Formazione Religiosa

Sabato, 02 Ottobre 2004 17:43

I Sacramenti - L'eucarestia

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Cristo è il "Signore della cena" che convoca i suoi ospiti dalle strade e dai crocicchi, perché essi possano godere dell'ospitalità e assaporare il nutrimento che egli gli offre.

1. L’eucaristia nei vangeli sinottici

Ognuno dei primi tre Vangeli riferisce che durante la cena, nella notte che precedette la sua morte, Gesù prese del pane e del vino e li offrì ai suoi discepoli dicendo: "Questo è il mio corpo che è dato per voi. Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue che viene versato per voi. Fate questo in memoria di me" (Lc. 22,19-20; Mc. 14,22-24; Mt. 26,26-28). Le tre narrazioni evangeliche dell’ultima cena differiscono leggermente nel riportare le parole di Gesù, un fatto che di solito viene attribuito all'uso continuato che si faceva delle parole di Gesù nelle prime celebrazioni cristiane dell'Eucaristia. Quando finalmente gli scrittori hanno fissato le loro narrazioni, le varie descrizioni della cena dimostrano come già alcune comunità avevano inteso con sfumature diverse l'azione che Gesù aveva lasciato loro come il grande memoriale delle ultime ore della sua vita.

Nel Vangelo di Marco le parole pronunciate sopra il calice sono più dirette: "Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza" (Mc. 14,24). Questa formula riecheggia quasi fedelmente le parole di Mosé (Es. 24,8), quando egli suggellò con un rito l'alleanza del Signore con Israele spruzzando il sangue degli animali offerti in sacrificio sopra l'altare e sopra il popolo radunato ai piedi del Sinai, Questo ci fa capire che Marco ha scritto per una comunità che interpretava il sacrificio eucaristico come parte di m sacrificio che ratificava l'alleanza tra Dio e il nuovo Israele. Per cui l'eucaristia porta a compimento i sacrifici dell'Antico Testamento, e rappresenta l'atto con cui il Nuovo Popolo di Dio viene radunato e consacrato nuovamente a Dio per tutta la vita, nell'amore e nell'alleanza.

La relazione del vangelo di Luca, invece, dà maggiore importanza al nuovo patto, e mette in luce il significato redentivo del corpo e del sangue di Gesù ("… dato per voi versato per voi). Questa concezione di Luca colloca l’eucaristia sullo sfondo del grande messaggio di redenzione proclamato nei capitali 40-55 del profeta Isaia. Un nuovo Servo deve stabilire una nuova alleanza tra Dio e gli uomini (Is. 42,6; 49,8; 54,10), e le benedizioni di questa nuova relazione sono strettamente collegate con le sofferenze del Servo e con la sua morte come un martire a favore del suo popolo (Is. 53). Perciò la tradizione che fa da sfondo al vangelo di Luca vede nell'eucaristia un'espressione della disposizione di Gesù a morire per il genere umano. Le parole e i gesti sul pane e sul vino esprimono chiaramente questa idea fondamentale di Gesù: "Non sono venuto per essere servito, ma per servire, e per dare la mia vita in riscatto per molti" (Mc. 10,45). Ciò che egli ha compiuto a cena con il pane e con il vino è una drammatica rappresentazione del significato della morte violenta che doveva subire il giorno dopo. Sulla croce il suo corpo fu spezzato e il suo sangue versato per gli altri, perché essi potessero vivere circondati dalle benedizioni della misericordia di Dio e nell'amore di predilezione della nuova alleanza. Il mandato di Gesù "fate questo in memoria di me", illumina ulteriormente il significato dell’eucaristia. Di nuovo viene rievocato un grande tema biblico sia nelle parole stesse come nella celebrazione della cena nella settimana della Pasqua di Israele. La cena Pasquale era la celebrazione familiare in cui i giudei commemoravano la loro liberazione dall'Egitto e dalla schiavitù. Essi mangiavano l'agnello pasquale ogni anno, nella convinzione che essi, gli israeliti delle successive generazioni, venivano così ammessi a godere dell'amore e della benevolenza che Dio continuava a mostrare verso il suo popolo eletto. La cena pasquale era un’occasione per rievocare e rendere attuale la liberazione di Israele dalla schiavitù. Ma era anche qualcosa di più, perché i giudei vedevano in essa un rito che riassumeva la grande opera di misericordia del Signore, destinato a incidere nella vita delle future generazioni.

Di conseguenza la ripetizione della celebrazione eucaristica nella Chiesa, commemora gli ultimi avvenimenti della vita di Gesù, specialmente la sua morte per gli altri. Le parole e i gesti sono un’espressione drammatica del significato della sua morte per stabilire una nuova alleanza. Perciò dobbiamo vedere nell'eucaristia il grande sacramento del rinnovamento dell'alleanza, che rievoca la morte di Gesù per noi, perché possiamo prendere parte con maggior pienezza alle benedizioni dell'alleanza e godere della vicinanza e della predilezione di Dio.

2. L'insegnamento del Vangelo di Giovanni sull'eucaristia

Il iv Vangelo fa sovente riferimento ai "segni" operati da Gesù (cfr. Gv. 2,11; 20,30). Questi consistevano, anzitutto, nei suoi miracoli come il cambiamento dell'acqua in vino a Cana, e la guarigione dell'uomo afflitto dalla cecità fin dalla nascita. Ma i segni erano anche i grandi mezzi espressivi con cui Gesù era solito illustrare il suo messaggio, come l'immagine della nuova nascita (3,3-8), dell'acqua viva (4,10-15), della luce (9,5) e del buon pastore (10,11-15). Il segno più strettamente collegato con l’eucaristia è "il pane di vita" di cui Gesù ha parlato nel capitolo vi, dopo che aveva sfamato più di 5000 persone sulla riva del lago.

Nella prima parte del suo discorso (6,35-50) Gesù fa solo degli accenni all'eucaristia, poiché il suo scopo principale è di dimostrare che le sue parole e la sua dottrina sono la nuova manna con cui Dio intende nutrire il suo popolo. Egli rimprovera l’incredulità degli ebrei perché si privano di un nutrimento vitale. "Chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete" (6,35). Il versetto 51 apre la seconda parte del discorso, dove "il pane di vita" è ora la sua carne data per la vita del mondo. L'attenzione si è spostata sul corpo di Gesù, che egli deve sacrificare con la morte per dare al mondo il nuovo dono della sua vita eterna. Le parole che seguono mettono in evidenza due aspetti importanti dell'eucaristia.

Chi riceve l'eucaristia, ossia chi mangia il suo corpo e beve il suo sangue, riceve il dono di un'intima partecipazione alla vita del Cristo vivente: "La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui" (6,55s.). C'è il dono della vita, questo è chiaro, ma si tratta di una vita di reciproca amicizia e intimità con Cristo. Non è un dono passeggero, ma duraturo; non è una relazione unilaterale, ma reciproca; non solamente fisica, ma personale e spirituale. Ci viene in mente l'affermazione di Gesù: "lo sono venuto perché essi abbiano la vita, e l'abbiano abbondantemente" (Gv. 10,10). Per cui il iv Vangelo ci riporta al centro del mistero eucaristico, dove le nostre spiegazioni sono tremendamente insufficienti per spiegare la realtà, e a noi non resta che pregare e meditare sopra le parole di Gesù sulla vita che egli ci comunica con l'Eucaristia.

Un'altra importante prospettiva viene aperta dalle parole. "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno" (6,54). L'eucaristia è talmente sublime che ci porta, dopo la morte, alla risurrezione nella vita eterna. È promessa e garanzia del dono della vita futura più piena che ci è riservata. È un seme di vita che viene piantato ora, i cui frutti si raccoglieranno nella nostra vita risorta e rinnovata in Dio per l'eternità. Di conseguenza i cristiani hanno sempre esperimentato il loro incontro con Gesù eucaristico come fonte profonda di rinnovata speranza. Nella celebrazione e nella recezione dell'eucaristia, il popolo cristiano viene configurato come il popolo della speranza, che guarda al futuro con lo sguardo sicuro di chi intravede un traguardo sicuro. La morte, ultimo nemico, verrà sconfitta. L’eucaristia ci offre un elemento di sicurezza che ha la sua radice in Cristo, e può liberarci dalle nostre eccessive preoccupazioni di voler legare la nostra sicurezza ai possessi ed alle conquiste che possiamo accumulare in questo mondo.

3. L'insegnamento di s. Paolo sull’eucaristia

In due passi della prima lettera indirizzata ai Corinti, s. Paolo risponde a dei problemi sorti tra i cristiani, raccomandando di vedere i loro obblighi cristiani alla luce di ciò che essi fanno durante la celebrazione eucaristica.

Nel capitolo x, s. Paolo porta un argomento decisivo per dimostrare che i cristiani non dovrebbero prendere parte al culto degli idoli (10,4) e neanche alla mensa ed ai sacrifici dei pagani. Il problema ebbe origine dal culto alla dea Afrodite, allora fiorente nella città di Corinto. Paolo afferma categoricamente che questo è incompatibile con la celebrazione cristiana della Eucaristia: "Non potete bere il calice del Signore e il calice dei demoni. Non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demoni" (10,21). La radice di questo argomento è che queste sono forme di devozione che si escludono a vicenda e non possono stare insieme. Con un’espressione incisiva, Paolo ricorda ai destinatari della sua lettera che l'eucaristia li ha inseriti in una relazione di intimità con il Signore. "Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo?" (10,16). Il partecipare alla celebrazione del corpo e del sangue di Cristo è, quindi, un atto di fedeltà verso di lui, e non ammette nessun compromesso nella vita sociale della città in cui vivono.

Nel capitolo seguente, s. Paolo prende in esame un serio problema che era sorto per le divisioni e il disinteresse per i poveri della comunità. Per dimostrare il loro errore Paolo riferisce il racconto tradizionale delle parole e dei gesti di Gesù nell'ultima cena. I cristiani di Corinto conoscevano bene questo racconto, perché lo sentivano leggere ogni volta che celebravano l'eucaristia. Ma Paolo, vuole che essi meditino mettendolo in rapporto con la loro tendenza a far chiesuole e la loro mancanza di carità. Essi dovrebbero esaminarsi (11,28), per rendersi conto che essi stanno mangiando e bevendo indegnamente la cena del Signore (11,27).

Il motivo di questa loro indegnità non deriva dalla mancanza di fede nella presenza di Cristo, ma dal loro contrasto con la mentalità di Cristo espressa nella celebrazione eucaristica. Che differenza tra il loro spirito settario e la disposizione dimostrata da Cristo nell'offrire il suo corpo e il suo sangue per loro! Paolo mette l'eucaristia nella più stretta relazione possibile con la morte di Gesù: "Ogni volta che voi mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga" (11,26). Questo sacramento che colloca la morte di Cristo al centro della vita della comunità cristiana di Corinto non può non avere delle conseguenze. L'atteggiamento di Gesù, lo spirito di dedizione del Servo di Dio vengono espressi nell’eucaristia in modo da sollecitare i cristiani a conformarsi al dono disinteressato che egli fa di se stesso. Se essi insistono nel loro spirito settario, essi celebrano l'eucaristia indegnamente. La loro unità è radicata nell'eucaristia: "Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane" (10,7). Ma essi devono mantenere e incrementare la loro unione per crescere sempre più nell'imitazione dell'atteggiamento di Gesù che essi possono scoprire confrontandosi nella stessa eucaristia.

4. La comprensione dell’Eucaristia nei vari periodi del cristianesimo

Siccome la risurrezione ha trasformato l'umanità di Cristo per fare di lui "uno spirito datore di vita", i primi cristiani con una certa facilità pensavano a lui come se fosse presente e attivo in mezzo a loro. Essi hanno spesso parlato dell’eucaristia come di un solenne banchetto in cui Cristo era presente in mezzo a loro, come ospite e si prendeva cura degli invitati. Cristo è il "Signore della cena" che convoca i suoi ospiti dalle strade e dai crocicchi, perché essi possano godere dell'ospitalità e assaporare il nutrimento che egli gli offre. Siccome il Cristo della gloria era anche pienamente uomo, egli poteva benissimo offrire preghiere e sacrifici a Dio come rappresentante di tutta l'umanità. Perciò il personaggio principale delle prime celebrazioni dell'eucaristia è proprio il Cristo sommo sacerdote, che fa da mediatore presentando al Padre le preghiere di ringraziamento e di lode elevate dai cristiani.

Oltre a questa presenza di Cristo che opera come Signore e sommo sacerdote, i primi cristiani avevano coscienza del cambiamento che si verifica nel pane e nel vino attraverso la preghiera di benedizione pronunciata nella celebrazione eucaristica. Tuttavia non si discuteva molto né si metteva in risalto la presenza di Cristo come cibo nella cena eucaristica. S. Giovanni Crisostomo, vescovo di Costantinopoli nel IVsecolo, passò immediatamente dalla considerazione della presenza di Cristo ad accentuare la conseguenza della ricezione dell’eucaristia : "Infatti che cos'è il pane? Il corpo di Cristo. E cosa diventano quelli che vi partecipano? Il corpo di Cristo, vale a dire non molti corpi, ma un solo corpo... Egli ha dato a tutti la possibilità di parteciparvi, perché mangiando di questa carne e liberandosi delle antiche scorie del peccato, noi possiamo unirci insieme attorno alle realtà vere ed eterne". Nei secoli successivi dell'antichità, i cristiani hanno perso il senso dell'umanità glorificata di Cristo, e si sono concentrati quasi esclusivamente sul fatto che egli era il Verbo eterno di Dio incarnato. Gradualmente l'attenzione si spostò dall'attività di Cristo nell’eucaristia al fatto della sua presenza divina. Nel secolo xi sorsero delle controversie sul modo della presenza del corpo e del sangue di Cristo come alimento. La dottrina successiva della Chiesa ha accentuato perciò la realtà del cambiamento, o conversione del pane e del vino, e questo spinse i teologi medioevali ad elaborare complicate spiegazioni per spiegare la presenza di Cristo.

A. Riforma

Durante la Riforma del xvi secolo scoppiò una violenta controversia contro la consuetudine di permettere ai laici la ricezione dell'eucaristia solo sotto le specie del pane. Lutero accusò la Chiesa di voler introdurre un abuso nella pratica istituita da Cristo, che aveva raccomandato di mangiare e di bere. Inoltre Lutero attaccò l'idea dei cattolici che l'eucaristia fosse un'azione in cui i celebranti avessero un ruolo attivo nell'offrire il sacrificio a Dio, il sacrificio di Cristo e il loro proprio. La grande preoccupazione di Lutero era che il popolo riprendesse a fare l'esperienza della grazia e del perdono di Dio, quando questo viene loro elargito nell'eucaristia. Essi non dovrebbero essere attivi né offrire nulla, ma piuttosto prestare ascolto con fede viva alle parole con le quali Cristo viene loro incontro per offrire loro il perdono dei peccati ottenuto con il sacrificio del suo corpo e del suo sangue sulla croce.

Sempre nella Riforma, Zwinglio e Calvino hanno mosso obiezioni contro la trasformazione del pane e del vino nel vero corpo e sangue di Cristo. Entrambi hanno sottolineato, piuttosto, la presenza spirituale di Cristo nel cuore di coloro che hanno mangiato e bevuto facendo un vivo atto di fede nell'opera redentiva di Gesù. Lutero invece è stato uno strenuo difensore della presenza reale di Cristo.

La risposta cattolica alla Riforma si riferì ai tre punti attaccati dai capi della Riforma. Essa ha affermato che la comunione sotto un sola specie è una comunione completa, perché Cristo è pienamente presente sotto una qualsiasi delle due specie. Inoltre la Chiesa riaffermò con fermezza che essa aveva ricevuto da Cristo l'autorità di fissare le modalità per la ricezione dell'eucaristia come per l'amministrazione degli altri sacramenti.

Il concilio di Trento ha definito come verità fondamentale della fede che il sacrificio unico ed esauriente di Cristo si attualizza di nuovo nella Chiesa. Ciò che è stato offerto in forma cruenta sul Calvario, è presente sotto forma di offerta incruenta nell'eucaristia.

Rispondendo a Zwinglio e Calvino, il Concilio ha definito che il pane e il vino vengono misteriosamente trasformati nel vero corpo e nel vero sangue di Cristo. Per cui gli elementi consacrati possono essere venerati e anche adorati. E ancora, dopo la celebrazione, il corpo del Signore può essere conservato nel tabernacolo, in modo che si possa portare la comunione agli ammalati, e i fedeli possano pregare alla presenza di Cristo presente nell'eucaristia.

Nel nostro secolo l'acredine della discussione della Riforma sta diminuendo, e il grande scandalo della divisione sopra il sacramento dell'unità si sta gradualmente riducendo. La dottrina cattolica sull'eucaristia sta passando dall'insistenza posta sul dogma della presenza reale, alla ripresa e al ricupero dei molteplici e validi aspetti dell'eucaristia rivelati dalla Scrittura e dalla nuova teologia.

5. La presenza di Cristo nell'eucaristia

Noi partiamo dalla convinzione che Cristo è ora asceso a una vita di gloria imperitura. Con la sua risurrezione la sua umanità è stata rivestita di poteri nuovi per stare vicino a noi: "È stato seminato nella debolezza e risorge nella gloria. Si è seminato un corpo debole e risorge pieno di forza... L'ultimo Adamo (Cristo) divenne spirito datore di vita" (1 Cor. 15,43-45). La risurrezione, operata per virtù di Dio, ci introduce nel complesso mistero della presenza e della comunicazione di Cristo con il suo popolo.

Nell'eucaristia, Cristo è presente ed esercita la sua influenza nella parola che ci rivolge attraverso la Scrittura e la predicazione. Egli è presente nel sacerdote che presiede l'eucaristia per raccoglierci, guidarci nella preghiera e portare la nostra preghiera a Dio. Cristo è presente nell'intera comunità raccolta nel suo nome. Per mezzo suo questa comunità del popolo di Dio trova accesso a Dio per rivolgergli la parola d'amore di "Padre" che Gesù ci ha insegnato. Così, a imitazione dei primi cristiani, anche noi professiamo in molteplici modi la presenza attuale di Cristo come Signore e sommo sacerdote nella celebrazione dell’eucaristia. È lui che ci raduna; è lui che ci associa al sacrificio della sua morte riattualizzata in questo memoriale vivente.

Nella prospettiva di questa attuale presenza di Cristo, si inserisce la presenza "somatica" o "sostanziale" di Cristo come cibo offerto per noi. Questa convinzione si fonda sulle chiare parole di Gesù: "La mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda" (Gv. 6,55), e sulle conseguenze sorprendenti che ha tirato S. Paolo: "Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il sangue del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore" (1 Cor. 11,27). Nell'azione eucaristica, il Cristo risorto assume gli elementi del pane e del vino nella proprio identità personale, e li rende, da quel momento in poi, l'espressione e il mezzo per conferire ai suoi seguaci il dono del suo corpo e del suo sangue di martire sparso per noi. Il fine e la realtà del pane e del vino sono cambiati; con le parole e i gesti di Cristo questi elementi acquistano un nuovo significato e una nuova identità: Cristo, è totalmente a nostra disposizione con la sua presenza e con il suo amore.

Di conseguenza Cristo, in forza dei poteri spirituali della sua vita di risorto è presente sia attualmente e sia corporalmente, nei doni e nel rito dell'eucaristia.

6. L’azione centrale nella celebrazione dell'eucaristia

L'azione centrale dell'eucaristia è soprattutto il memoriale della morte e della redenzione di Gesù per noi. Come la Pasqua di Israele celebrava il passaggio del popolo dalla schiavitù alla libertà, così l’eucaristia celebra il passaggio di Gesù alla sua nuova vita di risorto.

Tuttavia questo memoriale non si riduce semplicemente al fatto che noi pensiamo e meditiamo su quanto ha compiuto il Signore. Il suo comando è che noi lo ripetiamo come una viva riattualizzazione di ciò che egli ha fatto durante la cena. Nel cuore della celebrazione eucaristica c'è un gesto drammatico fortemente espressivo della sua morte per noi. Noi non commemoriamo la cena, ma l'offerta del suo corpo e del suo sangue in nostro favore. Perciò l'atto commemorativi che viene celebrato riporta in mezzo a noi il sacrificio di Cristo. Il Cristo vivente è in mezzo a noi per rendere attuale nella nostra vita il grande mistero della sua morte.

La forza dinamica di questo memoriale dell'eucaristia è di farci assumere lo stesso atteggiamento di offerta e di disinteressata dedizione a Dio. Già abbiamo visto come tutto questo era implicito nell'argomento portato da s. Paolo nella prima lettera ai Corinti. I cristiani proclamano la morte di Cristo, e lo stile di vita delle loro comunità dovrebbe essere modellato su Cristo che muore per gli altri.

Nell’eucaristia Cristo cerca di associare il suo corpo, la Chiesa, all’offerta che egli, come capo, presenta sulla croce. È questo lavoro di assimilazione che in definitiva anima il nostro spirito di preghiera nella celebrazione dell'eucaristia.

7. La preghiera della Chiesa nella celebrazione eucaristica

Il centro della liturgia eucaristica è la grande preghiera della "consacrazione" che incomincia con l'invito: "Rendiamo grazie al Signore nostro Dio" e continua fino all'offerta culminante, "per, con e in" Cristo, di ogni onore e gloria a Dio Padre. La preghiera della consacrazione, o la preghiera eucaristica, è derivata dai canti solenni che accompagnavano le varie parti della cena pasquale di Israele. Il capofamiglia rendeva grazie a Dio ricordando con riconoscenza la misericordia che egli aveva dimostrato verso il suo popolo. Così gran parte delle preghiere della consacrazione aveva un carattere narrativo perché esse esaltavano con gioia i grandi avvenimenti della storia di Israele. La preghiera eucaristica cristiana rende grazie e lode al Padre per la sua benevolenza che ha raggiunto il suo vertice nella venuta di Cristo. Il momento culminante è la narrazione delle parole e dei gesti di Gesù nell'ultima cena, in cui egli ha espresso il significato e l'importanza della sua morte imminente. Questo non è un elogio della caduta di un leader, ma un'esultante celebrazione del passaggio di Gesù alla gloria della risurrezione attraverso la morte. Gran parte delle preghiere eucaristiche gettano uno sguardo avanti per esprimere la nostra ansiosa attesa per il completamento dell'opera di Cristo che avverrà quando egli apparirà alla fine dei nostri giorni.

Così la formulazione della nostra preghiera dà alla celebrazione eucaristica un continuo orientamento verso Dio Padre, al quale ci rivolgiamo presentandogli la nostra gratitudine. Cristo è il nostro mediatore presso il Padre, e noi ci sforziamo di associare noi stessi allo spirito di dedizione con il quale egli si offre a Dio.

La preghiera eucaristica si adegua strettamente al memoriale della morte e dell'esaltazione di Gesù. Essa dà una forma concreta all'offerta che i cristiani fanno di se stessi associandosi all’offerta di Cristo. In questo modo la preghiera eucaristica è la forma in cui il sacrificio di Cristo si rende presente e visibile nella liturgia del popolo sacerdotale di Dio che è chiamato a "proclamare le opere meravigliose di colui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce" (1 Pt. 2,9).

All'interno, nella preghiera eucaristica, un'altra preghiera di grande importanza è l'epiclesi, o l'invocazione dello Spirito Santo sopra gli elementi del pane e del vino. La Chiesa prega perché lo stesso Spirito che ha operato la creazione (Gen. 1,1), possa operare la trasformazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo. Le diverse forme di questa preghiera, inoltre, invocano lo Spirito sopra il popolo riunito in assemblea, perché possa diventare quello che professa, cioè "un sacrificio vivente, santo e gradito a Dio" (Rm. 12,1). Infatti, in definitiva, noi celebriamo l'eucaristia "nello Spirito Santo", cioè come un popolo battezzato dall'unico Spirito per formare un solo corpo (1 Cor. 12,13), e autorizzato dallo stesso Spirito ad avvicinarsi a lui chiamandolo "Abba, Padre!" (Rm. 8,15).

8. Importanza della celebrazione eucaristica domenicale

L'osservanza regolare del "giorno del riposo" corrisponde a necessità fisiche e personali di ogni adulto. Abbiamo bisogno di uscire dal giro monotono dei nostri progetti meschini e dalla ricerca programmata dei nostri obiettivi immediati. La domenica è il giorno in cui dobbiamo aprirci ai livelli più profondi di una realtà che non possiamo controllare, ma solamente ricevere come puro dono di una presenza e di un arricchimento gratuito. La domenica è il giorno in cui personalmente mettiamo a fuoco nel silenzio il nostro senso di apertura verso gli altri, nel quale Dio si accosta a noi e ci invita a prestare attenzione, a meditare, e a prendere possesso dei suoi doni di libertà, di vocazione e di vita nuova.

Il primo giorno della settimana è così importante, perché in esso Gesù risorse dai morti come il primogenito della nuova creazione. Ogni domenica è "una piccola Pasqua", un giorno che immerge la nostra vita nella luce del Cristo risorto. Il Cristo risorto è la realtà più profonda e più personale su cui converge la vita dei cristiani, e della quale essi si sforzano di trarre alimento ogni domenica.

La domenica è anzitutto il giorno della commemorazione eucaristica, che celebra nella gioia il passaggio di Gesù dalla morte alla nuova vita nella gloria. Siccome questo passaggio è avvenuto per opera e intervento di Dio, noi dobbiamo accostarci a questo mistero con spirito di apertura e di gratitudine. Non possiamo produrre o sostituire o proporre l'alternativa di un altro centro alla fede cristiana. La nuova creazione di Dio incominciò con la creazione di suo Figlio che si è sottoposto a una morte obbediente per salvarci. In questo senso il punto focale della domenica cristiana è la realizzazione del fine ultimo dell'opera di Dio nella nuova vita di gloria che ora Cristo possiede e che irradia sul suo popolo nel mondo intero.

E, infine, la domenica è il giorno in cui noi guardiamo per un momento al nostro futuro destino su cui poggia la nostra speranza. La partecipazione all'eucaristia ci fa gustare in anticipo quell'unione definitiva con Dio che i profeti descrivono come una festa sul monte del Signore (Is. 26,6-8). Gesù parlò della salvezza finale come "un sedersi a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli" (Mt. 8,11). Così la partecipazione alla mensa eucaristica del Signore è un dono di Dio che anticipa la comunione finale e completamente appagante con Dio nell'eternità.

I cristiani fin dall'inizio hanno celebrato la morte del Signore "fino alla venuta" (1 Cor. 11,26). La celebrazione eucaristica un tempo suscitava preghiere di ansiosa attesa "Vieni, o Signore". Il nostro sguardo non è rivolto al passato, ma al grande movimento della storia, mentre noi percorriamo l'arco di tempo che va dalla risurrezione di Cristo fino alla sua manifestazione finale come Signore e giudice. In questo modo noi possiamo comprendere come tutta la storia dell'uomo si identificherà un giorno con la storia personale di Cristo, e la nostra preghiera eucaristica spera che un giorno tutto questo si possa avverare. La domenica, giorno di riposo e di culto, noi cerchiamo di pregustare questa realtà e di ancorare più saldamente la nostra speranza a questa venuta trionfale di Cristo.

Perciò la domenica è il giorno del nostro continuo rinnovamento nella luce della risurrezione di Cristo. Noi celebriamo il ricordo della sua morte; riceviamo il suo corpo e il suo sangue perché possiamo avere la vita e averla abbondantemente; noi alimentiamo la nostra speranza di una vita più piena e definitiva con lui quando verrà nella gloria. Tutto questo ha avuto inizio nella domenica di risurrezione.

a cura di Cesare Filippini

Bibliografia

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Feiner J.-Vischer L. (a cura) Nuovo libro della fede, Queriniana, Brescia 1975.

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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