Formazione Religiosa

Martedì, 21 Ottobre 2008 01:31

La Chiesa, sposa di Cristo (Pierre Grelot)

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La Chiesa, sposa di Cristo

di Pierre Grelot

 

 

Gli uomini, istintivamente, hanno sempre visto nel matrimonio qualche cosa di sacro. Il mutuo amore degli sposi, la trasmissione della vita, hanno origine da un ordine misterioso al quale Dio è intimamente legato. Già la rivelazione biblica, eliminando gli errori dei paganesimi antichi, ne indicava la ragione al popolo d’Israele. Creando l’umanità a sua immagine, Dio l’ha fatta uomo e donna e le ha concesso il dono della fecondità (Gen. 1, 27-28). Dio ha dato la donna all’uomo come un aiuto simile a lui; e questo è il motivo per cui, abbandonando la famiglia in cui è nato, l’uomo si unisce alla sua donna e in due diventano una sola carne (Gen. 2, 18-24). Di conseguenza, già sul piano della natura il matrimonio è sacro, perché costituisce una vocazione provvidenziale per l’uomo e la donna che lo realizzano. Ma sarebbe troppo poco fermarsi a questo. La rivelazione biblica ha pure trovato nel matrimonio uno dei principali simboli che ci permettono di capire l’amore di Dio verso di noi. Questo simbolo, fin dall’Antico Testamento, ha occupato un posto importante nel messaggio dei profeti. Nel Nuovo Testamento, esso serve ad esprimere la reciproca posizione tra Cristo e la Chiesa.

 

L’amore di Dio per Israele

Con il patto d’alleanza stabilito sul Sinai, Jahvè ha fatto di Israele il suo popolo. Da questo fatto fondamentale si sviluppa tutta la rivelazione dell’Antico Testamento. All’inizio, questo patto ha un’impronta giuridica: liberamente, Dio s’impegna con il suo popolo mediante una promessa; di riscontro, Israele si impegna con Dio mediante giuramento e accetta le clausole dell’Alleanza, cioè la Legge di Dio. I testi più antichi del Vecchio Testamento non si staccano da questa prospettiva che, alla sua maniera, manifesta già la benevolenza e l’amore di Dio verso gli uomini.

Ma nell’VIII secolo, il profeta Osea procede oltre: egli accosta il patto di alleanza che lega Israele a Jahvè al patto matrimoniale che lega una donna al suo sposo. Non ci dobbiamo immaginare una specie di effusione di pietà sentimentale. Il simbolo non ha nulla d’idillico, perché ha per scopo principale di mettere in evidenza l’infedeltà di Israele e di sottolinearne l’orrore. Osea, per ordine di Dio, ha sposato una donna di prostituzione, che gli ha dato figli di prostituzione (Os. 1). Attraverso questa esperienza umana, si intravede il dramma d’Israele. Sul Sinai, Jahvè ha sposato Israele, ora Israele è un popolo peccatore, una sposa adultera che gli ha dato figli di prostituzione.., Quindi il peccato d’Israele non è solo mancanza alla Legge, una trasgressione della parola data, ma una mancanza all’Amore, paragonabile alla violazione della fedeltà coniugale. Dio non è soltanto un sovrano abbandonato dai suoi vassalli, ma è uno Sposo tradito dalla sua sposa. Che cosa dunque farà egli al suo popolo? Lo tratterà come il diritto prevede vengano trattate le donne adultere: lo ripudierà e lo abbandonerà alla sua triste sorte (Os. 2, 4-15). Tutto qui, e la storia a questo punto si fermerà? Niente affatto, perché nella disgrazia Israele prenderà coscienza della sua condizione di peccatore: Allora dirà: andrò e ritornerò al mio marito di prima, perché mi trovavo meglio allora che adesso (2, 9). E Jahvè riprenderà la sua sposa pentita. Egli l’amerà di nuovo, la unirà a sé con nuove nozze:

Allora ti farò mia sposa per sempre;

ti farò mia sposa nella giustizia e nel giudizio,

nell’amore e nella compassione;

ti farò mia sposa fedele,

e tu riconoscerai Jahvè (2, 21-22).

Qui si esce dalle prospettive ordinarie della psicologia umana. Che uno sposo ingannato si vendichi, si capisce. Ma che perdoni? Ma che riprenda con sé l’infedele, che l’ami come prima, anzi meglio di prima (se così si può dire) poiché, questa volta, le nozze saranno al riparo da cadute? E’ in questo modo che Dio vuole comportarsi nei riguardi del suo popolo peccatore. Per rivelare l’amore di Dio verso i peccatori che egli chiama alla penitenza, Cristo racconterà la parabola del Figlio prodigo. Osea, partendo dalla sua esperienza coniugale, ha raccontato la storia della sposa adultera e perdonata. Da quale parte si trova il simbolo più sconvolgente e paradossale? E’ vero che annunciando queste nozze future, Osea superava i limiti dell’Antico Testamento. Ciò che egli prometteva era una nuova alleanza, più perfetta di quella del Sinai, in cui Dio avrebbe donato agli uomini, come una grazia, la fedeltà che attende da loro. Come meravigliarsi allora che il profeta, nel suo entusiasmo, descriva questa alleanza come un ritorno al paradiso perduto (Os. 2, 20, 23-24)? Non è questo l’indizio che la storia d’amore nella quale Dio si comporta come uno Sposo era incominciata ben prima del patto sinaitico? Nel momento in cui egli mise l’uomo sulla terra, stabilì di sposare la nostra razza. La razza intera ha sbagliato; l’umanità peccatrice si è abbandonata al vizio: ne facciamo tutti l’esperienza. Che importa? Questa razza di peccatori, Dio l’ama; e di essa vuol fare la sua sposa fedele. Questo è il significato del suo piano di redenzione.

Dopo Osea, il simbolo del matrimonio diviene un luogo comune della predicazione profetica, In Geremia esso serve essenzialmente a denunciare l’infedeltà d’Israele e ad annunciare il suo castigo (Ger. 2,2; 2, 19.20; 3, 1.10; 3, 20); anche a pungolarlo perché si converta, perché Dio è misericordioso (3, 11-13). In Ezechiele, le due immagini del figlio prodigo e della sposa adultera si mescolano in una allegoria vendicatrice che annunzia la prossima rovina di Gerusalemme (Ez. 16, 1-58; cfr. 23). I due profeti parlano della nuova alleanza, ma non utilizzano questo simbolo per descriverne anticipatamente gli effetti.

A cominciare dalla cattività di Babilonia, quando il popolo ebreo comprende alla luce della prova la gravità delle sue infedeltà passate, il simbolo ritorna sotto la penna dei profeti per evocare ciò che ora costituisce la speranza di Israele. Questa speranza è la futura redenzione, scopo di tutto il piano di Dio. Per metterla meglio in risalto si sviluppa l’immagine nuziale già utilizzata per stigmatizzare l’infedeltà di Gerusalemme e dei suoi figli. Ma non sarà più la Gerusalemme di prima quella che Jahvè farà sua sposa. Sarà una nuova Gerusalemme purificata e santificata, finalmente fedele alla vocazione soprannaturale che le viene rivelata nel patto di alleanza. La personificazione femminile della Città santa serve in questo al disegno dei profeti, perché permette loro di sovrapporre strettamente i diversi simboli che definiscono i rapporti tra Dio e il suo popolo nella alleanza futura: Jahvè è lo Sposo, Gerusalemme la Sposa:

Poiché tuo sposo è il tuo Creatore,

«Jahvè degli eserciti» è il suo nome; tuo redentore è il Santo d’Israele,

è chiamato Dio di tutta la terra ...

Per un breve istante ti ho abbandonato,

ma ti riprenderò con immenso amore.

Nell’eccesso della collera ho nascosto

per un poco la mia faccia da te;

ma con eterno affetto ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, Jahvè (Is. 54, 5-8).

La storia d’amore riprenderà quindi nella nuova alleanza. Creando questa nuova Gerusalemme che farà sua sposa, Dio le donerà stavolta per grazia ciò che invano aveva atteso dall’antica Gerusalemme, membro dell’umanità peccatrice allo stesso titolo di tutti i popoli della terra. Egli la fonderà sulla giustizia e renderà i suoi figli docili al suo Spirito (Is. 54, 13-14). Le darà per figli non solo i discendenti degli Israeliti, ma anche quelli delle nazioni straniere (Is. 54, 1-3): una umanità nuova risorgerà sotto la sua egida. Per sempre egli le darà assistenza e protezione (Is. 54, 11-17).

Qual è questa nuova Gerusalemme in cui Dio troverà la sua gioia, come un giovane che sposa una vergine (Is. 64, 4-5)? E’ la comunità redenta alla quale Cristo, un giorno, prometterà la vita eterna. Il profeta, anticipatamente, la evoca nella letizia delle sue nozze divine:

Io gioirò moltissimo in Jahvè,

la mia anima esulterà nel mio Dio;

perché mi ha rivestito di vesti di salvezza,

mi ha ricoperto con il manto della giustizia, come uno sposo che si cinge il diadema

e come una sposa che si adorna dei suoi gioielli (Is. 61, 10).

Nella prospettiva aperta da questa visione profetica, comprendiamo perché i redattori ispirati del Cantico dei cantici abbiano applicato i poemi d’amore, che essi raccoglievano, all’Amore che è il modello di tutti gli amori umani: quello di Dio per il suo popolo. Perché di questo popolo di peccatori, l’amore redentore di Dio vuol fare una nuova umanità, trasformata dalla grazia. Questo sarà il mistero della Chiesa.

L’amore di Cristo per la Chiesa

L’immagine delle nozze non è assente dai Vangeli, ma non vi passa che occasionalmente, sia nelle parabole del Regno (Mt, 22, 2; 25, 1-13), sia in qualche sentenza in cui Gesù è senza dubbio designato come lo Sposo (Mt, 9, 15; Gv. 3, 29). Essa è soprattutto ripresa nella riflessione degli apostoli sul mistero di Cristo-Salvatore, per mostrare nella nuova alleanza la meravigliosa rivelazione dell’amore di Dio. Cristo ha suggellato questa alleanza versando il suo sangue per gli uomini (Mt. 26, 28). Insieme egli ha ottenuto da Dio la remissione dei loro peccati ed ha fondato nella sua persona una nuova umanità di cui egli è il capo, come il primo Adamo fu il capo dell’umanità peccatrice (Rom. 5, 12-19), Le promesse dei profeti si sono così adempiute, nella carne stessa di Cristo, della quale la umanità redenta è come il prolungamento vivente.

Meditando su questa realtà profonda alla quale si può accedere solo con la fede, san Paolo vi vede la realizzazione delle nozze escatologiche annunciate dall’Antico Testamento, ed è questa la ragione per cui vi scopre un modello per ogni amore coniugale:

Mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la sua Chiesa: egli ha dato se stesso per lei; per santificarla purificandola col lavacro dell’acqua unito alla parola, volendo presentarla a se stesso, questa Chiesa, tutta splendente, che non avesse macchia o ruga o altra cosa del genere, ma fosse santa e senza alcun difetto. Così debbono anche i mariti amare le proprie mogli come i loro stessi corpi. Chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno, certo, odiò mai la propria carne; al contrario, ognuno la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa; giacché noi siamo membra del suo corpo.

Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla propria moglie, e saranno i due una carne sola. Questo mistero è grande: io lo dico in rapporto a Cristo e alla Chiesa (Ef. 5, 25-32).

Così, dunque, nella carne di Gesù Cristo si è consumato lo sposalizio tra Dio e l’umanità. Prendendo una natura umana, il Figlio di Dio l’ha per ciò stesso santificata e unita strettamente alla sua persona divina. Anzi, egli ha contemporaneamente deposto nella nostra razza il germe di una realtà che deve espandersi socialmente: la Chiesa santa e immacolata, che è la sua Sposa e il suo Corpo. Quando Dio, alle origini, chiamava all’esistenza la coppia umana, come una comunità di persone chiamate ad amarsi e a far sbocciare nuove vite, egli la creava anticipatamente ad immagine di questo mistero. Ecco perché il matrimonio è una cosa sacra. E’ vero che, assieme a tutte le cose umane, il peccato l’ha ferito e profanato. Ma con la sua redenzione, Cristo lo restaura nella sua primitiva dignità. E se è vero che l’amore fecondo e fedele resta una cosa fragile, ormai la grazia Io santificherà; perché essendo il simbolo del mistero di Cristo e della Chiesa, il matrimonio è ora un sacramento.

 Fermiamoci un momento a questa immagine della Chiesa-Sposa. Essa ci permette di penetrare nell’intimo della realtà soprannaturale alla quale apparteniamo con il battesimo. Al di là degli aspetti umani che talvolta possono sembrare scoraggianti (perché la Chiesa è affidata a uomini peccatori), essa c’invita a cogliere una santità permanente la cui sorgente è Gesù Cristo stesso. Ciascuno di noi, con il battesimo, è introdotto in questo mistero di santità. Ciascuno di noi, di fronte al Cristo-Sposo, partecipa al mistero nuziale della Chiesa. Come diceva san Paolo ai Corinti: Io vi ho fidanzati ad un solo sposo, per presentarvi a Cristo quale vergine pura (2 Cor. 11, 2). Questa è la nostra situazione; questa è pure l’esigenza di fedeltà che ormai ci verrà continuamente ricordata. Perché i nostri cuori divisi tra l’attrattiva della carne e quella dello Spirito Santo oscilleranno sempre tra due atteggiamenti: quello della nostra prima madre, sedotta dal serpente infernale, e quello della nostra Madre la Chiesa, sottomessa a Cristo, come una buona sposa lo è al suo sposo.

I profeti, in passato, legavano strettamente il tema delle nozze escatologiche a quello della nuova Gerusalemme. Noi sappiamo ora chi è questa nuova Gerusalemme: è la Chiesa stessa. Infatti, le promesse profetiche le assicuravano una fecondità innumerevole. La Chiesa, questa Gerusalemme celeste, santa e immacolata, possiede attualmente questa fecondità soprannaturale promessa nella Scrittura; perciò la possiamo chiamare nostra Madre (Gai. 4, 26-27). Essa è quella Donna contro la quale Satana l’antico serpente, non può nulla (Apoc. 12, 13-16). Qui raggiungiamo le immagini dell’Apocalisse. Il simbolo della nuova Gerusalemme - cioè la Chiesa nella sua perfezione trascendente - vi è effettivamente ripreso in una prospettiva nuziale che non ci meraviglierà. Alla fine della sua profezia, per dipingere il trionfo finale di Cristo al di là del tempo, il veggente scrive:

E vidi un cielo nuovo e una terra nuova.

Infatti il primo cielo e la prima terra passarono, e il mare non era più.

E vidi la città santa, Gerusalemme nuova,

che scendeva dal cielo, da presso Dio,

preparata come una sposa che è ornata per il marito.

E udii una voce grande proveniente dal trono che diceva:

Ecco la dimora di Dio con gli uomini;

e dimorerà con essi, ed essi saranno i suoi popoli, e Dio stesso sarà con essi,

e tergerà ogni lacrima dai loro occhi,

e la morte non sarà più,

né lutto né grido né dolore saranno più;

ché le cose di prima passarono) (Apoc. 21, 1-4).

Qual è dunque lo Sposo al quale è destinata questa fidanzata meravigliosa? Un altro passo lo precisa: Rallegriamoci ed esultiamo, e diamogli la gloria, ché son giunte le nozze dell’agnello, e la moglie sua si è preparata (Apoc. 19, 7). Lo Sposo è dunque Cristo, questo Agnello immolato sulla Croce in sacrificio di redenzione. Riprendendo il tema di una parabola evangelica, il veggente può concludere: Beati i chiamati al banchetto delle nozze dell’agnello! (Apoc. 19, 9). Costoro sono tutti gli uomini che non si sono volontariamente resi sordi all’invito divino. Siamo noi, i figli della nuova Gerusalemme, chiamati a partecipare al mistero delle sue nozze. Il cielo non sarà altro che questa partecipazione. Fin d’ora, quaggiù, la stessa vita cristiana non è altra cosa.

Ve ne sono che vivranno questo mistero nello stato matrimoniale, santificato dal sacramento dell’amore umano. Ve ne sono altri ai quali Cristo farà intendere un altro appello, i quali, per una grazia dello Spirito Santo, consacreranno al Cristo-Sposo tutte le facoltà del loro essere, compresa la loro affettività umana che dovrà espandersi esclusivamente in carità. Costoro vivranno con maggiore pienezza il mistero nuziale di Cristo e della Chiesa. Ad ogni modo, gli uni e gli altri troveranno davanti a loro un’esigenza di fedeltà, a cui non potranno far fronte se non con la grazia. In tal modo si edificherà la nuova Gerusalemme, si accrescerà il Corpo di Cristo, la Chiesa sua Sposa moltiplicherà la sua posterità.

Al termine della rivelazione, i grandi simboli elaborati dal linguaggio biblico per evocare il popolo di Dio si sovrappongono così per illuminare la nostra vita cristiana. A questa luce, noi possiamo scoprire il mistero della Chiesa già nei vecchi testi dell’Antico Testamento, in Osea e nel deutero-lsaia. Ma nel ritrovarli, faremo attenzione a non dimenticare lo sfondo sul quale si spiega il simbolo delle nozze: riscattando la sua sposa infedele e adultera Jahvè ha potuto farne questa Sposa immacolata che è la santa Chiesa; Dio ha amato i membri peccatori di una razza decaduta fino a offrire suo Figlio per essi, al fine di trasferirli nella nuova umanità e di farne i figli della Chiesa. La rivelazione sconvolgente del profeta Osea trova così il suo compimento nel mistero di Cristo.

 

Letto 5079 volte Ultima modifica il Sabato, 01 Novembre 2008 18:13
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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