Formazione Religiosa

Sabato, 17 Maggio 2008 19:43

La istituzione dei sette. Un metodo ecclesiale per affrontare e superare i problemi (Mauro Orsatti)

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La istituzione dei sette
Un metodo ecclesiale per affrontare
e superare i problemi (At 6,1-7)

di Mauro Orsatti





La finale del cap. 2 del Libro degli Atti presentava una comunità ecclesiale tanto perfetta da non lasciar spazio a ombre, tanto suggestiva da sembrare irreale. Il quadro composto da Luca con dati veri, e quindi da valorizzare anche dal punto di vista storico, non rappresenta tutta la realtà. Egli, infatti, fedele alla sua fine sensibilità di storico e di teologo, continua la descrizione della vita comunitaria, senza tacere le difficoltà che la minacciano dall'esterno e, ancora più gravi, quelle che la minano all'interno. Ad alcune di queste difficoltà riserviamo la nostra attenzione, per osservare come sono state affrontate e superate. Poiché molte sono identiche o affini a quelle che assillano le nostre comunità ecclesiali, potremo valutare se le soluzioni proposte siano idonee a fronteggiare anche i nostri problemi.

Un quadro di luci e di ombre

I primi capitoli degli Atti hanno presentato una comunità cristiana nascente in forte sviluppo e animata da un grande spirito di unità: "Il teatro d'azione è Gerusalemme, i cristiani sono un gruppo omogeneo costituito da giudei palestinesi [ ... ] che vivono la loro fede in perfetta comunione all'interno e tra la benevolenza e la relativa tranquillità all'esterno, guidati dagli Apostoli e soprattutto da Pietro". (1) Un quadro così idilliaco (cf 2,42-48; 4,32-35; 5,12-16) non deve trarre in inganno, perché questa descrizione, tutta luce e niente ombre, è da collegare ad un genere letterario particolare, quello di raccogliere in poche battute un quadro che risponde alle caratteristiche di stilizzazione, di idealizzazione e di modello attrattivo. Luca non fa altro che descrivere "il meglio" per fornire un valido punto di riferimento. Non intende certo negare o tacere le difficoltà che pure avvinghiano la giovane comunità: alcune sono originate all'esterno della comunità, altre all'interno. Tra quelle esterne ricordiamo la persecuzione nei confronti di Pietro e Giovanni, incarcerati, battuti e impediti nell'esercizio del loro ministero. Ci vuole ben altro per bloccare coloro che lo Spirito ha reso intrepidi testimoni! Gli interessati reagiscono con una puntuale disobbedienza, e, insieme alla comunità, con una preghiera corale. Ancora più perniciose le difficoltà che giungono dall'interno. La comunità fa anche l'esperienza di una costitutiva fragilità, nella triste ed enigmatica vicenda di Anania e Saffira. L'appartenenza formale (potremmo dire de iure) al gruppo cristiano non sancisce necessariamente una condivisione profonda del progetto di vita (de facto). Si potrebbero forse applicare anche a loro le parole di Giovanni nella sua prima lettera: "Sono usciti di mezzo noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; ma doveva rendersi manifesto che non tutti sono dei nostri" (1 Gv 2,19). Si trattò di un fatto che riguardava una coppia; il caso fu presto risolto e archiviato, anche se il messaggio rimane a monito perenne.
Con l'episodio di 6,1-7, l'orizzonte si amplia e la crisi rischia di infettare la comunità, lacerandone il tessuto comunionale. Si profilano conseguenze devastanti. Da qui la necessità di capire il problema e di ben impostarlo per una corretta soluzione. Siamo in presenza di un brano, importante per almeno tre motivi: inizia una seconda grande parte degli Atti, in cui la comunità cristiana supera i confini di Gerusalemme e si prepara a portare il Vangelo nel mondo; la comunità cristiana conosce una nuova forma organizzatrice che delinea meglio la struttura della Chiesa e, accanto ai Dodici, si incontra il gruppo dei Sette; infine, non tutto è chiaro e sereno nella vita quotidiana della comunità e sorgono dei problemi; il brano mostra come si affrontano e come si risolvono.
Se analizzato e vivisezionato, il brano offre questa semplice struttura: introduzione (v. 1); proposta degli apostoli (vv. 2-4); accettazione da parte della comunità (vv. 5-6); conclusione (v. 7).

Il problema: diversità che crea contrasto

La nuova difficoltà, sorta all'interno stesso della comunità cristiana, viene meglio compresa se pensiamo ad un gruppo in rapida crescita. L'aumento del numero di cristiani, chiamati qui per la prima volta "discepoli", porta un nuovo problema, racchiuso nel termine complessivo di "malcontento". La rara parola greca gonghysmós conserva qui il semplice significato di mormorio o di mugugno, (2) originato dal fatto che una parte del gruppo si sente trascurato. Anche se finora la comunità è composta da soli giudei, è inevitabile che un accrescimento numerico porti a contatto mentalità diverse. (3) Esistono due diversi gruppi di giudei, distinti con l'appellativo di "ellenisti" e di "Ebrei".
Gli ellenisti sono giudei cresciuti in stretto rapporto con la cultura greca provenienti dalla diaspora, che li ha visti dispersi in tutta la regione del Mediterraneo; oppure essi traggono la loro origine da quelle zone palestinesi o dei dintorni che, in seguito alla penetrazione della cultura ellenistica sotto Alessandro Magno, hanno finito per assimilare la lingua ed i costumi greci. Per quanto riguarda il culto, essi dispongono di proprie sinagoghe nelle quali le Scritture vengono lette in greco. Proprio per venire incontro alle esigenze di questi giudei che conoscevano poco o non conoscevano affatto l'ebraico, si iniziò verso il III secolo a.C. la traduzione delle Scritture in greco, producendo quella poderosa opera conosciuta come la Traduzione dei Settanta (= LXX). Gli ebrei sono i nativi della Palestina, usano come lingua corrente l'aramaico, e leggono le Scritture in ebraico. Costituiscono, all'inizio della Chiesa, il gruppo principale della comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme. Li caratterizza un forte attaccamento alle tradizioni dei padri che li porterà ad assumere atteggiamenti di chiusura, a differenza dei più aperti ellenisti che non vedevano di buon occhio.
I due gruppi insieme costituiscono i "discepoli", cioè il primo nucleo della comunità cristiana. Eppure sono divisi da forte contrapposizione, che potrebbe degenerare in aperta lacerazione. Incombe la minaccia di una scandalosa divisione all'interno della comunità. Proprio nel momento in cui la comunione di fede deve diventare visibile e operativa, viene rilevata una discriminazione tra i due gruppi cristiani. Gli ellenisti rimproverano agli ebrei, ai quali era affidata l'organizzazione dell'assistenza giornaliera, di trascurare le loro vedove. Il numero di vedove doveva essere consistente, poiché gli ebrei della diaspora avevano la consuetudine di trasferirsi a Gerusalemme negli ultimi anni della loro vita, per poter essere sepolti nella Città Santa. (4)
Anche se storicamente non siamo ben informati sul tipo di servizio, pensiamo con tutta probabilità che si trattasse di una specie di mensa popolare, capace di garantire il minimo vitale ai più bisognosi. Tale "distribuzione" (in greco diakonia, cf v. 1), già praticata nell'ambiente giudaico dell'epoca, "consisteva nel fornire una scodella di cibo ogni giorno ai poveri, anche quelli di passaggio, da parte di un gruppo che si incaricava della colletta nelle case. Era anche presente una cassa dei poveri che ogni venerdì forniva il denaro necessario per 14 pasti, ma soltanto ai poveri della città". (5) Neppure siamo informati sulla causa della trascuratezza; (6) possiamo invece stabilire, partendo dall'uso del tempo imperfetto (azione continuata nel passato), che la situazione si protraeva da un po' di tempo. Quindi, non siamo in presenza di un "disguido" o di un "imprevisto", al quale si cerca di rimediare all'ultimo momento, ma di un'azione abitudinaria. Da qui il contrasto tra i due gruppi. Come risolverlo? La soluzione arriva per gradi seguendo il metodo semplice ed essenziale di vedere, giudicare, agire.
La soluzione del problemaI Dodici (7) accettano senz'altro la critica mossa dagli ellenisti e sono stimolati a rivedere alcune posizioni. Essi seguono la traiettoria di vedere il problema, di giudicare la situazione e di agire con coerenza. Essi reagiscono senza esitazione per cercare di ovviare alla rottura venutasi a creare: giocano un ruolo mediatore per ristabilire l'unità. La protesta aveva quindi un suo fondamento, non privo di pericoli. Anche se probabilmente non erano loro a regolare il servizio delle mense, restavano i responsabili ultimi in quanto a loro venivano consegnati i beni (cf 4,35; 5,2). Inoltre come autorità costituita e riconosciuta, devono esaminare il caso. I problemi e le difficoltà devono essere affrontati, perché forme di mimetismo o di insabbiamento si rivelano poco produttive, quando non addirittura rovinose. TUTTI vengono convocati per iniziativa dei Dodici (autorità) al tavolo della discussione e TUTTI partecipano: "Allora i Dodici convocarono i discepoli (= i cristiani) e dissero" (6,2a). Per prima cosa essi coinvolgono la comunità, alla quale viene riconosciuta una propria dignità e corresponsabilità. Non si è in presenza di un'autorità dispotica, bensì "di una gestione che si potrebbe chiamare "democratica" e assembleare se i due termini non fossero carichi di connotazioni estranee alla mentalità di Luca". (8) La pedagogia adottata è quella del dialogo, che aiuta a ricomporre ogni situazione dopo una lite. Dopo aver convocato l'assemblea dei cristiani, gli apostoli esprimono la proposta concreta per superare la crisi: la disgiunzione del servizio alla parola di Dio da quello alle mense. Occorre distinguere i ruoli, articolare meglio la comunità. Gli apostoli invitano i "fratelli" della comunità a ricercare sette (9) uomini, che rinunciano a scegliere personalmente, limitandosi ad indicare le due qualità esigite, "buona reputazione e "pieni di Spirito e di saggezza", richieste a coloro che svolgono una mansione pubblica e direttiva (cf 1Tm 3,7-10).
La prima è la buona reputazione presso la comunità. In greco viene usato il verbo martyrein che significa, usato all'attivo, "rendere una buona testimonianza", e, usato al passivo, "riscuotere buona testimonianza". Nel nostro caso ha il senso passivo. In pratica, si esige dal candidato una condotta degna di lode, imparziale e disinteressata. Chi lo sceglie deve quindi fondarsi su ragioni documentabili.
La seconda caratteristica richiesta è la dote di Spirito e saggezza: "Qui il ruolo dello Spirito costituisce una garanzia e un presupposto. La pienezza delle Spirito è richiesta per coloro che dovranno essere scelti e ribadita nel case specifico di Stefano (cf At 6,3.5). In questo caso il ruolo dello Spirito si avvicina a quello di un indicatore di coloro sui quali l'elezione dovrà ricadere e diventa quindi segno distintivo per l'assunzione di un servizio che poi, almeno nei casi di Stefano e Filippo, si esplicherà come servizio della Parola". (10)
Una sostanziale novità viene dunque a inserirsi all'interno della vita comunitaria: per la prima volta si arriva ad una ripartizione dei compiti. La vocazione a predicare la parola di Dio viene così distinta dall'opera di servire alle mense. Gli apostoli riservano per sé il compito della "preghiera" e della "predicazione della parola".
Solo qui, al v. 4, la preghiera è presentata come specifico impegno dei Dodici. Luca non specifica se si tratti di preghiera personale o comunitaria, privata o pubblica. Egli sottolinea che la perseveranza nella preghiera rende possibile il servizio della parola. Questo servizio non appartiene in esclusiva agli apostoli, perché in seguito sarà esercitato da Stefano, Filippo, Barnaba e da tanti altri. Il loro specifico sta in una testimonianza, unica e irripetibile, che risale al ministero stesso di Gesù e a una missione divina. Nessuno più e meglio di loro è in grado di annunciare quel kerygma che salva, perché è annunciare Gesù stesso (cf 4,12).
La completa dedizione a questi due compiti essenziali spinge gli apostoli a liberarsi da altri impegni che potrebbero risultare di intralcio al perfetto adempimento della loro missione. Ben inteso, non vogliono scegliere la parte migliore o ripartire il lavoro tra direttivo e privilegiato da una parte e esecutivo e umile d'altra. Tali categorie sono aliene dallo spirito del testo, oltre che dalla vocazione apostolica. Essi "certamente stimano moltissimo l'attività caritativa, ma al tempo stesso sono anche coscienti della diversa graduazione dei doveri e conoscono il senso immediato della missione ricevuta dal Signore dopo la risurrezione". (11) Tale missione è chiara fin dall'inizio: "mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra" (1,8). Un loro eventuale maggiore impegno per le mense, li sottrarrebbe all'annuncio della Parola. Non sembra quindi saggio tralasciare un compito di loro specifica spettanza per attendere ad un altro, per quanto nobile e valido esso sia.
Fin qui la valutazione dei fatti e l'abbozzo di un progetto di soluzione. Nulla viene imposto autoritativamente da coloro che sono l'autorità costituita e pacificamente riconosciuta. La proposta avanzata dai Dodici incontra il pieno consenso di tutta la comunità, (12) che compie la sua scelta. Non siamo informati sulla modalità di scelta dei sette. Sappiamo però dall'elenco che i nomi sono tutti di origine greca. Il nome greco potrebbe essere portato anche da una persona non greca. (13) Nell'ipotesi, non impossibile, che le persone scelte siano tutte effettivamente di origine greca, potremmo concludere che, per fare cosa gradita ai giudeo-cristiani di origine ellenistica, la scelta sia caduta su esponenti di questa provenienza, mirando così ad un più facile superamento del disaccordo sorto.
Nell'elenco dei nominativi dei sette designati, solo accanto al primo e all'ultimo nome compaiono alcune precisazioni. Per primo viene nominato Stefano, il quale si distingue per la pienezza "di fede e di Spirito Santo". Egli risponde pienamente ai requisiti richiesti e di lui avremo in seguito un discorso dettagliato e il resoconto della sua morte. Di fatto si potrà constatare la pienezza di Spirito di cui si fa qui menzione. Nicola, l'ultimo dell'elenco, viene indicato come un proselito (14) di Antiochia. Degli altri non viene riportata alcuna informazione complementare, anche se Filippo sarà in seguito nominato (cf 8,26ss).
I neoeletti vengono presentati agli apostoli e insediati nel loro ufficio mediante l'imposizione delle mani accompagnata dalla preghiera. Il testo greco permette più di un'interpretazione a questo riguardo: è stata tutta la comunità ad imporre le mani, oppure solo gli apostoli? Il v. 3 b ("ai quali affideremo quest'incarico") lascerebbe intendere che solo gli apostoli sono attivi. Del resto, l'imposizione delle mani, gesto che riprende un'antica usanza giudaica, è già attestata nell'AT per indicare la trasmissione di determinati poteri (cf Nm 27,18; Dt 34,9).
È la prima forma di struttura ecclesiale, dopo la composizione del gruppo apostolico; è un primo passo verso la distinzione dei ruoli e la collaborazione diversificata. Se lo si vuole, possiamo parlare anche di decentramento del "potere", se intendiamo per potere l'esercizio di un'autorità che promuove il bene comune.
Il testo biblico riserva agli studiosi tanti interrogativi e aspetti oscuri come l'identificazione del preciso ruolo sociale, la partecipazione o meno al sacramento dell'ordine (diaconato), la creazione di una struttura parallela a quella esistente e tanti altri. Non è nostro compito affrontare tali questioni nel presente contesto. A noi è bastato mostrare come un problema ecclesiale è stato accolto, giudicato e risolto.
Una indiretta approvazione del metodo seguito e una conferma del ritrovato equilibrio vengono dal versetto conclusivo: "Intanto la parola di Dio si diffondeva e si moltiplicava grandemente il numero dei discepoli a Gerusalemme" (6,7). Grazie alla designazione dei sette, la crisi interna della comunità è superata. La rimozione dell'ostacolo permette alla prima Chiesa di riprendere il suo progressivo e gioioso cammino di crescita. La nuova organizzazione adottata all'interno della comunità è da subito apportatrice di frutti: la Parola di Dio si diffonde, il numero dei discepoli aumenta considerevolmente e persino un gran numero di sacerdoti (15) diviene credente. Questo versetto sembra esprimere il placet dello Spirito Santo che benedice una comunità che ha trovato la capacità e la forza per affrontare e superare i propri problemi.

Un insegnamento per le nostre comunità ecclesiali

Difficoltà e incomprensione accompagnano e turbano anche le nostre comunità ecclesiali. Il brano insegna che davanti ad un problema che rischiava inquinare i rapporti dei primi cristiani si è adottata una linea di soluzione che, partendo dalla istanza iniziale, dopo una valutazione, è approdata ad una conclusione rispettosa delle persone e dei diversi ruoli. L'unità e la comunione di una comunità non sono incrinate dai problemi o dalle difficoltà, bensì dalla non voglia di guardare in faccia i problemi, oppure dalla egoistica difesa cl: interessi di parte. Là dove affiorano buona volontà, serenità di valutazione capacità decisionale, lo Spirito benedice e fa crescere una comunità che si dimostra accogliente e capace di fantasia.
I cristiani maturi sanno che esistono le difficoltà e davanti ad esse né si scoraggiano né si nascondono, ma le valutano e le affrontano alla ricerca di una equilibrata soluzione. Sanno applicare il criterio valutativo e operativo che Paolo indicava alla giovane chiesa di Tessalonica: "Non spegnete lo Spirito [ ... ], esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono" (l Ts 5,19.21). Così la chiesa è cresciuta e si è scoperta una realtà senza frontiere, ha preso coscienza sé, in modo definitivo, come chiesa in dialogo con il mondo, chiesa per il mondo (cf la prima enciclica di Paolo VI Ecclesiam suam e il documento de Vaticano II Gaudium et Spes). Le difficoltà interne ed esterne, accolte e superate, hanno stimolato questa apertura, hanno dimostrato un forte equilibrio, hanno creato comunione tra autorità e semplici fedeli, hanno promosso la maturazione di tutti. Venti gagliardi di opposizione si abbatteranno, passando dalle minacce o dall'imprigionamento alla persecuzione violenta. Stefano è la prima vittima, ma altresì il primo luminoso esempio che si è forti, della fortezza dello Spirito, anche quando si soccombe morendo. Il vero vincitore è proprio colui che muore per la fedeltà al suo Signore. Considerando lo sviluppo degli eventi, forse viene da ripetere anche in questo caso: felix culpa.

Note

1) B. PAPA, Atti degli Apostoli, I, EDB, Bologna 1981, p. 175.
2) Il termine greco ricorre quattro volte nel NT: Gv 7,12; At 6,1; Fil 2,14; 1 Pt 4,9. Solo nel primo caso mantiene il significato più teologico di mormorazione nel senso di mancanza di fede, come spesso nell'AT (cf Es 16,7.8; Nm 17,5.10), cf K. H. RENGSTORF, GLNT, II, coll. 587-590.
3) "È un principio elementare di sociologia: finché un gruppo è ristretto, è facilmente governabile e l'autorità che vi si esercita può essere di tipo famigliare. Ma quando si allarga e quanto più si allarga, diviene sempre meno governabile in quel modo. Sono necessarie un'organizzazione ed una autorità più forti, proprio per evitare inconvenienti e rivalità tra i vari gruppi che inevitabilmente si formano in una grande massa, pur animata da uno stesso alto ideale e fortemente aggregata intorno ad una autorità carismatica da tutti riconosciuta; nel nostro caso quella dei Dodici", G. SEGALLA, Carisma e istituzione a servizio della carità negli Atti degli Apostoli, Libreria Editrice Gregoriana, Padova 1991, p. 95.
4) B. PAPA, Atti degli Apostoli, cit., p. 180.
5) La Bibbia Piemme, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1995, p. 2598.
6) Cf G. SEGALLA, Carisma e istituzione a servizio della carità negli Atti degli Apostoli, cit p. 97 "La causa potrebbe essere stata anche banale, come la non comprensione della lingua aramaica e la conseguente impossibilità di spiegarsi".
7) L'uso assoluto "i Dodici", frequente nei Vangeli, appare solo qui e in 1 Cor 15,5 nel resto del NT, cf G. SCHNEIDER, Gli Atti degli Apostoli, I, Paideia, Brescia 1985, p. 590.
8) R. FABRIS, Gli Atti degli Apostoli, Borla, Roma 1984, p. 203.
9) Scrive G. SEGALLA, Carisma e istituzione a servizio della carità negli Atti degli Apostoli, cit., p. 98: "Il numero sette per consigli amministrativi era abbastanza diffuso sia in ambiente giudaico che romano. Sette erano i membri del consiglio amministrativo delle comunità giudaiche locali. Sette erano pure i membri degli antichi collegi romani, chiamati "semptemviri", cui incombeva il compito di organizzare le funzioni liturgiche (a Giove) per i giochi popolari".
10) G. BETORI, Lo Spirito e l'annuncio della parola negli Atti degli apostoli, "Rivista Biblica" 35 (1987), p. 425.
11) J. KORZINGER, Atti degli Apostoli, cit., p. 156.
12) La traduzione CEI "tutto il gruppo" potrebbe essere intesa come una delle due parti in causa; il termine greco pléthos indica inequivocabilmente tutta la comunità.
13) Per il fatto che nell'elenco solo Nicola sia detto proselito, qualche autore propende a ritenere tutti gli altri di origine giudaica, cf R. PESCH, Atti degli Apostoli, Cittadella, Assisi 1992, p.299.
14) Precisa A. MISTRORIGO, Guida alfabetica alla Bibbia, voce Proseliti, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1995, p. 485: "Erano i pagani convertiti al giudaismo. Ce n'erano due classi: da un lato stavano coloro che accettavano la circoncisione e la Legge ed erano, perciò, riconosciuti Giudei di nazione e di religione; dall'altro non mancavano i riluttanti al rito della circoncisione, i quali si limitavano ad osservare il monoteismo, il riposo del Sabato, la frequenza alla sinagoga e il contributo al Tempio. Costoro erano assai numerosi e si trovavano sparsi dappertutto. San Paolo nei suoi viaggi ne incontrerà molti e li troverà ben disposti ad accogliere il Vangelo".
15) Difficile interpretare rettamente l'identità di queste persone. I commentatori sono divisi: per R. FABRIS, Gli Atti degli Apostoli, cit., p. 206, sono sacerdoti di rango inferiore, per B. PAPA, Atti degli Apostoli, cit., p. 180, è gente proveniente dagli esseni di Qumran, per G. SCHNEIDER, Gli Atti degli Apostoli, cit., p. 598, sono i sacerdoti del tempio.

(da Parole di vita, n.2, 1998)
Letto 2604 volte Ultima modifica il Mercoledì, 28 Maggio 2008 11:03
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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