberazione che la fame dell'altro non è un problema tecnico, ma un problema religioso, perché li si incontra Dio. Per questo il capitolo 25 di Matteo ha tanta importanza. Questo capitolo presenta il giudizio finale di Dio, la sua ultima parola, la forma con cui il vero Dio si interessa della religione, quello che intende per religione.

Per questo, l'attenzione ai poveri non è un'appendice, un corollario, un aspetto della compassione umana o della solidarietà. Non è un aspetto della giustizia. La dominazione, lo sfruttamento o l'esclusione dei poveri sono il dramma della creazione. Il Dio vero è coinvolto nella liberazione dei poveri e non è coinvolto nella religione. Dio detesta i templi, i sacerdoti e i sacrifici. La vera religione è l'amore attivo per i poveri oppressi perché si liberino dall'oppressione. La vera religione – se c’è bisogno di usare una parola tanto ambigua - è la lotta dei poveri per la loro liberazione. (...).

La questione è: chi parlerà in nome del Dio cristiano nel dialogo? L'interlocutore cristiano parlerà del Dio di Gesù o del Dio degli imperatori romani, inclusi tutti i loro eredi? Chi andrà a dialogare con gli indios e i neri di America? Chi parlerà loro del cristianesimo? Dalla risposta dipende la natura del dialogo: poiché il cristianesimo di cui si parlerà potrà essere lo stesso monoteismo dei conquistatori o il messaggio di Gesù Cristo.

2.3. La grande crisi attuale della religione

Crisi non vuole dire decadenza, né pericolo, ma cambiamento, trasformazione radicale. Non c'è pericolo per la religione, che ha il futuro garantito oggi come lo aveva nel passato. Non c'è decadenza della religione, ma solo decadenza di determinati tipi di religione e di determinate istituzioni religiose.(...)

Il potere nella società non è scomparso, è più forte che mai. Si è concentrato, ma in istituzioni anonime e per questo ha poca visibilità. (...).

Oggi gli oppressori non sono persone, padroni della terra, presidenti, partiti politici... L'oppressore è il sistema completo, che costituisce una forza che domina il mondo intero. (...).

Il sistema può migliorare lo stato di fame che c'è in America Latina, ma non può restituire la dignità all'immensa maggioranza di una popolazione che sa di essere una pedina in mano a forze anonime. Questo è il posto dei cristiani, ma costa, perché molti volevano una vittoria più immediata. Tutti volevano un cambiamento rapido, ma l'esame del mondo mostra che è inutile sperare l'impossibi-le. Sarà una lotta lunga in cui le comunità cristiane dovranno presentare al mondo un'altra maniera di vivere, finché alla fine il sistema non riconoscerà di aver fallito.

Allora, con chi andiamo a dialogare? Con tutti coloro che non accettano il sistema e sono decisi a lottare contro di esso, non solo con parole e simboli, ma con la loro vita, con la loro maniera di vivere, come isole in mezzo a un mondo che non comprende perché un essere umano non possa essere felice come semplice consumatore. (...). Con le altre religioni si dialoga se accettano di entrare nella lotta contro questo sistema. In caso contrario, non vale la pena dialogare e mancano argomenti di conversazione.

Siamo molto coscienti che la storia è molto più ampia dell'area di estensione del cristianesimo, ma tutti siamo chiamati ad entrare nella stessa storia. Dio non chiede se una persona è cristiana o musulmana o induista o confuciana... tutto questo non gli interessa. Dio vuol sapere chi è coinvolto nella nascita e nella crescita del suo popolo dei poveri. (...)

Alla teologia delle religioni possiamo proporre due temi di base.

Il primo è il tema della storia. In generale le religioni non si interessano della storia. Nella Bibbia l'importante è la storia, il cammino reale, materiale, storico seguito e creato dall'umanità chiamata da Yahvé alla libertà. Questa storia coinvolge tutti gli uomini e le donne di tutte le religioni. Tutti sono chiamati a porre le proprie forze al servizio di questa immensa marcia dell'umanità verso la sua liberazione da quel peccato immenso che è la dominazione dell'essere umano sull'essere umano.

In secondo luogo, c'è il tema dell'idolatria che è anch'esso basilare nella Bibbia. L'idolatria non sono le religioni, ma l'uso della religione al servizio del potere, della ricchezza, della dominazione. (...). Gesù arriva a definire esattamente l'idolatria quando la identifica con la sottomissione al denaro.

Nella visione cristiana c'è un dualismo profondo, per quanto non definitivo: alla fine si realizzerà l'unità, ma solo alla fine. Nella storia c'è una lotta permanente tra il vero Dio e gli idoli, tra il falso e il vero. Gesù dirà: tra il Padre e il denaro.

Per questo, la parola "Dio" non ci sembra molto conveniente e, oggi, porta a molta contusione. Questa parola è culturale e non primordiale. Nella Bibbia Dio non ha nome, neppure il nome Dio. Dio è colui che non ha nome perché è al di sopra di tutte le culture e rappresenta l'universale. (...) È la libertà pura che chiama alla libertà.

Dal momento in cui esiste questa storia unica che è lotta unica, tutte le religioni sono interpellate perché tutte sono dentro la lotta, tutte attraversare dalla dualità: tutte partecipano del bene e del male e tutte sono chiamate a liberarsi. (...).

Per questo, insieme al dialogo con le religioni, è essenziale mantenere il dialogo con gli atei, perché questo dialogo ci aiuterà e aiuterà tutte le religioni a preservarsi dall'idolatria. In realtà, dobbiamo mantenere le porte aperte al dialogo con gli atei. I primi cristiani furono condannati come atei. Il dialogo con gli atei è importante per noi tanto come il dialogo con le religioni. Bisogna mantenere l'equilibrio tra i due, perché la verità e nel mezzo, o piuttosto a un livello superiore dove non si nota più la differenza tra religione e ateismo.

(da Adista, n. 46, 18.06.2005, pp. 7-10)
Letto 2728 volte Ultima modifica il Sabato, 10 Maggio 2008 21:36
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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