Formazione Religiosa

Giovedì, 19 Agosto 2004 21:00

Tra illusione e impegno (Enrico Chiavacci)

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Occorre saper uscire da una mentalità ecclesiastica tradizionale per affrontare seriamente il dramma omologante e disumanizzante della odierna comunicazione di massa.

IL MESSAGGIO: UN VERO MANIFESTO MORALE

Il Messaggio del Papa del 24 gennaio 2003 per la Giornata delle comunicazioni sociali appare, in prima lettura, un nobile appello agli operatori della comunicazione sociale. Ma a me sembra in realtà un terribile atto di accusa nei confronti di tutto il sistema della comunicazione di massa, e al tempo stesso una chiamata alle armi (pacifiche) per tutti gli operatori cristiani, e per tutti gli uomini di buona volontà (si noti l'esplicito richiamo alla Pacem in terris), che in qualunque modo siano in tale sistema coinvolti. La durezza del testo appare chiara a una lettura non superficiale (meglio se del testo originale in inglese: L'Osservatore Romano 25.1.03): è un vero manifesto di morale, ben più grave e urgente di tanti documenti vaticani sulle più svariate questioni che in questi ultimi anni si sono moltiplicati. Si consideri solo un breve passaggio: "Reporters e commentatori in particolare hanno un grave dovere di seguire le esigenze (demands) della loro coscienza morale e di resistere alle pressioni di adattare (adapt: accomodare) la verità per soddisfare le esigenze del potere della ricchezza o del potere politico" (n. 5).

MORALE E MASS MEDIA: LE RAGIONI DI UN RAPPORTO QUASI IMPOSSIBILE

Si tratta dunque di uno scontro drammatico. Il dramma trova la sua radice in questo: oggi la produzione e il controllo dei media è quasi totalmente nelle mani di concentrazioni di capitali enormi, ma d'altra parte necessarie per assicurare una comunicazione veramente di massa che possa raggiungere veramente tutti in tutto il mondo o in grandi aree di esso. Ottenere verità, giustizia, amore, libertà, in questo quadro sembra - almeno a prima vista - impossibile. E ciò per una serie di ragioni che devono essere brevemente esaminate. Vi è una ragione preliminare e ineliminabile, perché connessa con la natura umana dell'operatore. Non esiste un modo univoco, oggettivo, di descrivere con immagini o con parole una realtà percepita da un essere umano. Ogni operatore ha una sua biografia irripetibile, che tende sempre a dare colore e significato a qualsiasi realtà (oggettiva) comunque percepita. Al massimo si potrà dare una data, un'ora, un nome o qualcosa di simile. (Per questo non esistono libri di storia oggettivi o imparziali, come pretenderebbero alcuni nostri attuali governanti). Si narra che J. F. Kennedy agli inizi degli anni '60 inviò in Vietnam e zone limitrofe alcuni osservatori per cercare di comprendere la complessa situazione indocinese. Dopo aver udito le loro relazioni, domandò: "Signori, siete sicuri di essere stati tutti nello stesso posto?". Basta un'inquadratura diversa di un'immagine o un aggettivo diverso per presentare al fruitore dell'informazione una realtà sia pur lievemente diversa. Un serio direttore di giornale o telegiornale - come, per es., l'International Herald Tribune - cerca di affiancare due o più rapporti diversi, senza sparare titoli dogmatici: ma è una prassi, almeno in Italia, assai rara. Il singolo operatore può essere invece semplicemente onesto, cioè dire la verità così come lui l'ha percepita. (Occorre ricordare anche l'effetto filtro, cioè far passare o no una certa notizia: le diverse notizie date possono essere relativamente obiettive, ma l'informazione lo è?). Tutto ciò comporta notevoli problemi morali: l'operatore sa di lavorare per un'agenzia o una Tv o un giornale che ha una sua linea editoriale: scatta allora in lui una forma di autocensura dovuta a lealtà verso il suo datore di lavoro, oppure frequentemente dovuta alla paura di perdere il lavoro, paura che, almeno in Italia, non è certo infondata. Il punto moralmente rilevante è il dovere - gravissimo - di esser fedele alla propria coscienza piuttosto che al padrone o alla carriera.

Ma i problemi morali sono assai più complessi. Tutta la comunicazione di massa richiede grossi capitali, e quindi grossi investimenti che esigono un adeguato ritorno finanziario. Possesso di, o accesso a, canali quali i satelliti o le fibre ottiche sono estremamente costosi, così come lo sono le varie attrezzature necessarie. Oggi la scena della comunicazione sociale è dominata dal principio del massimo profitto (privato) del capitale investito (nell'ordine: produzione, trasmissione, attrezzature, sistemi di memoria). Piccoli centri di comunicazione sociale servono solo a nicchie, che non incidono sulla pubblica opinione: possono essere veritieri, giusti, amorevoli e liberi, ma non incidono sulla realtà sociale nel suo complesso. Il sistema planetario della comunicazione sociale è quasi esclusivamente un sistema e un problema finanziario. L'informazione, comunque trasmessa, è mirata quasi esclusivamente a un adeguato ritorno finanziario.

L'informazione - la comunicazione di massa - ha per unico scopo non informare, ma far reagire il ricevente nel modo voluto. Espressioni come verità, giustizia, amore, libertà sono assolutamente prive di significato: l'unica cosa che conta è l'efficacia del messaggio, qualunque esso sia (pubblicità, notiziari, commenti e tavole rotonde, film, intrattenimenti vari). Per questo sono essenziali sia l'Auditel (con tutti i suoi trucchi) sia l'indice di gradimento. E l'efficacia è sempre efficacia finanziaria. Vi è indubbiamente anche una importante efficacia politica. Ma oggi il bandire e promuovere proclami e programmi politici è quasi sempre uno strumento subdolo del mondo della finanza. È difficile oggi trovare un governo che non sia espressione di interessi finanziari, o che non sia da essi sostenuto o ricattato o ricattabile, o in molti altri modi controllato. Gli esempi delle guerre più recenti sono sotto gli occhi di tutti: non sono propaganda pacifista, ma sono noti per la fedeltà alla coscienza di coraggiosi operatori (e editori) della stampa e della Tv degli Usa, di cui qualcuno ha dovuto o dovrà pagare il prezzo.

Ma le cose sono ancor più complicate. Il Messaggio si richiama esplicitamente alla Pacem in terris, e implicitamente alla Gaudium et spes, nel considerare la famiglia umana come un unico corpo sociale. Oggi parlare di giustizia come fondamento del bene comune è parlare del bene comune del genere umano, il che è in sostanza parlare della pace. Ma il concetto stesso di bene comune, per non parlare del bene comune del genere umano, è del tutto estraneo alla logica della finanza e anche, per ricaduta, alle logiche della politica. Gli scontri etnici, razzisti, classisti, religiosi, nazionalisti - puntualmente indicati nel Messaggio - creano o meglio sono usati per creare forti pressioni sui media. Gli operatori devono presentare onestamente i punti di frizione (issues), non per esasperarli ma al contrario per cercarne le radici e aiutare a rimuoverne le cause. È questo un grave dovere per gli operatori, ma è anche un grave dovere per la Chiesa: dovere su cui torneremo subito. Per il momento, si deve considerare tale dovere come parte essenziale del diritto/dovere di libertà di agire secondo coscienza. All'interno di uno Stato vi potranno essere alcuni limiti o regole per la comunicazione sociale, ma mai da parte dei governi: è un passaggio durissimo del Messaggio, ignorato da tanti buoni cattolici, che è bene qui citare nella sua interezza e in lingua originale inglese: "Although some public regulation of the media in the interest of the common good is appropriate, government control is not." (n. 5, sottolineature mie).

Ancora un punto - fra i tanti possibili - occorre sottolineare, perché praticamente ignorato. Ai settori più deboli della società deve esser garantito l'accesso ai media, ma deve anche essere assicurata la possibilità di un ruolo effettivo e responsabile nel decidere contenuti, strutture e indirizzi (policies) delle comunicazioni sociali. Il pensiero va alle masse che sono abilmente educate a subire i media, ma va soprattutto ai paesi poveri, il cui accesso ai media è scarso o nullo. Ho visto di persona paesi poveri di continenti diversi in cui non esiste diffusione sufficiente di giornali (tutti governativi) e, se esiste, l'analfabetismo pratico ne impedisce la comprensione o la miseria estrema li rende inevitabilmente non interessanti; paesi in cui l'energia elettrica è un fatto aleatorio o in cui non esistono ripetitori efficienti; poveri pescatori in capanne sulle rive del Mekong che con un vecchio apparecchio Tv, una batteria di auto e una parabolica riprendono i segnali satellitari: ma si tenga a mente che l'unico sistema satellitare che copre tutte le terre abitate è quello della Cnn. Su questo si deve ancora cominciare a riflettere.

IL PROBLEMA MORALE POSTO DALL’ENORME POTERE DEI MEDIA

L'enorme potere che oggi hanno i media di modellare o modificare ("to shape") i sistemi di relazione fra esseri umani, e con essi la vita politica e sociale (n. 2) pone dunque un problema morale nuovo e gravissimo per tutti i cristiani, le Chiese, gli uomini di buona volontà. L'odierno sistema della comunicazione sociale non è - globalmente considerato - né a servizio della pace né a servizio dei fondamentali diritti dell'uomo. In esso non vi è verità, non vi è giustizia, tanto meno vi è amore, non vi è libertà. Siamo dunque di fronte a una sfida nuova per l'annuncio morale cristiano nella sua globalità: una sfida che il Messaggio pone alla Chiesa intera con singolare concisione e durezza, senza se o ma o forse (si confronti con le decine e decine di pagine di tanti altri documenti sociali in cui il tema di fondo viene ampiamente diluito). Per gli operatori il compito è difficile ma semplice: la fedeltà assoluta alla propria coscienza, sia essa cristiana che sinceramente umana (si ricordi il passo finale di Gaudium et spes, 92). Per la Chiesa il compito è insieme più difficile e più complesso. Annunciare, e quindi modellare e modificare il sistema di relazioni interumane a livello mondiale (di famiglia umana) è compito preciso e ineludibile della Chiesa posta dal Signore come lievito e quasi anima nella storia dolorosa della famiglia umana perché essa si trasformi in famiglia di Dio (Gaudium et spes 40). Sul piano teologico e spirituale, è dominante il grande tema evangelico del Regno: verità, giustizia. carità, libertà, sono le caratteristiche del Regno, formano l'ossatura del grande tema della pace. Una pace che all'interno della storia è un cammino verso il traguardo assegnato alla famiglia umana dal suo Creatore. Non a caso il Messaggio è un potente richiamo alla Pacem in terris, che - unico documento pontificio - viene costantemente citata.

Ma l'enorme e recentissimo sviluppo dei media si muove esattamente sullo stesso terreno ("to shape human relationships and influence political and social life", 2), con finalità direttamente opposte: finalità quasi esclusivamente di interesse finanziario e politico privato. Ogni finalità di bene comune della famiglia umana di colpo è sparita nel giro di soli vent'anni, e la pressione terribile dei media sta facendola sparire rapidamente dalle coscienze cristiane più morigerate. Io denunciavo questa prospettiva già dagli anni '80, del tutto inascoltato considerato profeta di sventure o semplicemente comunista. Oggi la Chiesa è alla resa dei conti. Si considerino le poche cifre seguenti La pubblicità, elemento essenziale del ritorno degli investimenti, segue sempre - e non potrebbe fare altrimenti - gli indici di ascolto e di gradimento del programma in cui è inserita. In Italia nel 2001 il 65,5% è andata al gruppo di Berlusconi, il 31,3% alla Rai (anch'essa in qualche misura controllata dalla maggioranza di Berlusconi), il 3,2% alle altre emittenti (dati dell'Autorità antitrust, riferiti da Massimo Riva). Lo stesso gruppo di Berlusconi controlla una Tv spagnola, e sta cercando di acquisire il controllo di un grosso gruppo tedesco. E nel resto del mondo le cose non vanno meglio L’ascolto e il gradimento e quindi la formazione della mentalità media della famiglia umana vanno ormai in una precisa direzione pilotati da precise scelte di interessi privati. E non abbiamo parlato degli analoghi fenomeni nell'area di internet e in quella importantissima del mercato librario.

UNA SFIDA EPOCALE PER LA CHIESA: COME TRASMETTERE L'ANNUNCIO CRISTIANO

La Chiesa, e tutta la comunità dei credenti in Cristo, è apertamente sfidata per la prima volta nella sua storia nell'essenza stessa del suo annuncio. Non su singoli articoli di fede, non su singoli precetti morali, non su problemi di culto o di gerarchia. La sfida verte ormai su che cosa vuol dire vita buona, su che cosa è in sé desiderabile, sul significato dell'esistenza umana, sull'importanza del seguire la moda, le tendenze in senso globale (del politicamente corretto). Buonismo e pacifismo sono parole dense di spregio, ormai di uso comune. La comunicazione sociale si costruisce invece una sua sorta di verginità religiosa dando ampio spazio di discussione e di intrattenimento su temi religiosi innocui per i propri fini: vite e soprattutto miracoli dei santi, angeli e demoni, magie e riti occulti o strani. Distinti ecclesiastici sono invitati a dare con la loro presenza una vernice pia. Peggior sorte tocca alla religione cristiana nell'area della pubblicità: in essa la religione diviene qualcosa che diverte e fa ridere, una specie di favoletta inventata per vendere meglio un qualsiasi prodotto. La memoria della favoletta religiosa, come quella della modella (semi)nuda, serve solo a ricordare il nome di un prodotto - come un caffè o un'automobile - che nulla ha a che vedere né con la religione né col sesso. Si tratta, come dicevamo, di un fenomeno nuovo e non ancora ben compreso in tutta la sua potenza evangelicamente negativa. È compito urgente dei pastori e dei teologi - soprattutto dei teologi moralisti - studiare e mettere in opera i mezzi più evangelici e più efficaci per far rinsavire un popolo (e un mondo), cristiano o non cristiano, e riscattarsi da questa vera e propria cattura spirituale. Il vero problema non è - come invece appare da molti documenti e giornali e convegni ecclesiastici - come trasmettere l'annuncio cristiano attraverso i media, ma come trasmettere l'annuncio nonostante il sistema mediatico attualmente dominante. La severità del Messaggio pontificio ci obbliga a cercare strade nuove, da tentare con animo puro. Si ricordi che il miglior film sul Vangelo è tuttora quello di P.P. Pasolini, e che stupendi film veramente religiosi sono dovuti a L. Bunuel, che si proclamava "ateo, grazie a Dio". Occorre saper uscire da una mentalità ecclesiastica tradizionale per affrontare seriamente il dramma omologante e disumanizzante della odierna comunicazione di massa.

Enrico Chiavacci

(da Rivista di Teologia Morale, n. 139, 2003, pp. 343-348)

 

 

 

 

 

Letto 2711 volte Ultima modifica il Giovedì, 27 Febbraio 2014 18:18
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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