Formazione Religiosa

Mercoledì, 11 Gennaio 2012 23:03

Pregare o agire? (Card. Michele Pellegrino)

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A 25 anni dalla scomparsa di Padre Pellegrino lo ricordiamo pubblicando un altro suo significativo documento, dedicato al tema della preghiera in rapporto con l'azione.

Pregare o agire?

1. Sotto questo titolo la «Rivista Diocesana Torinese», nel numero di maggio del 1971, riportava una meditazione da me proposta nel ritiro mensile per i sacerdoti che ebbe luogo a Pianezza il 27 aprile (e che poi ripresi nei quattro corsi di esercizi predicati al clero nel 1971 e nel 1972 sul tema generale: Le tensioni nella vita e prete d'oggi).
Da più parti mi venne l'invito a pubblicare a parte questo testo, ritenendosi che esso possa richiamare utilmente l'attenzione su un problema sempre attuale, dalla cui soluzione dipende in notevole misura l'autenticità della vita del cristiano e l'efficacia profonda della sua azione: soprattutto del cristiano che, sacerdote o religioso o laico, si sente impegnato a spendere le sue forze per l'avvento del regno di Dio.
Confesso che esitai parecchio prima di accedere all'invito. Più andavo riflettendo sulla preghiera, e in particolare sul rapporto fra preghiera e azione, più mi pareva difficile parlarne adeguatamente. Alla fine mi sono arreso, pensando che, come Paolo, un vescovo non può sottrarsi al compito di annunciare integralmente il regno di Dio, soprattutto quando ne è espressamente richiesto dai fedeli che lo Spirito Santo ha affidato alle sue cure di pastore. (1)
Come ho accennato, non mi rivolgo solo ai sacerdoti; tuttavia non ho ritenuto di dover cambiare il testo primitivo, del quale questi erano i diretti destinatari. L 'ho invece rimaneggiato e ampliato notevolmente, inserendovi altre riflessioni che mi sembravano di qualche utilità.

2. Vi confido che raramente mi sento così al mio posto nel parlare - ciò che devo fare tutti i giorni e anche più volte al giorno - come quando mi propongo di parlarvi della preghiera. Perché?
Vediamo il n. 28 della «Institutio generalis» sulla Liturgia delle Ore, che vi raccomando vivamente di leggere, come eccellente preparazione per l'uso del nuovo breviario: «Il Vescovo, che in maniera eminente e visibile rappresenta la persona di Cristo ed è il grande sacerdote del suo gregge, perché da lui in certo modo deriva e dipende la vita dei suoi fedeli in Cristo, dev'essere, tra i membri della sua Chiesa, il primo nell'orazione: nella recita della Liturgia delle Ore, la sua preghiera è sempre fatta a nome e a vantaggio della Chiesa a lui affidata».
Vi assicuro, cari confratelli, che questo pensiero mi ritorna tutti i giorni, all'inizio della giornata, quando scendo nella cappellina per la preghiera del mattino (quella che nella «Institutio» prende il nome di «Laudes matutinae»). Una facile e utile «composizione di luogo» mi è offerta dalla sala che attraverso, dove ci sono i ritratti, più o meno rassomiglianti, dei miei 97 predecessori, da S. Vittore e S. Massimo fino al Card. Maurilio Fossati. Il ricordo di tutti i vescovi di Torino, che è anche un richiamo al significato essenziale della missione del vescovo, mi aiuta molto. In quel momento mi sento vescovo non meno che quando vado in visita pastorale o ricevo preti o laici. Anche perché penso che quando mi tocca parlare, ascoltare, discutere, decidere, mi è difficile dire poi se faccio bene o se faccio male, se l'indovino o se la sbaglio; ma quando prego sono certo di fare una cosa giusta. Dio voglia che lo sia anche il resto.
Non so se sia di buon gusto mettere a confronto quell'affermazione di un bellissimo documento post-conciliare con una notizia che leggevo recentemente nella vita di S. Bruno, fondatore della Certosa, una vita rigorosamente documentata, dovuta al P. Gesuita André Ravier. In questo libro è riportata una notizia d'un cronista quasi contemporaneo su Manasse I, arcivescovo di Reims (città unita con Torino da uno storico «gemellaggio») ai tempi di Gregorio VII. «Dato che amava le armi e trascurava il clero, si dice che un giorno abbia esclamato: "L'arcivescovado di Reims sarebbe una buona cosa, se non vi fosse più da cantar Messa!"» (2). Evidentemente, Manasse I non conosceva l'«Institutio generalis» sulla Liturgia delle Ore.
Mi pare importante che il vescovo parli della preghiera, anche se so bene che parlare della preghiera è una cosa, pregare è un'altra, quindi sono io il primo a sentirmi impegnato nell'esame di coscienza, Ma l'Istruzione citata aggiunge subito: «I presbiteri, uniti al vescovo e a tutto il presbiterio, rivestono essi pure in modo speciale la persona di Cristo sacerdote; essi partecipano quindi al suo stesso compito e pregano Dio per tutto il popolo loro affidato, anzi per tutto il mondo».

1. CONSTATAZIONI

3. Vediamo di fare qualche constatazione, di renderci conto della realtà di questa tensione: preghiera o azione? pregare o agire?
Da una parte, ci troviamo talvolta di fronte alla tentazione di rifugiarci nella preghiera, rinunziando all'azione, soprattutto quando la fatica è più pesante o quando, per operare pastoralmente, è necessario lottare e soffrire.
Penso a certi grandi vescovi dell'antichità. S. Gregorio Nazianzeno era continuamente lacerato dalla dolorosa tensione fra il desiderio della solitudine, della preghiera, della contemplazione e le esigenze pastorali che lo chiamavano a lavorare per la Chiesa a Nazianzo, Sàsima, a Costantinopoli. S. Agostino (3) ci confida che nei primi anni del suo episcopato aveva provato la tentazione della fuga in solitudinem e l'aveva vinta a fatica, meditando su un testo di Paolo che dovremmo tener sempre presente come stimolo e incoraggiamento: «L'amore del Cristo c'incalza al pensiero che uno solo morì per tutti; dunque tutti morirono; ed egli morì per tutti, affinché quei che vivono, non vivano più per se stessi, ma per colui che morì e risuscitò per loro» (3bis). Ugo, vescovo di Grenoble, grande amico di S. Bruno, gli faceva visite frequenti e prolungate nella Certosa, che egli stesso gli aveva procurato, al punto che Bruno compelleret exire, doveva forzarlo ad andarsene, dicendogli: «Andate alle vostre pecorelle e soddisfate ai vostri obblighi nel loro riguardo» (4).
Perché il vescovo non può essere soltanto un contemplativo.
Questa tensione è presente anche ora? lo credo di sì. Non una volta sola mi sono sentito dire da sacerdoti impegnati fino all'esaurimento nel ministero: «Perché non mi manda in una parrocchietta di montagna dove possa pregare? Perché non mi lascia libero per qualche mese, per un anno, per attendere solo alla preghiera?».

4. Tuttavia io credo che sia più grave oggi il pericolo opposto: abbandonare la preghiera per darsi all'azione.
Qualcuno di voi avrà letto su «a Voce del Popolo» una relazione, comparsa prima su «Testimonianze», intorno ai gruppi ecclesiali del Piemonte. Lo estensore di questa relazione, che è lui stesso a capo di un gruppo e che è in linea di principio favorevole a questi gruppi, fa rilievi che inducono a pensare. Nota, in vari di questi gruppi, cosiddetti spontanei o comunque gruppi ecclesiali, «la mancanza di sforzo per far diventare preghiera la parola di Dio. Sicché la preghiera è scomparsa per lasciar posto alle "analisi" delle situazioni. La parola di Dio è solo preludio alla prassi politica. Dal primato della parola di Dio come "unica norma" della vita dei cristiani, affermato all'inizio dalle prime comunità spontanee piemontesi, si è delineata una riduzione in cui la parola di Dio sta accanto ad altri elementi per normare il comportamento: altri elementi che sono l'analisi marxista, le realtà politiche non più strumento per operare secondo la parola ma motivi ispiratori accanto ad essa» (5). Più avanti, si rileva il «difetto di spiritualità» in molti di questi gruppi. « Si nota la mancanza o la totale assenza di uno spirito di preghiera autentico collettivo e individuale. In alcuni gruppi si arriva a promuovere lo sciopero come sostitutivo della dimensione orante. Ma si è visto negli stessi gruppi contemporaneamente alla perdita della preghiera la perdita dell'identità cristiana e quindi della fede». Non serve fare dei discorsi di fede se non si crede. «Senza un'intensa vita spirituale ci si consuma in tante azioni, che ricordano l'attivismo dell'Azione Cattolica anni 50, senza dimensioni di vera e profonda conversione all'Evangelo» (6).
Le osservazioni ora riportate non intendono, evidentemente, esaurire tutta la complessa realtà dei gruppi ecclesiali del Piemonte. In alcuni è esemplare l'impegno per riscoprire la preghiera attingendo alla parola di Dio e alla miglior tradizione spirituale, e si prega seriamente, conciliando l'esigenza comunitaria con quella dell'incontro personale con Dio, alternando la preghiera vocale e la meditazione silenziosa.
Ma poiché l'abbandono della preghiera costituisce un fenomeno di ampie dimensioni e che non può non preoccupare seriamente, sarà opportuna una distinzione che è comoda per l'analisi della realtà, senza tuttavia intenderla in modo rigido, fra la prassi e la teoria.

5. Nella prassi, avviene abbastanza spesso che si abbandonano queste e quelle preghiere. queste e quelle «pratiche di pietà », considerandole relitti di tempi passati: il rosario, la meditazione, la visita, ecc. Si finisce poi che di preghiera resta ben poco, quando resta qualche cosa.
Per quali ragioni? Eccone alcune, schematicamente, rimanendo nel campo della prassi. Una è il lavoro assorbente. Mi diceva un parroco, preoccupato del suo viceparroco zelantissimo: «Troppe cose vuol fare, non trova più il tempo né per pregare, né per dormire ». Invece bisogna trovare il tempo per l'una e per l'altra cosa.
Alle volte la ragione vera, anche se non confessata, è semplicemente la pigrizia. Siamo sinceri e non culliamoci in vane illusioni. In genere, il buon prete che lavora molto da prete, prega anche molto e bene. Se l'accidia viene ultima nell'ordine dei vizi capitali, non vuol dire che non lasci le sue tracce anche nella nostra vita.
Molte volte è questione di poca fede. Se la fede è debole e scarsa non può alimentare la preghiera. Non è cosa di oggi soltanto la crisi della preghiera, l'abbandono della preghiera.
Il nostro S. Massimo diceva in una predica: «Che cosa sia pregare e ringraziare Dio, molti tra voi penso che non lo sappiano nemmeno. Sono quelli che alzandosi di buon mattino pensano subito al pranzo, quando hanno pranzato si mettono a dormire, senza rendere mai grazie a Dio, che ha procurato loro il pranzo per ristorarsi e il sonno per riposarsi ». (7)
Sentite S. Caterina da Siena in quei terribili capitoli (8) del «Dialogo» sui ministri cattivi. Leggo solo ciò che ci interessa in questo momento: «Non sanno che si sia officio». Temo che S. Caterina (o il Signore che le parla) lo potrebbe ripetere di non pochi anche oggi. « E se alcune volte el dicono, el dicono con la lingua e 'l cuore loro è dilonga da me ». Varrebbe la pena di meditare anche sul contesto. Ne riporto due brevi tratti. Prima ha detto: « Ed essi ànno presa per mensa loro le taverne, inegiurando e spergiurando con molti miserabili difetti pubblicamente, come uomini aciecati e senza lume di ragione: sono fatti animali per i loro difetti e stanno in atti in fatti e in parola lascivamente ». E poco dopo: «Egli stanno come ribaldi e barattieri, e poi che ànno giocato l'anima loro e messala nelle mani delle dimonia, ed essi giuocano i beni della Chiesa; e la sustanzia temporale, la quale ricevono in virtù del sangue, giuocano e sbarattano. Unde i povari non ànno il debito loro, e la Chiesa n'è sfornita, e non con quelli fornimenti che le sono necessari» (9).
Non so se la trascuranza della preghiera sia intesa qui come causa dei disordini stigmatizzati nel contesto. Comunque l'accostamento non sembra casuale.

6. Il pericolo mi sembra ancora più grave quando si teorizza l'inutilità o l'impossibilità della preghiera. Finché, in fatto di preghiera, si debbono deplorare cedimenti pratici, per pigrizia o per altri motivi, ma si hanno delle convinzioni solide sulla sua necessità e sul suo valore, c'è speranza di una ripresa; ma quando queste convinzioni vengono a mancare, non vedo il rimedio. L'unico rimedio sarà in una « conversione » profonda; che induca a rivedere il proprio modo di pensare per conformarlo ai dettami della fede.
Ora, proprio in linea teorica si muovono obiezioni molto pesanti contro la preghiera. Non parlo naturalmente dei miscredenti e degli atei.
Nel 1968, il domenicano padre Besnard, di Le Saulchoir di Parigi, a un convegno su l'Ufficio Divino, indicava quattro atteggiamenti mentali che impediscono la preghiera:
« 1) Per risolvere i nostri problemi, non occorre che venga qualche cosa dal "di là".
2) Un certo determinismo, incompatibile con una preghiera che è sospettata di volere "miracoli".
3) L'umanità è sola - il centro di un enorme spazio cosmico, semplicemente perché non c'è alcun altro punto di riferimento.
4) L'umanità è senza destino» (10).
Alcuni di questi atteggiamenti mentali valgono specialmente contro la preghiera di domanda. P. noto che più volte nella storia della Chiesa la preghiera di domanda è stata contestata, come è avvenuto anche recentemente, per ridurre tutta la preghiera a lode e ringraziamento (quando non si contesta addirittura la preghiera in se stessa facendone un impegno vitale dell'uomo e negando la possibilità di un vero « parlare » con Dio).
Si dice che la preghiera di domanda, oggi, fa problema. Certo: e l'ha fatto sempre. Non è da oggi che ci si domanda come conciliare l'onniscienza, la predestinazione e l'immutabilità divina con l'esaudimento della preghiera. Ma anche altri aspetti della fede e della vita cristiana fanno problema: peccato originale, redenzione, divinità di Cristo, risurrezione, inferno e purgatorio, fino all'esistenza di un Dio personale. E c'è sempre stato chi ha creduto di risolvere una tensione eliminando uno dei termini, chi ha trovato una soluzione «ragionevole» togliendo di mezzo il mistero.
Ma questo è razionalismo bello e buono.
Nel campo della fede dobbiamo in primo luogo do mandarci cosa dice la parola di Dio, poi cercare se possiamo spiegarla, ma non sostituirvi le categorie umane. Così a proposito della preghiera.

II. PRINCÌPI

7. Dopo aver dato uno sguardo a ciò che avviene in fatto di preghiera, cerchiamo di mettere in luce alcuni princìpi veramente fondamentali, desunti dalla parola di Dio, che devono guidarci in questo campo, sempre con particolare riferimento alla nostra vocazione e missione.
Sarebbe facile allegare pagine e pagine dell'Antico Testamento che documentano in maniera evidentissima la necessità, il valore, l'efficacia della preghiera. Bisognerebbe richiamare per intero il libro dei Salmi, preghiera divinamente ispirata e sempre mirabilmente attuale quando venga intesa in chiave cristologica ed ecclesiologica, Mi limito, per esigenze di tempo, all'esempio e all'insegnamento di Gesù e degli Apostoli, tenendo presente il tema del nostro discorso: pregare o agire?
a) Gesù ci insegna che dobbiamo agire. «Il Padre mio non ha mai lasciato di operare fino al presente, ed io pure opero» (11). Non c'è bisogno di mostrare a voi come le giornate di Gesù erano piene, Poco prima di aver riferito le sue parole ora citate, Giovanni ce l'ha presentato stanco per il viaggio, seduto presso una fonte (l2). Sono dodici le ore della giornata: in quelle ore bisogna camminare, dice Gesù (13). Che significhi l'agire di Gesù lo sappiamo: tutto è in ordine alla sua opera salvifica.
b) Gesù prega, Alcune preghiere sue ci sono riportate. «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai semplici. Sì, Padre, perché così è piaciuto a te (14).
La preghiera che precede la risurrezione di Lazzaro: «Padre, ti ringrazio di avermi esaudito. Sapevo bene che mi esaudisci sempre; ma l'ho detto per il popolo che mi circonda affinché credano che Tu mi hai mandato» (15).
La preghiera riferita ancora da Giovanni nel capitolo seguente: «"Adesso l'anima mia è turbata. E che dirò? Padre, salvami da quest'ora. Ma è per questo che sono giunto a quest'ora. Padre glorifica il tuo nome ". Venne allora dal cielo una voce: "L 'ho glorificato, e di nuovo lo glorificherò"» (16).
La preghiera «sacerdotale» che occupa tutto il c. 17 di S. Giovanni, la preghiera del Getsemani, la preghiera della croce.
Altre volte gli evangelisti apertamente menzionano la preghiera di Gesù, senza riportarne il testo, come quando Luca informa che «uscì sulla montagna a pregare, e trascorse tutta la notte in orazione a Dio» (17).

8. c) Gesù insegna, esorta a pregare. «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto» (18).
«In verità, in verità vi dico: qualunque cosa domanderete al Padre, Egli ve la concederà in nome mio. Fino ad ora non avete chiesto nulla in nome mio: chiedete ed otterrete, affinché la vostra gioia sia piena» (19).
Non si può davvero cavillare. Se c'è un insegnamento estremamente chiaro in tutta la Bibbia, richiamato con martellante insistenza nell'esempio e nella parola di Gesù, è la necessità, il dovere, l'efficacia della preghiera.
S. Cipriano, nell'introduzione al De dominica oratione, bellissimo commento al Pater noster, dice: «(Cristo) fra gli altri suoi salutari ammaestramenti e precetti divini coi quali provvide alla salvezza del suo popolo, diede egli stesso un modello di preghiera, ci ammonì e ci istruì su ciò che dobbiamo chiedere pregando. Come ci aveva dato la vita così ci insegnò anche a pregare (qui fecit vivere docuit et orare) , mosso da quella bontà per la quale si degnò di conferirci tanti altri doni. Così, usando col Padre di quella preghiera che il Figlio ci ha insegnato, saremo più facilmente esauditi» (20).
Quello che Gesù ha fatto e insegnato nella sua vita terrena continua a farlo nella Chiesa. «Gesù non si può mai separare dal suo corpo mistico che è la Chiesa. Ad essa prima di risalire al Padre ha affidato integra la sua missione: oltre al suo sacrificio, fonte suprema della salvezza, le affida la sua preghiera.
Anche la sua preghiera infatti appartiene all'economia della salvezza: deve dunque prolungarsi nella Chiesa sino alla fine dei tempi, allo stesso modo del suo sacrificio» (21).
d) Gesù ci insegna la sintesi fra preghiera e azione. In quel passo che vi ho letto adesso del capitolo 11 di S. Matteo, la preghiera al Padre è seguita dall'invito rivolto agli uomini: «Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e lo vi ristorerò» (22). Notate il passaggio dalla preghiera all'azione: prega il Padre e si mette a disposizione degli uomini per l'opera salvifica.
E dopo quel testo di Luca che ho citato poco fa, l'evangelista ci riferisce la scelta dei Dodici, atto quanto mai importante nella storia della salvezza. «Quando fu giorno chiamò i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali dette il nome di apostoli» (23). «Cristo ha attuato la perfetta fusione tra la preghiera, come filiale comunione col Padre, e la vita con le sue assorbenti attività apostoliche. È stato certamente un "uomo per gli altri", ha prestato un servizio totale: ma tutto il suo "opus" egli lo ha compiuto con un senso di dipendenza personale, diretta, totale da Dio» (24).

9. Fedeli agli insegnamenti del Maestro, gli Apostoli ci hanno insegnato anch'essi ad agire e a pregare.
a) Ad agire. Siamo informati soprattutto su Pietro e su Paolo. Bisognerebbe ripercorrere gli Atti degli Apostoli e tutte le lettere paoline. Citiamo soltanto un passo del c. 20 degli Atti, quello che il Dupont chiama il testamento pastorale di Paolo, il discorso agli anziani di Efeso: «Voi sapete in qual modo, dal primo giorno in cui venni in Asia, mi sia diportato con voi per tutto questo tempo, servendo il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e tra le prove subite per le insidie dei Giudei; come non mi sia mai sottratto a ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi in pubblico e nelle case, scongiurando Giudei e Greci di convertirsi a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù» (25). «Ricordatevi che per tre anni, notte e giorno, non ho mai cessato di ammonire con lacrime ciascuno di voi» (26).
Qui parla dell'azione propriamente apostolica; più innanzi menziona anche, facendone motivo di vanto, il lavoro manuale. «Queste mie mani, come voi ben sapete, hanno provveduto al bisogno mio e di quelli che erano con me» (27).
b) Gli Apostoli pregano. Proprio al termine di quel discorso agli anziani di Efeso, «dopo aver così parlato, si mise in ginocchio e pregò con tutti loro» (28). «Si mise in ginocchio», come Gesù nel Getsemani (29), come Stefano (30), come Pietro presso la salma di Tabita (31).
Il padre Dupont commenta: «Il miglior insegnamento è quello dell'esempio. La vera conclusione del discorso sta, più che nelle ultime parole ora studiate, nel gesto di Paolo che si inginocchia e nella preghiera che rivolge a Dio in nome dei presbiteri, insieme ad essi e senza dubbio anche per essi. Il commento del discorso non può terminare ove terminano le parole dell'apostolo ai suoi ascoltatori: come minimo, bisogna richiamare l'attenzione sul fatto che, dopo aver parlato loro, si rivolge a Dio. Indicare agli anziani i loro doveri senza aggiungervi la preghiera sarebbe poca cosa; invitarli a imitare il proprio esempio e a mettere in pratica gli insegnamenti di Gesù potrebbe essere inefficace se, per finire, Paolo non li facesse pregare insieme a lui e come lui » (32).
Osserva ancora l'eminente esegeta che «gli Atti, ancora più che affermare la tenace assiduità dei primi cristiani nella preghiera, ce la mostrano in pratica, ripetendo in ogni pagina la stessa affermazione: in qualsiasi circostanza gli Apostoli e i cristiani pregano» (33).
Cari fratelli, non vi sembra che sarebbe bene che quando ci si richiama - ed è giusto richiamarsi - come ad esempio autentico di vita cristiana, il più vicino alla purissima fonte dell'evangelo, quando ci si richiama, dico, alla solidarietà, alla comunità dei beni praticata dai primi cristiani (da intendersi com'era realmente e nel valore che ha per la Chiesa d'oggi), non si dimenticasse questa realtà: che la prima comunità pregava, pregava, pregava? E se noi vogliamo che nel secolo XX il volto della Chiesa risplenda della luce che risplendeva nei primi tempi è necessario che oggi, come allora, la Chiesa preghi.
«La Chiesa apostolica », cito ancora il Dupont, «realizza appieno l'ideale di pregare .. sempre" (Lc. 18,1) e “ in ogni tempo” (Lc. 21,36); l'ideale evangelico che Paolo condivide» (34).

10. c) Gli Apostoli raccomandano la preghiera. Qui non posso far altro che rinviarvi alle lettere di S. Paolo, riferendomi ancora una volta al lavoro del padre Dupont: «Quando Paolo, nelle lettere, parla della preghiera, quasi sempre o dice che ricorda incessantemente a Dio i suoi lettori (1 Tess. 1,2; 2 Tess. 1,11; Fil. 1,4-5.9; Rom. 1,10; Col. 1,3.9; 4,12; Filem. 4; Ef. 1, 16), oppure chiede a questi ultimi di aiutarlo con le loro preghiere (1 Tess. 5,25; 2 Tess. 3,1; Rom. 15,30; Col. 4,3; Filem. 22; Ef. 6,18-19; cf. Ebr. 13,18). Malgrado le distanze, i cristiani si uniscono con l'intenzione gli uni agli altri per pregare; questa unione è indispensabile alla preghiera» (35).
Se riflettiamo sugli esempi e sugli insegnamenti datici dagli Apostoli in materia di preghiera, quali risultano dai passi ora citati e da altri che si potrebbero portare, è facile costatare che spessissimo si tratta di preghiera di intercessione, nella quale o ci si raccomanda alla preghiera dei fedeli o si assicura di pregare per loro. Giustamente ha osservato un'anglicana, docente all'Università di Oxford, che la preghiera di intercessione si trova dappertutto nel Nuovo Testamento, e che Gesù per primo ne ha dato l'esempio, e ne ha tratto la conseguenza incoraggiante: «Poiché nostro Signore intercede incessantemente per noi, noi siamo in grado di unire la nostra preghiera alla sua, e a causa della nostra unione con lui la nostra preghiera è ascoltata» (36).
d) Anche gli Apostoli hanno realizzato meravigliosamente la sintesi fra preghiera e azione. La notiamo nel c. 4 degli Atti, vv. 23-31. Riportata la bellissima preghiera di lode, nel richiamo alla creazione e alla storia della salvezza nell'Antico Testamento che si va attuando pienamente nel Nuovo, preghiera che si conclude con l'invocazione di aiuto ai predicatori del Vangelo, Luca c'informa: «Quand'ebbero pregato, tremò il luogo in cui erano radunati, tutti furono ricolmi di Spirito Santo e annunziavano la parola di Dio con franchezza». Ecco il passaggio dal pregare al predicare, la sintesi fra preghiera e azione. Pregano, lo Spirito Santo li invade, allora riprendono impavidi la loro missione.
Il fatto stesso che un uomo dinamico come Paolo - non so se sia facile trovare nella storia chi più di lui ha faticato per il Vangelo - esalta la preghiera, la raccomanda in tutti i modi, prega intensamente, mi pare che c'illumini abbastanza sulla possibilità e sul dovere della sintesi che dobbiamo fare tra preghiera e azione. Del resto si può concepire nella vita della Chiesa una preghiera senza azione? L'azione è feconda in quanto germina dalla preghiera. Anzi - ma dovremmo riprendere il discorso da principio - è lecito domandarsi se abbia ragione di essere l'interrogativo: pregare o agire? o se non sia da vedere nella preghiera la prima e fondamentale forma di azione.

11. E necessario respingere decisamente l'idea che esista un contrasto fra preghiera e azione (anche se in pratica dobbiamo tener conto d'una tensione dovuta alla difficoltà di fare la sintesi delle varie componenti dell'impegno cristiano). Non è certo d'oggi la preoccupazione di negare questo contrasto, se nel 1897 Mons. Agostino Richelmy, allora vescovo d'Ivrea già designato alla sede di Torino, in un memoriale confidenziale richiestogli dalla S. Sede «sulla lotta presente intorno alla Democrazia Cristiana », così si esprimeva: « Ho dovuto io stesso, nel chiudersi di un corso di Spirituali Esercizi al clero, temperare il funesto effetto di un'espressione uscita dalle labbra di un piissimo direttore: “ Voi - aveva egli detto volgendosi ai giovani - siete i preti del movimento; e noi siamo i preti del Sacramento” Ah! Gesù in Sacramento non allontana da sé i sacerdoti docili alla voce del suo Vicario. Egli è anzi il vero ispiratore dell'Azione Cattolica, che tutta si fonda sull'amor del sacrificio; la SS. Eucaristia è il centro da cui partono tutti i raggi dell'operosità sacerdotale» (37).
Dunque, dire che non esiste contrasto fra preghiera e azione è troppo poco, mentre l'azione esige d'essere ispirata dalla contemplazione e sostenuta dalla preghiera. «La preghiera», osserva un pastore protestante, «è preludio all'azione, è azione, poiché dà apertura alla sola azione efficace e reale che è la parola di Dio nel suo realizzarsi. Questa parola-azione si realizza quando io la prendo sul serio, quando l'ascolto e così le apro un cammino nel mondo, attraverso la mia propria obbedienza» (38).
Qualcosa di simile aveva detto un grande autore spirituale del IV secolo, Macario Egizio: «Non basta, davanti a Dio, piegare le ginocchia passando tutta la giornata in preghiera. E questa un'azione buona; è veramente bene pregare e perseverare incessantemente nella preghiera. Essa è il capo di tutte le buone azioni; ma senza le altre membra, che sono le virtù, è morta» (39). «La preghiera cristiana è come l'azione cristiana. Marta e Maria sono sorelle e devono rassomigliarsi» (40).
Ascoltiamo una donna che proprio ai nostri giorni realizzò in modo meraviglioso la piena inserzione nel mondo dei poveri, partecipando a tutte le loro sofferenze e alle lotte per la giustizia, Madeleine Delbrêl: «Noi troviamo che la preghiera è un'azione e che l'azione è una preghiera; l'azione veramente animata dall'amore, mi sembra, è veramente piena di luce» (41).
Allargando il campo delle nostre considerazioni (ma senza uscire dal tema di fondo), potremmo riferirci al pensiero di uomini lontani o avversi al cristianesimo per trarre una conferma a quanto veniamo esprimendo sulla fecondità della preghiera, diciamo pure della contemplazione in ordine all'azione.
Nietzsche affermava risolutamente: «I grandi fatti non sono già le nostre ore più rumorose, bensì le più silenziose. E il mondo non rota attorno a coloro che inventano nuovi gridi, ma attorno a coloro che inventano nuovi valori: attorno a questi rota silenziosamente». E altrove: «Son le parole più tacite quelle che portano la bufera. I pensieri che giungono su piedi di colomba governano il mondo» (42).

12. Cito un passo dello Schlier, un protestante convertito, esegeta di gran fama. Parla specialmente della liturgia, ma quello che dice vale in genere per la preghiera: «La liturgia è mossa dallo Spirito e muove lo Spirito. Essa presuppone la partecipazione del cuore rivolto al Signore. Essa serve all'edificazione della comunità nella glorificazione di Dio Padre» (43).
Sarebbe facilissimo allargare il discorso a tutta la storia della Chiesa citando infiniti esempi d'impegno nella preghiera e di sintesi fra preghiera e azione. Ne richiamo volentieri due che trovo accennati dal p. Congar. «Paolo VI, in mezzo alla pompa ancora troppo mondana che lo circonda, nel rumore e nel tumulto delle grandi manifestazioni pubbliche, appare in modo impressionante come un uomo di preghiera. Ne siamo stati testimoni a Roma e, grazie alla televisione, a Gerusalemme, a Bombay, a Bogotà». Dopo aver menzionato la Messa celebrata al Santo Sepolcro nel gennaio 1964, aggiunge: «Prima dell'esempio di Paolo VI, che ha il suo stile proprio, quello di Giovanni XXIII mostra che questa via del tutto evangelica e spirituale di edificare il Corpo di Cristo è singolarmente efficace». E conclude con un augurio: «Possa colui che, dopo Papa Giovanni, rappresenta oggi Pietro in mezzo e alla testa del corpo apostolico, trascinare tutta la massa in una vita e una preghiera unanime» (44).
Mi sembra opportuno richiamare, a questo riguardo, la preghiera domenicale dell'Angelus in Piazza S. Pietro. Se il Vescovo è il primus in oratione nella diocesi, e il Papa è il primus in oratione nella Chiesa, quest'invito e questa preghiera fatta dal Papa con i fedeli sono singolarmente significativi.
E adesso permettete, ultima testimonianza, che vi legga un passo del diario di don Luciano Gariglio. Tutti l'abbiamo conosciuto e abbiamo pianto quando una morte improvvisa l'ha strappato a noi e ai suoi figli di Carutapera nel Brasile.
«25 marzo 1968... Ecco la necessità di stare sempre intimamente unito a Te, Gesù, in un colloquio spirituale continuo e profondo, che non ha bisogno di sensazioni, di emozioni e di fervore, ma solo di realtà, fatto di vita di cuore, dialogo realizzato nel senso di una mia partecipazione fatta di sacrificio, di gioia nell'accettare questa difficoltà, questo ambiente, queste persone come immagine di Te Crocifisso e sofferente, questo mio sconforto umano, questa mia incapacità e nullità, questa mia vita apparentemente inutile, terribilmente ansiosa di una qualche novità confortante, tutta solo orientata ad evadere, a rimpiangere e sognare famiglia, casa, amici, patria e ritorno, chiusa nel guscio di un disadattamento sconcertante, come doni e privilegi che mi vengono da Te, e nello stesso tempo sì, offrirteli umilmente con in aggiunta il rammarico di non saperli apprezzare abbastanza».
Sono convinto che anche oggi tra i nostri preti - e non solo trai preti - non mancano quelli che continuano in modo ammirabile la tradizione degli Apostoli e di tutta la Chiesa che nella preghiera segue fedelmente l'esempio di Gesù.

13. La preghiera, ripeto, deve coniugarsi con l'azione in una sintesi vitale. Dice il padre Rahner: «La preghiera è l'azione con cui l'uomo si dona totalmente a Dio. Egli non può esistere senza riferirsi a un tu, altrimenti si condanna ad essere solo se stesso; però ha per tu il Dio invisibile nella misura in cui ama il tu che vede. La preghiera perciò può essere vera solo se è aperta e pronta a muovere gli altri ad offrire a Dio la propria persona, se, In altri termini, è ispirata da zelo apostolico». Quindi insiste sulla preghiera d'intercessione: «Tutto è in ordine quando gli uomini imparano a pregare all'occorrenza per gli altri». E più innanzi, col richiamo alla situazione del mondo d'oggi: «Può essere mai la preghiera per la Chiesa e il regno di Dio più urgente di oggi, in cui non si permette più ad alcun popolo di vivere indipendentemente la propria storia nel mondo e ciascuno porta nella maniera più reale e tangibile il fardello di tutti gli altri e può essere interessato dalla salvezza o dalla perdita di tutti?» (45).
Mons. Rupp, già vescovo di Monaco, afferma che S. Teresa con la riforma del Carmelo ha « razionalizzato » la preghiera d'intercessione e trova, «in questo "sfruttamento" sistematico delle risorse soprannaturali messo a nostra disposizione, qualcosa di straordinariamente moderno» (46).
Il Carmelo, come in genere le comunità di vita contemplativa, ha quale scopo essenziale la preghiera d'intercessione. Vedremo solo nell'altra vita di che cosa siamo debitori alla preghiera di questi fratelli e sorelle che nel silenzio operano in modo straordinariamente efficace per la Chiesa.
Può suonare paradossale, ma vale la pena di pensarci su, ciò che scriveva un editore presentando le opere d'una carmelitana dotata dei più mirabili doni di contemplazione, S. Maria Maddalena de' Pazzi: «Oserei perfino dire che la società contemporanea potrebbe anche fare a meno di quegli ordini religiosi nati per sopperire alle esigenze di un preciso momento storico; ma, se pur fosse possibile sostituire una suora con una infermiera, o un frate con un professore, non sarebbe neanche pensabile un surrogato " scientifico " della vita mistica» (47).
Del resto, sbaglierebbe di grosso chi pensasse che la vita contemplativa fosse un relitto archeologico di tempi lontani, o, se ne resta oggi qualche traccia, essa sia confinata dietro le grate di qualche monastero. Uno che si intende di queste cose, il p. R. Voillaume, dichiara la contemplazione «carattere inalienabile della Chiesa». Essa ha segnato tutte le epoche nella storia della Chiesa e non è meno presente oggi. Vi sono contemplativi che « vivono nel cuore delle nostre città, mescolati al lavoro quotidiano degli uomini... I contemplativi sono i più realisti degli uomini, poiché il loro realismo va fino a Dio e alla totalità dell'universo creato, visibile e invisibile» (48).
Permettete che vi legga un pensiero di un vescovo ortodosso, Mons. Nikolaos, Metropolita di Chalkis, vicino ad Atene. Lo prendo da una lettera di un amico che me l'ha trascritto: «La questione della preghiera... è veramente la questione per eccellenza bruciante. Come conservare in noi la scintilla accesa dalla grazia del nostro battesimo in questo triste isolamento di un mondo che non si cura di pregare? Un mondo senza preghiera è una camera a gas; poiché vi manca l'ossigeno, non si può che rimanervi asfissiati. .. Preghiamo incessantemente", S. Paolo ce lo raccomanda, e speriamo contro ogni speranza... Tutta la questione si riassume in questo: abbiamo bisogno di santi, non, forse, di uomini di azione: ce n'è già troppi; ma di santi, come Francesco d'Assisi, come S. Gregorio Palamas, come il nostro Silvano».
Alla domanda: «Perché pregare?» Kierkegaard rispondeva: perché «pregare è respirare... Perché io respiro? Perché altrimenti morirei. Lo stesso vale per la preghiera» (49).
E Madeleine Delbrêl, impegnata come pochi in una attività senza risparmio per i fratelli, proclamava la necessità della preghiera come una delle verità assolutamente certe di cui non si può discutere: dobbiamo «pregare a ogni costo, perché pregare è necessario» (50).
Insomma, «la preghiera», concluderò con un eminente storico della liturgia che recentemente ha studiato in una densa sintesi le varie forme che la preghiera ha assunto dagli inizi della Chiesa fino ai nostri giorni, «accompagna il pellegrinaggio terreno della Chiesa e  non tacerà mai fino al giorno del suo compimento» (51).

III. IL NOSTRO COMPORTAMENTO

14. Veniamo ora a porci qualche domanda su quello che dev'essere il nostro comportamento in proposito, di fronte alla tensione fra preghiera e azione.
Anzitutto indichiamo rapidamente i criteri a cui ci dobbiamo ispirare. Permettetemi che ve lo dica con chiarezza: non dobbiamo ispirarci all'opinione di un qualsiasi teologo. Ho avuto più volte occasione di intervenire in difesa dei teologi e d'insistere sulla necessità, soprattutto da parte dei vescovi, di valersi della loro indispensabile collaborazione. Ne sono fermamente convinto. Guai se non avessimo questo aiuto! Però, intendiamoci bene: il criterio per giudicare nelle cose di fede e di vita spirituale non può essere in primo luogo la opinione di un teologo o di uno che si presenta come tale. Accoglieremo con riconoscenza i contributi di tutti: ma se un teologo mi viene a dire, per esempio, che la preghiera di domanda non ha senso, preferisco credere a nostro Signore Gesù Cristo, a S. Paolo, all'insegnamento e alla pratica di tutta la Chiesa.
Del resto, non sembra il caso di sopravvalutare la opinione di qualche teologo (ammesso che sia veramente tale), mentre, oggi come ieri, la teologia riecheggia e sviluppa e approfondisce l'insegnamento della Scrittura e della tradizione sul valore e la necessità della preghiera, anche come preghiera di domanda. Cito, fra tante, la testimonianza d'un teologo non cattolico, Dietrich Bonhoeffer: «Il bambino prega il Padre che conosce. Non una venerazione generica, ma il chiedere è l'essenza della preghiera cristiana. Corrisponde all'atteggiamento dell'uomo davanti a Dio, che egli stia lì con le mani alzate a pregare Colui del quale sa che ha un cuore paterno» (52).
Parimenti il criterio del comportamento in questo riguardo non dev'essere la pigrizia. Cari confratelli, diciamolo chiaro anche qui: generalmente parlando (poiché bisogna fare i conti anche col temperamento di ciascuno), ci vuole più sforzo personale a pregare che a buttarsi nel lavoro esterno. L'abate Chautard ne «L'anima dell'apostolato» richiamava giustamente questa realtà. Siamo per lo più portati a un lavoro febbrile, magari sfibrante, ma ci vuole sforzo per impegnarci veramente nella preghiera.

15. I criteri da seguire anche in questo campo devono essere:
a) La parola di Dio. Nulla di più chiaro nella parola di Dio che l'affermazione della necessità e dell'efficacia della preghiera, che l'esortazione a pregare. Non c'è bisogno di ritornare .su quello che ho detto, mentre si potrebbe aggiungere moltissimo.
b) Il senso universale e costante della Chiesa, fondato sulla parola di Dio. Trovatemi una scuola di spiritualità, un santo, un vero apostolo, che non abbiano chiaramente proposto e praticato la preghiera come un impegno che deve realizzare ogni cristiano, ogni sacerdote.

16. Dobbiamo agire. Quando ho insistito sulla preghiera, spero di essermi spiegato, non è per lasciar da parte l'azione. Dobbiamo agire, abbiamo una precisa responsabilità per l'adempimento della missione che ci è stata affidata, abbiamo la grazia del sacramento dell'Ordine che feconda la nostra azione. Agire con generosità, cercando di renderci conto delle esigenze concrete dell'ambiente. Siamo strettamente obbligati a impegnarci con tutte le nostre forze nell'azione apostolica, intesa in tutta la sua portata, secondo la vocazione nostra, i carismi particolari e i bisogni delle persone e della comunità. La preghiera, lungi dal frenare lo slancio dell'azione, ci farà sentire maggiormente il dovere dell'impegno e ci darà forza per affrontarlo con decisione e costanza. La preghiera, unendoci sempre più intimamente a Gesù orante, ci unirà a Lui anche nella dedizione ai fratelli, in primo luogo ai più poveri, che occupano il primo posto nel Cuore del Salvatore.
A nessuno verrà in mente d'accusare S. Pier Damiani di scarso amore per la preghiera. Eppure egli scriveva al prefetto di Roma Cinzio: «State attento che l'impegno dell'orazione privata, alla quale forse cercate di dedicarvi, non vi faccia trascurare l'ordine da mantenere nella popolazione che vi è affidata» (53). La norma data a un pubblico funzionario vale per chiunque abbia responsabilità nella vita di famiglia, nel lavoro, nella pastorale.

17. Dobbiamo pregare: ma che sia vera preghiera. Che non sia soltanto la recitazione meccanica di formule, ma un vero parlare a Dio, secondo la definizione semplice ed essenziale che S. Agostino dà della preghiera: «La tua preghiera è un parlare a Dio. Quando leggi (la Sacra Scrittura), Dio parla a te; quando preghi, tu parli a Dio» (54).
Facciamo pure la tara della nostra debolezza, ma mettiamo tutto il nostro impegno perché la nostra sia veramente preghiera, che sorga dalla fede, da una fede sempre più illuminata, alimentata nella meditazione, nella vita interiore, nel colloquio di amicizia con Cristo.
Questo è il « grido del cuore» in cui consiste, secondo S. Agostino, la vera preghiera. «Quanti fanno risonare la loro voce e nel cuore sono muti! E quanti con le labbra tacciono e col cuore gridano! Come al cuore dell'uomo si piega l'orecchio di Dio, così il cuore dell'uomo deve gridare all'orecchio di Dio. Molti che pregano a bocca chiusa sono esauditi. Col cuore dobbiamo pregare» (55).
È questa la preghiera che libera dall'influsso, a cui tutti siamo esposti, d'un modo di pensare e di vivere opposto allo spirito del Vangelo, dal pericolo d'un conformismo che, con l'illusione di adattarsi al nostro tempo, elimina lo scandalo della croce. È la preghiera che ci mette alla ricerca costante di Dio e ce lo fa incontrare nella vita di ogni giorno, che dà un nuovo significato, autenticamente cristiano, a tutto il nostro sentire agire soffrire.
Preghiera che sia espressione di fiducia e di amore. Quanto mi è piaciuto un pensiero che ho letto in S. Pietro Crisologo! Commenta la perplessità di Giuseppe quando si accorge della maternità della sua sposa e, dice, «pensa di allontanarla, perché non poteva manifestare quello che era avvenuto e neanche nasconderlo». «Cogitat dimittere, et dicit Deo totum». «Dice tutto a Dio, perché non poteva dirlo a nessun uomo. Quia homini quod diceret non habebat». E fa l'applicazione: «E noi, fratelli, ogni volta che abbiamo motivo di turbamento, che l'apparenza c'inganna, impedendoci di conoscere l'intimo pensiero, evitiamo di giudicare, rinunciamo a vendicarci, non pronunciamo nessuna sentenza, dicamus Deo totum» (56).
Quanti problemi potremmo risolvere, quante ansie potremmo alleggerire, se sapessimo «dicere Deo totum». Lo so, grazie a Dio, molti lo fanno: ci sono cose che non si possono proprio dire a nessuno, ma le possiamo dire a Dio. Questa è vera preghiera.
Ma proprio per poter « dire tutto a Dio » con fiducia filiale è necessario che non cerchiamo fuori di Dio l'appoggio sicuro che ci viene solo da Lui. S. Pier Damiani si domanda: «Come si può salmodiare con attenzione nel coro se si è costantemente preoccupati dall'argento che si tiene nelle casse?» (57). Se il denaro, il posto, la carriera, la ricerca di prestigio o di protezioni da parte del potere economico, politico, ecclesiastico, sono i problemi che ci occupano e ci preoccupano, non si vede come sia possibile una preghiera vera e autentica.

18. La preghiera dev'essere concreta. Non bisogna limitarsi a parlare di preghiera in genere. D'accordo: c'è la preghiera del cuore, la preghiera che non ha bisogno di formule come quella di cui dicevamo adesso. Ma di solito per pregare bene è utile che ci aiutiamo con qualche mezzo esterno. Alcuni anni fa in una delle giornate di spiritualità che tenevo ai miei studenti, avevamo scelto come tema la preghiera. Ho voluto porre questa domanda: «Che ne dite delle formule di preghiera?». Non senza sorpresa ho notato che in genere quegli universitari affermavano il valore delle formule, delle pratiche, come aiuto alla preghiera.
Tra le formule di preghiera non ce n'è nessuna che possa paragonarsi con quelle che Dio stesso ha ispirato e che sono affidate alla Bibbia. « Se vogliamo pregare con fiducia e con gioia, è necessario che la parola della Sacra Scrittura sia la solida base della nostra preghiera. È là che ci è detto come Gesù Cristo, la Parola di Dio, ci insegna a pregare. Le parole venute da Dio saranno i gradini del nostro progressivo incontro con Lui» (58).
Mentre, da una parte, le preghiere della Bibbia sono anche oggi, in grandissima parte, di estrema attualità per il singolo cristiano e per la comunità orante, esse ispirano la nostra preghiera insegnandoci che cosa dobbiamo dire al Signore e con quali disposizioni dobbiamo parlare con Lui. «Tra i testi sacri vi è un libro diverso da tutti gli altri libri della Bibbia, perché è un libro che contiene solo preghiere: è il libro dei Salmi... Se la Bibbia contiene anche un libro di preghiere, dobbiamo dedurre che la parola di Dio non è soltanto quella che egli vuole rivolgere a noi, ma è anche quella che egli vuole sentirsi rivolgere da noi, poiché questa è la parola del suo Figlio diletto» (59).
Nei Salmi è Cristo che parla, aveva già osservato S. Agostino, ma non lui solo: con lui parla tutta la Chiesa (60). Mi si permetta di ripetere qui ciò che dicevo presentando un libro che è di valido aiuto a capire questo profondo e vitale significato dei Salmi: «L'animo religioso del nostro tempo, in coloro che prendono sul serio la religione, è assetato di coerenza e di concretezza. Non si capisce più il formalismo, la convenzione, l'atto religioso abitudinario che non scaturisce da una intima convinzione, che non provoca un comportamento conforme a quello che si crede, che si professa, che si esprime nella preghiera.
Le preghiere della Bibbia (e in genere quelle della liturgia, nutrite in massima parte di parola di Dio), rispondono a questo bisogno dell'animo religioso del nostro tempo. Un ritorno ai Salmi, la preghiera ispirata che ha nutrito generazioni e generazioni di pii israeliti, che letta nella Chiesa e capita alla luce dell'ulteriore e piena rivelazione (Costituzione Liturgica, n. 55), ha costituito la delizia dei contemplativi e ha alimentato l'operosità instancabile dei santi che edificarono la Chiesa, è capace ancora oggi di trovare nelle anime risonanze profonde, di educare i cristiani del XX secolo alla pietà più autentica e feconda» (61).
Forse una ragione dello scarso favore che godono i Salmi presso molti, anche sacerdoti, è nei difetti innegabili che si riscontravano finora nella presentazione e nella distribuzione che se ne faceva nel Breviario. La rinnovata Liturgia delle Ore ha in gran parte rimediato a questi difetti. La ripartizione del Salterio in quattro settimane e le essenziali didascalie che indicano il senso storico e quello cristologico-ecclesiale di ciascun Salmo, ci aiutano a fare dei Salmi la «nostra» preghiera, a fare della Liturgia delle Ore il «sacrificio di lode... come sacrificio spirituale in continuità con l'Eucaristia» (62).
Non credo che abbia perso di attualità l'esortazione con cui S. Pier Damiani c'invita a renderci familiare la preghiera dei Salmi. Così egli scriveva a un vescovo: «Quando vai da un posto all'altro, o viaggi, o attendi a qualsiasi affare necessario, le tue labbra dovrebbero sempre ruminare qualcosa delle Scritture e macinare incessantemente i Salmi come si fa in un mortaio, alfine di emettere continuamente un profumo simile a quello delle piante aromatiche» (63).
I Salmi ci aiutano a scoprire in noi stessi certi atteggiamenti di fede che rimangono quasi velati e che nella preghiera del Salmo assumono la loro concretezza, nella lode, nel ringraziamento, nella supplica.

19. Sappiamo bene quali preghiere debbono avere il primato: la Messa, la Liturgia delle Ore. Ma dovremo limitarci a queste? Non vorrei essere troppo esigente nel dire che se il prete non fa anche qualcosa di più difficilmente alimenta lo spirito di preghiera. Per esempio, lo so che è quasi... scandaloso oggi parlare ai preti del rosario, eppure io leggo in uno scritto del p. Rahner: «Quando (il cristiano) avrà appreso che il rosario può essere la preghiera, semplice e nello stesso tempo sublime, della mistica di ogni giorno, e la sua vita spirituale sarà diventata abbastanza ampia e vigorosa per rendersi conto in maniera esistenziale della chiara verità dogmatica e dell'importanza oggettiva, che la Vergine ha per i singoli individui, egli amerà recitare ogni giorno secondo le sue possibilità una parte del rosario e considererà tale recita una piccola parte dell'adempimento del proprio dovere di pregare per la salvezza del mondo. Naturalmente può avvenire che tale sviluppo segua un processo inverso: recitando il rosario si apprende con quale spirito lo si deve recitare» (64).
Avete presente quel che dice il catechismo olandese sul rosario? «Le sue parole sono così belle e così monotone da creare lo spazio di un quarto d'ora per in. trattenerci in silenzio con Dio» (65). E sulla Via Crucis? «È un modo di pregare molto umano e, nello stesso tempo, anche molto evangelico. Infatti quello che nei Vangeli è il punto culminante, la passione del Signore, viene seguito lì passo per passo» (66).
Nella pratica della preghiera è cosa essenziale la fedeltà. Sappiamo bene che in certe circostanze il lavoro impellente obbliga a ridurre il tempo della preghiera, ma l'impegno di fedeltà ci aiuta a dare veramente la dovuta importanza alla preghiera, a non posporre abitualmente la preghiera all'azione, a limitare, occorrendo, l'azione, per non lasciar mancare il nutrimento abituale di preghiera.

20. Sintesi di preghiera e di azione. La sintesi fra preghiera e azione è indicata da S. Agostino con una espressione che ama ripetere nelle sue prediche sui Salmi: cantare con le opere. L'ho già detto e lo ripeto: non solo non c'è contrasto fra il pregare e l'agire, ma la preghiera autentica porta all'azione, e l'azione vera, animata dalla fede, sorge dalla preghiera.
Qui vorrei soltanto rimandarvi alla lettura del n. 14 del Presbyterorum ordinis. A questo riguardo permettete che ripeta qui ciò che ho detto parecchie volte: non sono d'accordo con quelli che ritengono questo decreto conciliare un documento di poco conto, da cui possiamo anche prescindere (come si fa purtroppo non di rado) quando si parla dei sacerdoti e si affrontano i problemi più grossi del sacerdozio.
Sentite cosa ne pensa un teologo, Joseph Ratzinger: «Il decreto sul ministero e la vita sacerdotale è uno dei testi teologicamente più densi e più profondi di tutto il Concilio» (67).
Meno ottimista, giudicando questo documento «fatalmente imperfetto», il p. Congar nota tuttavia che in esso il Concilio ha cercato di «dire ai preti che cosa essi sono e aiutarli così a trovare la loro incomparabile identità». Però si domanda: «Ma l'hanno letto tutti i preti?» (68).
Il p. Lyonnet, parlando a Pianezza a un convegno di biblisti, faceva un'analisi del Presbyterorum ordinis, dimostrando come esso rispecchia con piena fedeltà il pensiero di Paolo.
Leggiamo dunque al n. 14: «Per ottenere questa unità di vita, non bastano né l'ordine puramente esterno delle attività pastorali, né la sola pratica degli esercizi di pietà, quantunque siano di grande utilità. L'unità di vita può essere raggiunta invece dai presbiteri seguendo nello svolgimento del loro ministero l'esempio di Cristo Signore, il cui cibo era il compimento della volontà di Colui che lo aveva inviato a realizzare la sua opera ». Perché, secondo la dottrina familiare a S. Giovanni, « la preghiera del cristiano sarà tanto più conforme alla volontà di Dio, e sicura perciò di essere esaudita, quanto maggiormente, nel suo atteggiamento fondamentale e nelle sue azioni quotidiane, la volontà umana tenderà a coincidere con la volontà divina» (69).
Ciò che il Concilio dice dei presbiteri vale per tutti i cristiani consapevoli della loro vocazione: «Tutti sono chiamati a essere ad un tempo dei contemplativi e degli apostoli. Tutti sono chiamati a ricevere la vita divina e a darla. Tutta la vita di tutti dev'essere ad un tempo raccoglimento e irradiazione, accoglienza e dono: tutta di Dio e tutta di tutti. Perché tutti sono chiamati a partecipare alla vita di Dio nel suo Figlio Gesù, che riceve tutto per dare tutto, che è tutto del Padre e tutto degli uomini nell'unità dello Spirito» (70). Ascoltiamo ancora Madeleine Delbrêl, che indicava così il centro di unità dell'azione apostolica: «Ritrovare nella fede i motivi d'ogni vita missionaria, cioè i due comandamenti di Cristo inseparabili e somiglianti, ma di cui il secondo non è tanto grande, se non perché è la conseguenza del primo» (71).
La preghiera ha significato per Cristo la disponibilità totale, fino al sacrificio di sé per l'adempimento della sua missione, perciò ha avuto il suo compimento sulla croce. «La preghiera ha occupato la vita di Cristo quaggiù; essa costituiva anzi, in un certo senso, tutta la sua sostanza; poiché, in se stesso, Egli era uomo-Dio e, per conseguenza, realizzava nella sua persona unica, la perpetua oblazione di tutta l'umanità alla divinità. Questa preghiera di tutti i suoi istanti, quella delle sue giornate di lavoro e quella delle lunghe notti che passava in orazione sulle montagne, Egli l'ha riunita tutta, e portandola al massimo d'intensità, in un'oblazione suprema in cui s'è offerto interamente. Tutti i suoi atti di amore e di culto, tutta la pietà e la religione ch'Egli arrecava al mondo in se stesso, convergono verso il Calvario e verso il sacrificio della croce» (72). C'è bisogno di dire che anche in ciò Cristo vuol essere il nostro modello, mentre ci offre, nella preghiera e nell'unione sacramentale con Lui, la forza per realizzare un programma troppo superiore alle nostre forze?
Parlando di sintesi fra preghiera e azione converrebbe insistere nel mostrare che la preghiera deve portarci alla pratica illuminata, costante, disinteressata, della carità fraterna, dello spirito di comunione tra noi, con i fedeli, con tutti gli uomini, della solidarietà che ci deve tutti legare e che deve impegnarci di fronte a quel Cristo che si è sacrificato per noi. Mi basti ricordare un chiaro ammonimento del nostro S. Massimo: «Quale sarà l'effetto della nostra preghiera? Chiediamo di essere liberati dal nemico, mentre non siamo liberali con i fratelli. Siamo imitatori del Signore nostro! Se Egli ha voluto che i poveri fossero partecipi con noi della grazia celeste, perché non saranno partecipi con noi delle sostanze terrene?» (73).

CONCLUSIONE

Concludo con un'ammonizione di S. Ignazio d'Antiochia al giovane vescovo Policarpo: «Abbi cura dell'unione, che è la cosa migliore di tutte. Porta il peso di tutti, come il Signore porta il tuo peso. Tutti sopporta nell'amore, come già fai. Attendi incessantemente alla preghiera; chiedi una sapienza maggiore di quella che già hai. Sii vigilante, con uno spirito insonne. Rivolgiti a ciascuno cercando d'imitare Iddio. Prendi su di te le infermità di tutti, come un atleta perfetto. Dove maggiore è la fatica, grande è il guadagno» (74).
Mi sembra che qui sia presentato in maniera ideale il programma di vita del vescovo, del prete collaboratore del vescovo: vigilanza, preghiera e azione, tutto per amore e nell'amore.

Card. Michele Pellegrino

Note

1) Cf. Atti 20, 27-28.
2) A. Ravier, S. Bruno, trad. it., Ed. Paoline, 1970, p. 38.
3) Conf. X,70.
3bis)  2 Cor. 5,14-15.
4) Ravier, op. cit., p. 111.
5) E. Bianchi, «Testimonianze», 1971, n. 130, p. 915.
6) Ibid., p. 924.
7) Serm. LXXII, 58.
8) CXXI-CXXXIII.
9) CXXXIII.
10) «Vita monastica», aprile-giugno 1969, p. 118s.
11) Gv. 5,17.
12) Ibid., 4,6.
13) Ibid., 11,9.
14) Mt. 11,25-26.
15) Gv. 11,41-42.
16) Ibid., 12,27-28.
17) Lc. 6,12.
18) Mt. 7,7-8.
19) Gv. 16,23-24.
20) c. 2.
21) M. Magrassi, Il dialogo che ci salva, Marietti, 1971, vol. I, p. 17.
22) v. 28.
23) 6,13.
24) M. Magrassi, op. cit., p. 80.
25) vv. 18-21.
26) v. 31.
27) v. 34.
28) Atti 20,36.
29) Lc. 22,41.
30) Atti 7,60.
31) Ibid., 9,40.
32) Il testamento pastorale di S. Paolo, Ed. Paoline, 1967, p. 425.
33) Ibid., p. 457.
34) Ibid., p. 459.
35) Ibid., p. 456.
36) Etta Gullick, in «Vie spirituelle», agosto-settembre 1966, p. 190; cf. anche G.-M. Behler, in «Vie spirituelle», marzo 1966, pp. 255-275, sul dovere d'intercessione del cristiano secondo la Bibbia e i Padri dei primi secoli.
37) A. Vaudagnotti, Il Cardinale Agostino Richelmy, Marietti, 1926, p.294.
38) J. Rigaud, in «Vie spirituelle», ottobre 1968, p. 165.
39) Om. 53, pubblicata in Marriott, Harvard Theol. Studies, V, 1918, p.30.
40) E. Mersch, Morale et corps mystique, Desclée de Brouwer, 1949, t. I, p. 123.
41) Nous autres, gens des rues, Seuil, 1966, p. 66.
42) G. Nietzsche, Così parlò Zaratustra, a cura di Barbara Allason, UTET, Torino 1944, p. 177 e p. 196.
43) Il tempo della Chiesa, trad. it., Il Mulino, 1965, p. 412.
44) Au milieu des orages, Ceri, 1969, p. 63.
45) Saggi di spiritualità, Ed. Paoline, 1965, pp. 192-199.
46) Docteurs pour nos temps, Catherine et Thérèse, Lethielleux, 1971. p. 118ss.
47) B. Nardini, a chiusura dell'ultimo volume, Firenze 1966.
48) Le condizioni di un sano rinnovamento, Città Nuova Ed., 1971, pp. 57-59.
49) Cito in «Vie spirituelle», ottobre 1968, p. 162.
50) Op. cit., p. 259.
51) J. A. Jungmann, Christliches Beten in Wandel una Bestand, Ars Sacra, Miinchen 1969, p. 6.
52) Sequela, Queriniana, 21971, p. 143.
53) PL 144,463, cito da J. Leclercq, in Hist. de la Spirito Chrét., Aubier, 1961, t. II, p. 126.
54) Enarr. in Ps. 85,7.
55) Ibid., 119,9.
56) PL 52,588s.
57) Opusc. 24,1, PL 143,488-495, cito da J. Leclercq, op. cit., p. 199.
58) D. Bonhoeffer, Pregare i Salmi con Cristo, trad. it., Queriniana 1969, p. 66.
59) Ibid., pp. 66.68.
60) Tr. in Io. VII,l.
61) S. Rinaudo, I salmi, preghiera di Cristo e della Chiesa, LDC, Torino-Leumann 1966, p. XIII.
62) M. Magrassi, op. cit., p. Il.
63) Cit. da J. Leclercq, op. cit., p. 127.
64) Saggi di spiritualità, Ed. Paoline, Roma 1965, p. 197.
65) P. 381.
66) Ibid., p. 213.
67) Il nuovo popolo di Dio, Queriniana, 1971, p. 420.
68) Op. cit., p. 20.
69) J. Huby, La mistica di s. Giovanni e di s. Paolo, Libr. Ed. Fiorentina, 1950, p. 240.
70) L. Lochet, Fils de l'Église, Cerf, 1954, p. 241.
71) Cito da J. Loew, nell'introduzione a Nous autres, gens des rues, cit., p. 37.
72) E. Mersch, op. cit., p. 123.
73) Serm. LX, 4.
74) I, 3.

 

Letto 5752 volte Ultima modifica il Giovedì, 12 Gennaio 2012 10:28
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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