5. Conclusioni
La ricognizione che ho condotto sull’esistente e che ho sviluppato anche in prospettiva aperta al possibile mostra a questo punto tutta la sua assai modesta rilevanza: credo che essa possa in qualche modo riscattarsi a condizione di alimentare una riflessione più ampia sul fenomeno della ricerca spirituale oggi, anche al di là delle condizioni “di nicchia” che rendono plausibili i luoghi del silenzio qui presentati.
a. Riprendendo una domanda iniziale e allargandola alla tipicità del fenomeno, formulerei così una prima polarità problematica: la comparsa di luoghi del silenzio destinati alla più varia ospitalità spirituale è da intendersi come un… servizio pubblico, che viene ad aggiungersi alle offerte sempre più mirate alla fruizione di momenti di benessere (nell’ordine, paradossalmente, delle sale per massaggi negli aeroporti, o dei mini-concerti di rock o di classica nelle stazioni dei metrò) o si profila praticabile la decisione di una committenza consapevole nella volontà di custodire, anche per un target di esigua entità, una dimensione di serietà e di integrità che le routine degli ambienti urbani tendono a soffocare o disperdere? Assumendo ovviamente la seconda opzione, non sottovaluto l’ambiguità del fenomeno, che presenta pur sempre i tratti della deriva individualistica. Del resto, ogni percorso di coscienza rischia la china della auto-gratificazione narcisistica, o della ascetica pietistica. L’esemplarità che ho individuato e descritto nella esperienza della Sihlcitykirche di Zurigo risiede per me proprio nella discreta proposta di chi gestisce la cappella : di affiancare al silenzioso spazio di preghiera l’offerta di momenti gioiosi di convivialità di cui si possa fruire gratuitamente, senza stucchevoli tratti filantropici.
Inoltre, la valorizzazione intenzionale di questo modo laico di custodire la propria integrità ha come strumento essenziale la dimensione estetica, ma resiste con chiarezza alla tendenza estetizzante della cultura massmediatica, che seduce intensificando richiami e stimoli emotivi. Qui la qualità e la bellezza si propongono attraverso l’espressione del vuoto, della rarefazione, della linearità elementare delle forme e dei suoni. E’ questa una sfida che i credenti devono poter raccogliere dalla maturazione di una sensibilità che nelle generazioni di oggi domanda di rifugiarsi lontano dalla invadenza massiccia dell’audiovisuale e dell’eccesso sensoriale.
b. Sì, qui si innesta un secondo livello di riflessione conclusiva: l’iniziativa dell’ istituire, ma soprattutto di gestire una cappella inter-confessionale, una sala del silenzio, mi pare sia toccata, ma tocchi anche nel futuro prossimo alla responsabilità dei credenti cristiani. Questo non solo per ragioni sociologiche: la loro forza organizzativa e numerica, il loro più antico radicamento nel tessuto sociale delle città occidentali. In una società sempre più accentuatamente inter-religiosa, pesa sui cristiani il fardello della cristianità in declino, con cui fare drasticamente i conti: questo è l’annuncio benefico e vivificante della secolarizzazione. La presenza sempre più numerosa di credenti senza chiesa, di città senza campanili, di comunità civili senza privilegi politici e riserve di potere potrebbe essere annunciata e vissuta anche in questo impegno delle chiese non solo a riconoscere e rispettare la laicità del sociale, e la libertà di culto per tutti intesa come pari opportunità, ma ad alimentare la spiritualità delle persone e il loro vigore etico più con esperienze di silenziosa convivenza tra diversi che con le astute elucubrazioni delle religioni civili.
c. In 1 Sam 17, 38-39 David, che doveva affrontare Golia e che il re Saul aveva rivestito con la sua armatura, spada,elmo,corazza, “…cercò di camminare, ma non ci riuscì… disse allora a Saul: - io non posso camminare così – e se la tolse.”
Paolo Ricca propone questa immagine biblica per descrivere il cristianesimo nel terzo millennio: liberarsi della armatura di cristianità che venti secoli ci hanno messo sulle spalle significa ritrovare la leggerezza e la sobrietà necessaria per porsi al servizio degli uomini di oggi. L’attenzione a garantire loro, solo che lo vogliano, condizioni concrete di pace silenzio dialogo con se stessi diventa, in quest’ottica, una occasione per interrogarsi sulla essenzialità delle forme della propria fede, della contemplazione e della preghiera che la esprimono. “Beati quelli che non vedono…” Gv 20,29: si tratta di scoprire una seria prossimità a uomini e donne che, forse devoti abitatori delle loro fedi, forse inquieti ricercatori di un interlocutore assente, stanno fermi e solitari senza implorare visioni, senza afferrare o trattenere certezze, uomini e donne che attendono e non pretendono…
E noi credenti dovremmo essere un po’ tutti di questa razza, dovremmo, come Tommaso, rinunciare a toccare per confessare invece una fede sempre da principianti, sempre aperta al confronto con gli altri, non per trarne conforto o sicurezza, ma per svelare l’inguaribile debolezza di chi si appoggia solo sul fatto di essere sempre in modo misterioso preceduto e accolto. Credo che alla fine si tratti solo di questo: di un servizio di fraternità nel silenzio rispettoso del proprio atto di fede.
La dimensione individualistica che le sale del silenzio indubbiamente accreditano come forma secolarizzata di spiritualità può essere quindi corretta, meglio… sorretta da chi, credendo alla Grazia che ci previene, ci invita, ci accoglie, ne ripete con povertà e semplicità il gesto, facendo sentire partecipata e condivisa, pur senza parole, la ricerca religiosa.
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