Formazione Religiosa

Sabato, 06 Settembre 2008 20:15

L’uomo nuovo nell'epistolario paolino (Ettore Franco)

Vota questo articolo
(1 Vota)

L’uomo nuovo nell'epistolario paolino


 


di Ettore Franco




In un'epoca di transizione molte sono le proposte di cambiamento, ma spesso la delusione succede all'illusione quando le speranze riposte in «novità» risolutrici e decisive rivelano poi la loro fallacia nella contingenza storica e mostrano il limite ineliminabile di ogni progetto umano, sempre inadeguato e mai definitivo.

Per quanto velata di scetticismo, resta profondamente saggia, perché inverata dall'esperienza, l'antica affermazione: «Quel che è stato sarà / Quel che si è fatto si farà ancora / Niente è nuovo di quel che è sotto il sole / Di certe cose si dice - Guarda / Questa mai vista cosa - / E sono cose che già sono state / Nei tempi stati prima di noi» (Qoelet 1, 9-10).In un'epoca di transizione molte sono le proposte di cambiamento, ma spesso la delusione succede all'illusione quando le speranze riposte in «novità» risolutrici e decisive rivelano poi la loro fallacia nella contingenza storica e mostrano il limite ineliminabile di ogni progetto umano, sempre inadeguato e mai definitivo. Per quanto velata di scetticismo, resta profondamente saggia, perché inverata dall'esperienza, l'antica affermazione: «Quel che è stato sarà / Quel che si è fatto si farà ancora / Niente è nuovo di quel che è sotto il sole / Di certe cose si dice - Guarda / Questa mai vista cosa - / E sono cose che già sono state / Nei tempi stati prima di noi» ( 1, 9-10).Le affermazioni paoline sulla «novità» dell'essere dell'uomo, pur in scrivendosi nell'anelito profondo e perenne verso un cambiamento positivo, non si collocano su un piano emotivo o sociologico; non rispondono a un «prurito» per qualcosa di diverso (cf 2 Tm 4,3). Si fondano invece sulla consapevolezza di una trasformazione comunitaria e personale, già avvenuta e insieme tendente a una piena realizzazione, a partire da un evento decisivo, che ha segnato la vita dell'apostolo e di altri con lui, ovvero la «novità», il senso nuovo eppure antico e futuro della vita, della storia e del mondo. In questa prospettiva vogliamo leggere le poche espressioni paoline sull'«uomo nuovo», cercando di puntualizzare quale sia e come sia stata compresa l' esperienza che ha segnato la «novità» della vita di Paolo; come e in quali contesti la sua comprensione di fede sia diventata annuncio ed esortazione a camminare «in novità di vita»; come infine ciascuno di noi sia oggi chiamato a vivere e riproporre lo stesso «annuncio di novità».

 


 


1. Paolo «nuova creatura»



Nella Seconda lettera ai Corinzi Paolo scrive: «Se uno [è] in Cristo, [è] nuova creatura» (2 Cor 5,17). L'espressione dipende dall'affermazione principale, che, con formulazione concisa, presenta l'evento del Cristo per noi e la nostra nuova relazione vitale con lui: «Uno è morto per tutti: dunque tutti sono morti; ed egli per tutti è morto, affinché quelli che vivono, non più per se stessi vivano, ma per colui che per loro è morto ed è risorto» (5,14s). Il senso è poi ripreso ed esplicitato nell'affermazione finale: «Colui che non aveva conosciuto peccato, per noi peccato [Dio] lo rese, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui» (5,21). In una sola parola l'evento Cristo è «riconciliazione» (5,19s), passaggio dalla schiavitù del peccato e della morte, cioè dalla non-relazione con Dio, alla libertà dei figli, cioè alla relazione con Dio. In Cristo morto e risorto si è manifestata la giustizia di Dio che, chiamando alla comunione col Figlio (cf 1 Cor 1,9), fa diventare ciascuno quello che deve essere in relazione a Dio e agli altri, già ora in questo mondo e per sempre alla fine.


Firmando la lettera ai Galati, Paolo, riprende concisamente l'argomento centrale del dibattito: «Quanto a me non sia mai che mi vanti se non nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, attraverso il quale per me il mondo è stato crocifisso e io per il mondo. Né la circoncisione infatti vale qualcosa, né l'incirconcisione, ma [l'essere] nuova creatura (o creazione)» (Gal 6,14s). In termini personali Paolo pone al centro della sua esistenza, come segno discriminante tempo e spazio, la croce di Cristo. Prima di questo evento il mondo è diviso tra circoncisi e incirconcisi, dopo non più. Coloro che pretendono fermarsi al «prima» e imporre il segno esteriore della circoncisione sono schiavi della legge, del peccato e della morte, e vanificano così la croce di Cristo, perché cercano di riportare sotto la schiavitù dalla quale Cristo ci ha liberati (cf GaI 5,1). Questo «mondo di prima» non esiste più per Paolo e Paolo non esiste più per questo mondo. Nella croce di Cristo ogni cristiano è diventato «creatura nuova»: «lo infatti attraverso la legge alla legge sono morto affinché per Dio viva. Con Cristo sono stato insieme crocifisso: vivo ma non più io, vive in me Cristo. La vita che ora continuo a vivere nella carne, la vivo nella fede, quella nel Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,19s).


Il tema della «nuova creazione» - già presente nell'AT («il Signore crea una realtà nuova [bara' lhwh hadashâ ]», Ger 31,22; cf ls 43,18s; 65,17) e ripreso negli scritti rabbinici per designare sia il proselita che entra a far parte della comunità d'Israele, sia l'israelita rinnovato dal perdono nella festa di capodanno - acquista per il fariseo Paolo una portata unica che illumina la comprensione della sua vita intera a partire dall'incontro con Cristo. Il passato con tutti i suoi titoli di vanto (FiI 3,5s; cf Gal 1,13s) è diventato senza valore, perdita e spazzatura (FiI 3, 7s); il presente è trasfigurato dall'intima relazione personale con il Cristo crocifisso e risorto (FiI 3, 7-11; cf Gal 1,15s), che attraverso il suo Spirito vivificante (cf 1 Cor 15,45) ha reso Paolo «figlio» col Figlio (cf Gal 4,4-6; Rm 8,15-17), «servo» libero col Servo liberatore (1 Cor 9,1.19; cf 2 Cor 4,5; Gal 1,10; Rm 1,1), «nuova creatura» (2 Cor 5,17; Gal 6,15) e «apostolo dei pagani» (Rm 11,13; cf 1,5; Gal 2,8); il futuro orienta e anima tutta la sua esistenza come corsa e lotta (cf Gal 2,2; FiI 2,16; 3,12), come quotidiano con-morire con Cristo (2 Cor 4,10s; cf FiI 3,10) per essere degno della definitiva conformazione a lui (Fil 3,21; cf Rm 8,29).


Avendo sperimentato la trasformazione radicale che l'incontro con Cristo e la conseguente intima relazione vitale con Lui hanno operato nella sua persona, Paolo può dire di se con piena consapevolezza: «Siate miei imitatori come io lo sono di Cristo» (1 Cor 11,1; cf 4,16; Fil 3,17). Si presenta dunque come un esempio vivente di quella «nuova creatura» che tutti sono chiamati ad essere e a vivere già ora, per diventarlo poi in pienezza alla fine.


 


2. Cristo e l'uomo nuovo


 


Ciò che è avvenuto in Paolo sulla via di Damasco (cf At 9,3-18) avviene in ogni credente attraverso l'adesione di fede e il battesimo.


In Rm 6,1-11 non c'è l'espressione «uomo nuovo», ma una equivalente («camminare in novità di vita» en kainóteti zoês peripateîn , 6,4) e il suo opposto («il nostro uomo vecchio» ho palaiòs hëmon ánthropos , 6,6). Accomunandosi ai destinatari, Paolo dice: «Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato» (6,6). Nell'affermazione traspare l'esperienza di un'esistenza inautentica, quella di Paolo e di ogni cristiano prima dell'incontro con Cristo.


L'uomo vecchio è il giudeo reso schiavo dalle pretese della legge (cf Rm 7,75), il pagano schiavo di questo mondo (cf Rm 1,225), l'uomo in genere soggetto alle insidie della «carne» (cf Rm 8,75), sottomesso alla potenza del «peccato» e alla conseguente inevitabilità della «morte» ( cf Rm 5,12). Questo «uomo vecchio» è stato «crocifisso con Cristo» quando, attraverso il rito del battesimo, è stato associato all'evento unico della morte e risurrezione del Cristo: «O ignorate che quanti fummo battezzati in relazione a Cristo Gesù fummo battezzati in relazione alla sua morte? Fummo dunque sepolti con lui attraverso il battesimo in relazione alla sua morte, in modo che, come risuscitò Cristo dai morti in forza della gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita. Se infatti diventammo e rimaniamo dinamicamente uniti a lui in forza dell'espressione percettibile della sua morte, ma allora lo saremo anche della sua risurrezione» (Rm 6,3-5). Sulla croce, attraverso il battesimo, l'uomo vecchio, schiavo del peccato, è crocifisso, morto e sepolto con Cristo e, nella risurrezione di Cristo, grazie alla comunione interpersonale, ricevuta e accolta nell'adesione di fede, il cristiano è già partecipe della vita nuova, anche se lo sarà pienamente con la risurrezione corporea. Ecco l'uomo nuovo, che, partecipe della vita del Risorto, è «morto al peccato e vivente per Dio in Cristo Gesù» (Rm 6, 11).


Concludendo il paragone con la donna che alla morte del marito è libera di passare a un altro legame (Rm 7,2s), Paolo afferma che i cristiani, morti a ciò che li teneva legati, appartengono a un altro, cioè a colui che fu risuscitato dai morti (7,4), e con lui sono servi liberi « nella novità dello Spirito e non nel vecchiume della legge» (en kainótēti pneúmatos kaì ou palaióteti grámmatos , 7,6). Il passaggio è reale per quanto misterioso: la novità dello Spirito, comunicata una volta per sempre nel Crocifisso-Risorto e partecipata attraverso il battesimo e l'adesione di fede, trasforma i peccatori in giusti e santi, i nemici e lontani in familiari di Dio come figli e figlie nel Figlio, l'umanità egoista e dispersa nel corpo di Cristo e nella nuova creazione di Dio.


La trasformazione, avvenuta una volta per sempre sulla croce e applicata al cristiano in forza dell'adesione di fede e del battesimo, è così espressa in GaI 3,26s: «Tutti infatti siete figli di Dio per mezzo della fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in relazione a Cristo, vi siete rivestiti di Cristo». La fede, come adesione personale al Cristo morto e risorto, e il battesimo, come partecipazione sacramentale all'evento unico della morte e risurrezione del Cristo, comunicano il dono della figliolanza, cioè stabiliscono il credente nella nuova relazione filiale col Padre nel Figlio attraverso lo Spirito (cf GaI 4,4- 7; Rm 8,14-17). Non si tratta solo di un passaggio di proprietà/appartenenza dal potere della legge, del peccato e della morte alla potenza della fede, della giustizia e della grazia, ma di una trasformazione dell'essere. L'essere «nuova creatura» è espresso qui con «rivestirsi di Cristo». L'espressione è all'indicativo, non all'imperativo; non implica cioè l'esortazione a un rivestimento esterno e superficiale come imitare o riprodurre gli atteggiamenti o i sentimenti di Cristo, ma l'accoglienza dell'atto gratuito di Dio che comunica in Cristo il nuovo principio vitale di tutta l'esistenza, il punto di riferimento unico che trasforma tutta la vita.


Rivestirsi di Cristo è essere ri-creati in Cristo, essere figli nel Figlio unico, essere già ora incorporati al Risorto. Ed è proprio la relazione vitale col Risorto che fonda l'unità dei credenti e qualifica l'umanità nuova, nella quale le differenze - sul piano religioso tra Giudei e Greci, sul piano civile tra schiavi e liberi e sul piano sessuale tra maschio e femmina - vengono semplicemente negate: «Non c'è Giudeo ne Greco, non c'è schiavo né libero, non c'e maschio e femmina: tutti voi infatti siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,38). Tutti i battezzati, incorporati a Cristo in forza dell'adesione di fede in Lui, formano quindi un solo «uomo nuovo» in Cristo (cf Ef 2,15), l'umanità nuova inseparabile dal Risorto.


La lettera agli Efesini così ricapitola e sviluppa in una mirabile sintesi teologica l'evento che rivela la «creazione dell'uomo nuovo» (Ef 2,14-18):


 


« Proprio lui infatti è la nostra pace;


egli che ha fatto dei due uno, abbattendo il muro di separazione, l'inimicizia, nella sua carne, abolendo la legge dei precetti [espressi] in prescrizioni, per creare entrambi in se stesso in relazione a un solo uomo nuovo, facendo pace, e per riconciliare con Dio ambedue in un solo corpo attraverso la croce, uccidendo in se stesso l'inimicizia.


Egli venendo annunciò pace a voi i lontani e pace ai vicini, poiché attraverso di lui e gli uni e gli altri possiamo avere accesso in un solo Spirito presso il Padre».


 


Il contesto richiama la divisione religiosa esistente prima di Cristo tra giudei e pagani (Ef 2,11s); «ora, in Cristo» (nynì dè en Christôi , 2,13) ogni divisione è superata in una «comunione nuova» che non mortifica nessuno, ma valorizza tutti. Non si tratta di giudaizzare i pagani odi paganizzare i giudei, ma di «creare» un nuovo modo di essere, una umanità nuova, al di là di ogni diversità. Questa è l'opera di Cristo, qualificata non solo negativamente («abbattere», «abolire», «uccidere»), ma molto più positivamente («fare uno», «creare», «riconciliare», «fare/annunciare pace», «diventare via d'accesso», «essere pace») .Questo è il «mistero» di Dio che si attua in Cristo e mediante Cristo. li, C'è chi riferisce « uomo nuovo » a Cristo, nuovo Adamo, capo dell'umanità nuova; ma ritengo che non si debba ridurre la pregnanza dell'espressione. Sottolineando il senso dinamico della preposizione eis «in relazione a», sembra emergere un significato più profondo. Certo, Cristo è l'uomo nuovo, perché egli ri-crea «in se stesso» coloro che rende partecipi della sua vita di Risorto; ma i riconciliati nel suo corpo dato sulla croce, pur diventando il suo corpo ecclesiale, non si confondono con lui e tra di loro, anzi, proprio per la nuova relazione ricevuta, ciascuno diventa sempre più se stesso a partire dall'unità già donata e ancora da realizzare. L'intima profonda e vitale comunione, partecipata dal Crocifisso-Risorto a chiunque aderisce a lui nella fede, è il segno distintivo della «umanità nuova» già presente storicamente nella comunità del Risorto, ma è destinata ad abbracciare e rinnovare il mondo intero in Cristo. L'uomo nuovo non è solo Cristo e non sono solo i suoi, ma Cristo con i suoi, anzi Cristo tutto in tutti (cf Col 3, 11), attraverso lo Spirito, in relazione con l'unico Padre.


 


3. La nuova esistenza nel Signore


 


Tra l'essere già «nuova creatura» e il diventarlo completamente e definitivamente, c'è tutta la responsabilità personale e comunitaria dell'esistenza in questo mondo. Il dono di Dio, comunicato una volta per sempre nèll'evento della croce e partecipato a ciascuno attraverso l'adesione di fede e il battesimo, esige l'impegno a vivere nella libertà dei figli e nella fedeltà al dono ricevuto. L 'indicativo dell'agire salvifico di Dio per noi fonda l'imperativo della nostra risposta coinvolgente, della nostra partecipazione all'unica opera del Cristo, alla realizzazione dell'umanità nuova. Perciò l' Apostolo esorta: «Non conformatevi alla mentalità di questo mondo, ma trasformatevi nella novità (têi anakainōsei ) della mente, per poter discernere qual è la volontà di Dio» (Rm 12,2).


La «novità della mente» implica la «nuova mentalità» del cristiano in forza della sua relazione interpersonale con Cristo: «Noi abbiamo la mente di Cristo» (1 Cor 2,16). La conformazione alla «mentalità» di Cristo continua a operare il rinnovamento dell'esistenza cristiana in questo mondo, sotto la guida dello Spirito. Nella lettera ai Galati così si conclude l'esortazione a «camminare secondo lo Spirito» (Gal 5,16): «Coloro che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Se viviamo secondo lo Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (GaI 5,24s).


Il cammino nello Spirito segna la nuova esistenza in Cristo. Pur rimanendo esposto all'ambiguità di questo mondo e alla precarietà di un'esistenza sempre minacciata dalla debolezza individuale e sociale delle persone e delle strutture, il cristiano, già «nuova creatura» e già «ri-creato in Cristo», deve lasciarsi conformare sempre più dallo Spirito a immagine di Colui che è e deve essere «primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29; cf 12,2; 2 Cor 3,18; GaI 4,19; FiI 3,10.21), vivendo le relazioni autentiche proprie dell'«uomo nuovo».


È quanto emerge in tutte le esortazioni, ma particolarmente in quelle della lettera ai Colossesi, dove troviamo l'espressione «svestirsi dell'uomo vecchio per rivestirsi del nuovo» (CoI 3,9s).


Per la nuova relazione vitale con Cristo, il crocifisso Risorto, lo sguardo del credente è rivolto alla nuova dimensione, al senso nuovo che la realtà acquista dall'alto, cioè dal modo con cui Dio vede e provvede a partire dalla risurrezione. La vita dei cristiani partecipa già di questa realtà nuova (3,1.2), ma è ancora «nascosta con Cristo in Dio» (3,3). Sarà manifestata visibilmente alla fine, «quando si manifesterà Cristo, la vita nostra» (3,4). Nel frattempo spetta ai cristiani far vedere nella contingenza storica la novità di vita di cui sono già partecipi. Perciò le esortazioni negative «fate morire... deponete... non mentitevi» (3,5.8.9), con due cataloghi di vizi della condotta di una volta (3,5.8), e la serie di quelle positive introdotte da «rivestitevi» (3,12-17), con il catalogo delle virtù, orientate e animate dal vertice dell'«amore, che è il vincolo della perfezione/compimento» (3,14).


Il passaggio dalle relazioni negative a quelle positive è fondato sulla trasformazione già avvenuta e tendente al suo pieno compimento: «vi siete svestiti dell'uomo vecchio con le sue azioni evi siete rivestiti del nuovo, quello che si rinnova in rapporto alla conoscenza secondo l'immagine di colui che lo ha creato» (3,9s). La trasformazione già donata implica l'impegno di un passaggio quotidiano dal vecchio al nuovo e una crescita continua nella conoscenza che conforma all'immagine del Cristo e attraverso Cristo all'immagine di Dio.


Come ha scritto R. Schnackenburg, l'uomo nuovo è l'uomo intimamente chiamato alla comunità, l'uomo che esercita e irradia l'amore comunicativo di Dio, che si pone a disposizione anche della «edificazione della società umana» non soltanto in un significato esteriore, ma edificando e consolidando dall'interno i gruppi umani e le strutture sociali. Egli non può abbandonarsi, a causa di una responsabilità morale, a nessun egoismo, a nessuna particolaristica tendenza al potere, a nessun desiderio di un proprio arricchimento a danno degli altri; in breve, egli è I 'uomo sociale che, tuttavia, non perde mai di vista la sua dignità personale».


Volendo formulare in annuncio per l'uomo d'oggi il messaggio di Paolo, possiamo dire con le parole di un altro grande teologo: «Come a nessuno è permesso di sfuggire all'umanità, per rivendicare un destino speciale, così anche tutta I 'umanità deve morire in ogni suo membro per vivere - trasformata - in Dio. Questo è l'inizio e la fine dell'annuncio cristiano. Questa è la legge che è stata data all'umanità in ciascun singolo uomo, poiché ciascuno è responsabile per tutti e porta, secondo la sua parte, il destino di tutti».

Letto 2956 volte Ultima modifica il Giovedì, 03 Settembre 2009 18:27
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search