Formazione Religiosa

Domenica, 24 Febbraio 2013 15:14

I segni di speranza nella vita di Maria (Fausto Ferrari)

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I segni di speranza nella vita di Maria: perché la figura di Maria può essere vista come portatrice di un’idea di speranza.

Miriam è una donna vissuta duemila anni fa. Abitava in un piccolo paese della Palestina. La sua lingua era il dialetto aramaico e conduceva la stessa vita delle sue contemporanee. La storia parla poco delle donne. Ci restano poche testimonianze e pochi ricordi rispetto alle donne. Spesso non si conoscono i nomi. Anche la bibbia ci parla di tante donne, senza ricordarne il nome. Di lei possediamo meno notizie di altre donne dell’antichità: Cleopatra, Aspasia, Lucrezia, Agrippina, Matilde di Canossa, Isabella di Castiglia... Per gli storici, sono tutte ben più famose e degne di studi approfonditi.
A differenza delle poche altre donne di cui la storia ci ha tramandato memoria, non era né moglie o figlia di re né nobile: apparteneva ad una famiglia di umili condizioni.
I vangeli non ci raccontano chi fossero i suoi genitori. Matteo e Luca ci presentano la genealogia di Giuseppe! Attraverso la tradizione apocrifa abbiamo dei nomi (Gioacchino ed Anna), ma di per sé le notizie derivanti dagli scritti del nuovo Testamento non sono molte.
Eppure, nella tradizione è stato ripetuto che de Maria numquam satis (non si dice abbastanza riguardo a Maria). Si tratta di un caso unico nella storia. Che di una donna non ricca, di origini popolari, senza essere moglie di qualche uomo famoso si possa essere detto: numquam satis.
Donna vissuta duemila anni fa. È ricordata perché madre? Possiamo pensare che senza avere avuto quel figlio, sarebbe rimasta sconosciuta? Possiamo considerare che, in fondo, la sua situazione non è diversa da quella di tutte le altre donne del passato, per essere ricordata in quanto in relazione con qualcuno di più importante – un maschio? In questo caso, il figlio e non per quello che ha fatto, per quello che spetta a lei unicamente.
Potremmo certamente fare un po’ di fantateologia (e spesso, rispetto a Maria, se ne è fatta). Ma non avrebbe alcun senso per un credente. Quello che abbiamo di fronte è il mistero di questa maternità. Ed è in questo mistero che dobbiamo cercare di immergerci.
Tutta la vita cristiana è e deve essere cristocentrica. Deve porre Cristo al proprio centro. Tutti noi – maschi o femmine, non importa – («Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù». Gal. 3, 28). A partire da questo punto possiamo capire anche la relazione di Maria con il proprio figlio. La Maria credente viene prima della Maria madre. O, meglio, dobbiamo dire che Maria in quanto madre è la credente. Il modello, il prototipo per ogni credente che si pone in relazione con il Cristo.

Quando si vuole dare un’idea degli affetti più cari, della relazione più profonda, si usa l’immagine della madre rispetto al figlio. Viene naturale pensarla come una delle relazioni più significative. Nel nostro immaginario non c’è altro che possa indicare meglio ciò. L’amore della madre per il figlio lo identifichiamo con l’amore oblativo, un amore forte, generoso.
Eppure ci capita di leggere sui giornali o di vedere alla televisione episodi che ci lasciano sconcertati, fatti che contraddicono quanto detto. Madri che abbandonano i propri figli o che giungono a sopprimerne la vita. Follia? Malattia? Certo, spesso non siamo in grado di giudicare la situazione di quelle persone; quello che abbiamo davanti agli occhi è una affermazione tragica, incomprensibile della morte sulla vita.
Mi è ancora capitato di udire una frase molto drammatica: «Sono contenta che mio figlio sia morto, perché non devo più soffrire». Sono le parole di una madre che racchiudono un’estrema sofferenza di anni e anni; prima nella speranza che il figlio potesse cambiare, che potesse smettere con la sua dipendenza con una sostanza che ne alterava la coscienza e l’esistenza; poi nella disperazione di una situazione che non cambiava e andava peggiorando di giorno in giorno.
Disperazione. Forse non c’è un altro elemento che ci permette di pensare alla disperazione come queste parole pronunciate da una madre, come questi gesti – per un certo verso folli - coi quali una madre pone fine all’esistenza del proprio figlio – o ne desidera la morte. Disperazione non tanto perché non ci siano più speranze quanto perché la morte viene vista come soluzione - l’unica soluzione - a ciò che era stato portato alla vita.
Noi ci rivolgiamo a Maria come alla madre della nostra speranza.
Leggiamo nella Lumen Gentium: «La beata Vergine, insieme con l'incarnazione del Verbo divino predestinata fino dall'eternità quale Madre di Dio, per disposizione della divina Provvidenza fu su questa terra l'alma madre del divino Redentore, compagna generosa del tutto eccezionale, e umile ancella del Signore. Col concepire Cristo, generarlo, nutrirlo, presentarlo al Padre nel tempio, soffrire col Figlio suo morente in croce, cooperò in modo tutto speciale all'opera del Salvatore, con l'obbedienza, la fede, la speranza e l'ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo fu per noi madre nell'ordine della grazia» (61).
Il Concilio riconosce in Maria la cooperazione all’opera del Figlio attraverso la sua obbedienza, la sua fede, la sua carità e la sua speranza. E Benedetto XVI parla di Maria, come «stella della speranza» (1).
Ma ci sono degli elementi concreti, immediati, che danno validità a questo appellativo? È soltanto un titolo onorifico oppure ci sono dei buoni motivi? Proviamo a fare una breve rilettura di alcuni passi evangelici che ne parlano, per cercare di rispondere a queste domande.
«Io penso che non debba essere difficile spiegarsi perché Maria è diventata Madre di Dio. Maria non ha bisogno dell'ammirazione del mondo, come Abramo non ha bisogno di lacrime: perché ella non fu una eroina ed egli non fu un eroe. Ma ambedue divennero ancor più grandi degli eroi non sfuggendo alla sofferenza, all'angoscia e al paradosso lo diventarono mediante queste tribolazioni» (Kierkegaard, Timore e tremore 1843, problema 19; in Opere. p. 71)

1) Maria rischia di essere abbandonata da Giuseppe.
«Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto». (Mt 1, 18-19). La decisione di Giuseppe non sarebbe stata indolore, le conseguenze forse le possiamo immaginare: lo scandalo pubblico, l’allontanamento, forse anche la lapidazione. Come ha vissuto Maria questi tempi di attesa? Come ha vissuto questi mesi di maternità? Tutto tranquillo, tutto nella normalità? Oppure quanti pensieri, quante preoccupazioni... E chi poteva confortarla, in questo suo momento così critico?
«Chi fu grande nel mondo come la Piena di grazia, la Madre di Dio, la Vergine Maria? Tuttavia, come si parla di lei? La sua grandezza non viene dal fatto che fu benedetta fra le donne. Perché, se non ci fosse questo caso strano che coloro che ascoltano siano capaci di pensare in un modo così disumano come quelli che scrivono, allora certamente ogni ragazza potrebbe chiedere: "Perché non sono diventata anch'io la Piena di Grazia?". [...] Certamente Maria mise al mondo il bambino in modo miracoloso, ma durante quell'avvenimento essa fu come le altre donne, e il tempo di quell'avvenimento fu tempo di angoscia, di sofferenza. di paradosso. L'angelo certamente fu uno spirito pietoso, ma non uno spirito compiacente che andasse a dire a tutte le altre vergini d'Israele: "Non disprezzate Maria, il miracolo è sceso su di lei". Invece l'angelo se ne venne solo a Maria, e nessuno poté comprenderla. Eppure quale donna è stata offesa come lei? E in lei, ancora una volta, non è forse vero che colui che Dio benedice, con il medesimo respiro egli anche maledice? Così bisogna comprendere spiritualmente Maria. Ella non è affatto (mi sdegno a dirlo e anche più a pensare alla sciocchezza e alla insipienza di una simile concezione) una bella signora che dà spettacolo giocando con un Dio bambino. Malgrado ciò, quando ella dice: "Ecco. io sono la serva del Signore", è grande» (Kierkegaard Timore e tremore. 1843. problema 1°: in Opere, pp. 70-71).

2) Maria mette al mondo il proprio figlio in una stalla. «Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo». (Lc 2,7). Anche il momento del parto del figlio è segnato dalle difficoltà. Lei che si era precipitato a portare aiuto alla cugina Elisabetta deve ora affrontare la stessa esperienza nella solitudine, nella lontananza da casa.
«Da una donna tu impari anche l'umile fede per quel che riguarda la cosa straordinaria, l'umile fede che non domanda incredula e dubbiosa: ma che crede umilmente, come Maria che dice: "Ecco, io sono la serva del Signore" (Lc 1,38). Maria lo dice: ma guarda, questo dire è in fondo tacere. Da una donna tu impari la vera audizione della Parola, da Maria, la quale, benché "non comprendesse le parole che le furono dette, le conservava nel suo cuore" (Lc 2,51). Dunque, non esigeva di capire prima, ma in silenzio conservava le parole al posto giusto: perché questo è il posto giusto, quando la Parola, il buon seme, è conservato in un cuore buono e perfetto" (Lc 8,15). Da una donna tu impari la preoccupazione silenziosa, profonda e timorosa di Dio, che tace davanti a Dio: da Maria. Perché certamente, com'era stato predetto, "il suo cuore fu trafitto da una spada" (Lc 2.35), ma ella non disperò,  né quando udì la profezia, ne quando Gesù fu crocifisso» (Antologia kierkegaardiana, a cura di C. Fabro, Sei, Torino, pp. 256-257).

3) Maria conosce l’esperienza dell’esilio in un paese straniero. Con la sua famiglia è costretta ad emigrare. «Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode» (Mt 2, 14-15). Una fuga precipitosa, nella notte, verso un paese del quale non si conosce la lingua, le abitudini, i costumi. Ancora affanni da affrontare, solitudine da vivere, lontano dalla propria casa, dai propri parenti, dal proprio villaggio.

4) Maria smarrisce il figlio durante un pellegrinaggio. «I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”». (Lc 2, 41-49).
Proviamo a metterci nei panni della madre quando scopre che il figlio non è nella carovana e che è stato perduto. Pensiamo al viaggio precipitoso di ritorno verso Gerusalemme e alla ricerca per le strade della città. Ed ancora al momento della risposta del figlio, una volta ritrovato. Cosa avremmo fatto noi? Come avremmo vissuto quei momenti?

5) Ad una festa di nozze Maria ha motivi per non comprendere l’atteggiamento del figlio.
«Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno più vino”. E Gesù rispose: “Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora”. La madre dice ai servi: “Fate quello che vi dirà”». (Gv 2, 1-10). A prima vista il comportamento del figlio ci appare strano, sembrerebbe molto freddo nei confronti della madre. Che cosa avremmo fatto noi di fronte ad una reazione del genere? Maria avrebbe motivi validi per non comprendere l’atteggiamento del figlio, eppure...

6) Il figlio lascia la casa e si mette a percorrere le contrade circostanti. «Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e tutti ne facevano grandi lodi». (Lc 4, 14-15). Intorno ai 30 anni il figlio lascia la casa e incomincia a girare di villaggio in villaggio. Tutto tranquillo, per sua madre? Ella ha capito ogni cosa, compreso, lasciato fare? Ma, credo, anche quanta fatica nel cercare di capire. Avere un figlio che intorno ai 30 anni mostra di non avere nessuna intenzione di mettere su casa, mettere su famiglia, ma si mette ad andare in giro a predicare. Credo che per nessuno genitore questa sarebbe una prospettiva indolore.

7) Quel figlio viene considerato posseduto da un demonio e folle dai parenti e dai compaesani.
«Partito quindi di là, andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono. Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: “Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani? Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?”. E si scandalizzavano di lui». (Mc. 6, 1-3). Viene accusato di essere posseduto da uno spirito, da un demonio ed i suoi parenti lo vanno a cercare. Cosa può pensare una madre del cui figlio alcuni pensano e parlano un gran bene, ma del quale, tanti altri , a cominciare dai parenti stessi, non fanno altro che dire male e a trattarlo come un pazzo?

8) Il figlio viene condannato e muore al pari di un malfattore. «Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall'altra, e Gesù nel mezzo. Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala». (Gv 19, 17-25). Sul Golgota abbiamo il dolore di una madre per la morte del figlio. È, questa, un’esperienza sempre gravosa. Ma quel figlio muore condannato a morte come un malfattore, insieme ad altri due malfattori. A quel figlio è stata preferito Barabba: «Questi era stato messo in carcere per una sommossa scoppiata in città e per omicidio» (Lc 23, 19).
«Come Cristo grida: "Dio mio. Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27, 46), così anche la Vergine Maria dovette essere penetrata da una sofferenza che umanamente corrispondeva a quella del Figlio. "Una spada trapasserà la tua anima e renderà manifesti i pensieri di molti cuori": anche del tuo, se oserai credere ancora, se sarai ancora abbastanza umile da credere che tu in verità sei l'eletta fra le donne, colei che ha trovato grazia davanti a Dio» (Kierkegaard, Diario 1854, III, a cura di C. Fabro, Morcelliana, Brescia 1949, p. 92 s.).
«La fede nel figlio risorto e la speranza di rivederlo furono di piena consolazione per Myriam?». È questo l'interrogativo che l’ebreo Flusser intravede nell'animo di Myriam (2).
Come questa madre ha vissuto le vicende estreme del figlio? Quali pensieri ha avuto? Che dolore ha dovuto sopportare? Le vicende descritte dal vangelo, in questa prospettiva ci mostrano il perché Maria possa essere considerata a ragione madre della speranza. Non possiamo dire che le vicende della sua vita siano state chiare, luminose, facili. Ci sono state molte fatiche da affrontare: dolore, solitudini, incomprensioni... Eppure tutti questi elementi negativi, tutte queste esperienze che potrebbero segnare negativamente ed irrimediabilmente l’esistenza di una persona sono state l’itinerario di una fede vissuta nella speranza. Possiamo a ragione scorgere che Maria è stata un’autentica donna di speranza. La speranza ha illuminato questo suo lungo pellegrinaggio nella fede.
«L'angelo trovò colei che ci voleva, perché Maria trovò quel che ci voleva. Certamente Maria era l'eletta, e così era deciso che fosse. Ma vi è anche un momento della libertà, il momento dell'accettazione, da cui appare che si è la persona che si vuole. Se l'angelo non l'avesse trovata quale la trovò, essa, malgrado tutto, non sarebbe stata colei che ci voleva. Maria disse: "Ecco, io sono la serva del Signore, sia fatto di me secondo la tua parola" (Lc 1,38). Siamo tanto abituati a sentire queste parole che facilmente ci lasciamo sfuggire il significato, e perfino ci illudiamo che nello stesso caso noi avremmo risposto allo stesso modo [...]. Saranno le forze dello Spirito Santo che l'adombreranno. Si, va bene; ma appunto il credere in questo modo di diventare un nulla, di essere puro strumento: ecco ciò che supera, a me sembra, le forze di un uomo, più che non lo sforzo supremo delle proprie forze» (Kierkegaard, Diario 1852, II, a cura di C. Fabro, Morcelliana, Brescia 1949, p. 554).

Nel vangelo di Luca troviamo tutta una serie di elementi interessanti: sono le reazioni di Maria di fronte al suo incontro con Dio. Ella si mostra turbata quando l'angelo la saluta: «A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto». (1,29). Mostra le sue difficoltà: «Come è possibile? Non conosco uomo» (1,34). Di fronte all'oracolo del vecchio Simeone, l'uomo giusto e timorato che aspettava il conforto di Israele, non nasconde il proprio stupore: «Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui» (2,33). Non comprende le parole del figlio, una volta che viene ritrovato dopo tre giorni di ricerca e di angoscia, tra i dottori del tempio: «Ma essi non compresero le sue parole» (2,50).
Ma Maria, di fronte ad un mistero che supera la sua comprensione e la sua intelligenza, è capace di non soffermarsi sulle prime impressioni. Essa riflette sul messaggio, sui fatti accaduti. Si domanda che senso abbia per lei il saluto dell'angelo, si interroga sul significato delle parole del vecchio Simeone. La chiave della fede di Maria l'abbiamo in due brevi passaggi di Luca:
1. «Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (1,19).
2. «Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore» (2,51).
Maria ritorna continuamente sul mistero che coinvolge la propria vita, conserva i suoi ricordi e li medita nel suo cuore.
Maria si mostra attenta alla parola di Dio. E pur essendo una parola che sconvolge i progetti personali (la parola di Dio irrompe sempre nella prospettiva umana poiché come ci ricorda il libro di Isaia: «le mie vie non sono le vostre vie») essa si mostra disponibile ad accoglierla.
I vangeli ci mostrano una reazione opposta a quella di Maria. È quella di Giuseppe, lo sposo. Giuseppe ci viene presentato come uomo giusto. Eppure di fronte a questa parola che irrompe nella propria vita, Giuseppe sembra soccombere di fronte all'ansietà, all'angoscia, al dubbio.
«Giuseppe, suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto». Davanti all'evento misterioso della maternità divina Giuseppe non sa come comportarsi. Da una parte vuole uscirne il più in fretta possibile, dall'altra percepisce che non tutto è così semplice. I suoi progetti sono ben lontani dal fiat di Maria.
Le risposte di Maria alla chiamata divina, la visitazione alla cugina Elisabetta, la presentazione di Gesù al tempio sono momenti nei quali protagonista non è solo Maria. Sono atti con cui Gesù agisce attraverso la madre sua: la santificazione di Giovanni, l'offerta di Gesù al Padre suo. Maria, attraverso la sua disponibilità, si fa tramite, prolungamento, dell'opera del Figlio. «Così tu rimani in mezzo ai discepoli come la loro Madre, come Madre della speranza» (3).
La madre è la donna di fede. Fedele alla parola che ha ricevuto. Parola serbata nel proprio cuore, meditandola. E questa fedeltà prosegue anche durante la vita pubblica del figlio. Una fedeltà che si esprime nel silenzio e che continua ad essere presente ai piedi della croce. Forse non c'è nulla che esprime meglio del silenzio l'esperienza della fede di Maria. Una fede che non si esaurisce nel sì pronunciato all'angelo, ma che si fa storia nella vita di tutti giorni, nel silenzio prolungato, meditato della sua esistenza.
Maria è la prima credente, colei che accoglie la parola e la conserva. È questo l'aspetto più importante per ogni credente: la capacità di conservare nel proprio cuore la parola di Dio. Essa è ben lontana da quei pagani che credono di farsi sentire a forza di parole: «Pregando non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole» (Mt 6,7). Il serbare nel cuore vale più di tutte le parole moltiplicate perché l'atteggiamento che conta di fronte a Dio è quello del cuore e non quello delle labbra.
Maria è stata definita pellegrina nella fede. Con questa espressione si intende che anche per Maria la fede è stata un’esperienza, un cammino durato tutta la vita. Un cammino attraversato dalle più diverse prove, che ha dovuto misurarsi con le difficoltà ed i dubbi, con «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce». Allo stesso di tutti gli altri uomini e di tutte le altre donne. La fede non come una cosa data per sempre, ma come un continuo farsi quotidiano. Nonostante le varie esperienze e prove, però, per Maria è sempre stato un cammino nella fede.
Attraverso il proprio fiat ella si è conformata al figlio, a Cristo. C'è un parallelo tra il "sì" di Maria e quello che il Padre ha pronunciato attraverso il Cristo. S. Paolo nella seconda lettera ai Corinzi dice: «Tutte le promesse di Dio in lui (in Gesù Cristo) sono diventate "sì". Per questo sempre attraverso lui sale a Dio il nostro Amen per la sua gloria». Il "sì" di Dio, la sua fedeltà alle promesse è espressa con pienezza in Gesù Cristo. A questo "sì" di Dio nei confronti degli uomini corrisponde il "sì" di Maria, la sua disponibilità ad entrare nella storia della salvezza.
Possiamo avere diversi modi di accostarci alla figura di Maria, tutti legittimi. Possiamo vedere Maria come icona, come modello, come esempio, come oggetto di devozione, come perfezione, come bellezza, come armonia, come credente, come madre, ecc. Le litanie mariane sono un’espressione di questa modalità di vedere Maria da parte della comunità cristiana.
Pensare a Maria come a nostra contemporanea  non vuol dire rappresentare un bel quadretto folcloristico. Ci permette invece di capire quale debba essere il nostro modo di accostarci a Maria, la prima credente. A partire dalla nostra vita quotidiana, dalle nostre difficoltà e dalle nostre esperienze più belle possiamo incamminarci su quella strada che è la sequela di Gesù, il Figlio, con lo stesso passo della Madre.
I Padri della Chiesa hanno spesso affermato che ciascun discepolo deve dare alla luce il Cristo. Ciascuno può generare il Cristo non attraverso una maternità fisica, ma attraverso quell’unica maternità spirituale che è farsi discepoli del Figlio. Maria ne è stata la prima e l’esemplare come discepola. Per questo è anche colei che ha generato il Figlio nella carne.
È stata questa capacità di meditare sulle cose e di saperle conservare nel silenzio che ha permesso a Maria di aprirsi a Dio. Questo suo atteggiamento ci fa scorgere che le vicende che si susseguivano, pur difficili prove, potevano essere vissute nella pace e nella serenità.
E così, Maria la possiamo incontrare in quei momenti in cui qualcosa di nuovo va crescendo; come lei possiamo diventare discepoli e avviarci sulla strada della sequela del Figlio.
Maria è presente quando il Messia pianta la sua tenda e viene ad abitare in mezzo a noi. Nella sua risposta scorgiamo il segreto della sua vita e l’atteggiamento di chi può essere testimone del Figlio: «Ecco l’ancella del Signore: si faccia di me secondo la sua parola» (Lc. 1,38).
Maria è presente accanto a Gesù all’inizio della vita pubblica del figlio. Ella si presenta donna attenta alle vicende e pronta a prendere iniziativa senza aspettare da altri. «Fate quello che vi dirà» (Gv. 2,5). In queste parole possiamo ritrovare un’indicazione per ciascuno che voglia essere discepolo del Figlio.
Al momento della morte sulla croce, Maria diventa madre di un altro figlio: «Questa è tua madre; questo è tuo figlio» (19,27). In lei vediamo l’immagine della Chiesa, madre di molti figli.
Questa immagine la ritroviamo al momento della Pentecoste (At. 1,14), quando Maria è in preghiera con gli apostoli e in attesa dello Spirito.
Oggi, in un tempo che si rivela il tempo della fine di un’epoca, ci sono molti motivi per scorgere intorno a noi i segni di una catastrofe. Eppure con Maria possiamo scorgere i segni di speranza che tuttavia sono presenti nel nostro tempo e nel nostro mondo. Possiamo trovare in lei e nella sua singolare esperienza l’atteggiamento fiducioso che sa superare possibili stanchezze e scoraggiamenti.
A Maria, «segno di sicura speranza e consolazione del popolo di Dio in cammino» (LG 68) possiamo affidare il nostro cammino di oggi e di domani.

Maria,
Madre della speranza,
a Te con fiducia ci affidiamo.
Con Te intendiamo seguire Cristo,
Redentore dell'uomo:
la stanchezza non ci appesantisca
né la fatica ci rallenti,
le difficoltà non spengano il coraggio
né la tristezza la gioia del cuore.
Tu Maria,
Madre del Redentore
continua a mostrarti Madre per tutti,
veglia sul nostro cammino
e aiuta i tuoi figli,
perché incontrino, in Cristo,
la via di ritorno al Padre comune!
Amen.  (Giovanni Paolo II)

Fausto Ferrari

Note

1)  Spe salvi, 49.
2) Flusser ha dedicato a Myriam uno scritto specifico, breve, intitolato: Mary. Images of the Mother of Jesus in Jewish and Christian perspective, Fortress Press, Philadelphia 1986, p. 47.
3) Spe salvi, 50.

 

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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