Formazione Religiosa

Domenica, 10 Marzo 2019 19:01

L'uomo che Gesù incontra (Mauro Orsatti)

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L'idea che Dio, in Cristo, con amore imperituro cerca ogni uomo che si è smarrito, conferisce all'individuo umano un valore eterno e una dignità senza precedenti.

Un lettore che si impegnasse a leggere la Bibbia da capo a fondo attento al tema «uomo», sarebbe all'inizio lusingato nel vedere l'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio (cf Gn 1,26) e rassicurato alla fine: «E non vi sarà più maledizione. Il trono di Dio e dell' Agnello sarà in mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno; vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla fronte. Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli» (Ap 22,3-5). Tali citazioni sono come due piloni di una possente arcata sotto la quale scorre la vicenda storica dell'uomo. Tra la prospettiva metastorica dell'inizio e della fine si snoda il curriculum storico dell'uomo, diviso tra adesione alla grazia e impennate di orgoglio, tra slanci di amore verso Dio e rigurgiti di autosufficienza. Se la partenza è timidamente accennata e l'arrivo nebulosamente intravisto, il dispiegamento storico occupa la maggior parte dell'interesse perché mostra un processo che, esemplare e tipico per il popolo di Israele, diventa la miniatura dell'esistenza di ogni uomo.
Dall'affermazione centrale dell'antropologia cristiana ogni persona umana è stata creata a immagine e somiglianza di Dio - si parte per affermare qualcosa di sostanziale per l'uomo, rispondendo alla domanda: «Chi è l’uomo?». L'affermazione della somiglianza divina, come costitutiva della verità dell'uomo, significa almeno due cose. La prima, che in ogni persona umana è im-pressa ed es-pressa una partecipazione singolare, unica, allo stesso essere divino. La seconda, che la singolare unicità di questa partecipazione rende la persona umana capace di agire come Dio. La profonda spaccatura creata dal peccato, ha inibito la capacità dell'uomo di essere in comunione con Dio. Con Cristo avviene qualcosa di straordinario, la redenzione, che ha il potere di trasformare l'uomo, che diventa «il primo liberto della creazione». Tutta la tradizione ecclesiale è unanime al riguardo, basti pensare al prologo della seconda parte della Somma Teologica di s. Tommaso, per l'Occidente, e per l'Oriente a tutta la riflessione sul mistero della trasfigurazione dell'umanità del Cristo, primizia della trasfigurazione dell'umanità di ogni uomo. Questi ha ricevuto nuovamente la vocazione nonché il dono di essere Immagine del suo Creatore (Col 3,10).

Un esempio: Zaccheo

Per far uscire il discorso dalle secche dell'astrattismo o da una mortificante genericità, preferiamo affidare la forza trasformante dell’azione di Cristo a un caso esemplare del Vangelo. L'uomo che Gesù  incontra e che viene da lui trasformato vive in situazione di peccato, di disgregazione profonda, di emarginazione. La società tende a dividere gli uomini separandoli e catalogandoli; esistono poi condizionamenti socio-culturali da superare per la creazione di una nuova realtà personale. L'intervento di Gesù opera contemporaneamente sull'individuo e sul gruppo, offrendo a entrambi la possibilità di rinnovamento.
Tra i molti esempi possibili, privilegiamo la figura di Zaccheo, episodio inedito di Luca 19,1-10. Ha un fisico piccolo eppure è di grande statura morale perché addita all'uomo di ogni tempo la possibilità di ribaltare una vita. Tutto questo, ovviamente, dopo aver incontrato Cristo, averlo ascoltato ed essere stato preso al liberante laccio del suo amore.
Il brano presenta la seguente struttura bipartita:

A. L'accaduto

1. Introduzione (vv. 1-2): indicazione del luogo e presentazione dei personaggi, Gesù (solo nome) e Zaccheo (nome, professione, condizione sociale).
2. Uno cerca e l’altro è cercato: i due sono a distanza (v. 3).
3. Colui che cerca si Impegna a superare la distanza (v. 4).
4. Colui che è cercato diventa colui che cerca: inversione dei ruoli (v. 5).
5. La distanza è superata: i due si incontrano (v. 6).

B. Valutazione
1. l. L 'incontro è criticato dai benpensanti che da esso prendono le distanze (v. 7).
2. L'incontro diventa per Zaccheo motivo di cambiamento di vita; incontro fisico ma anche incontro spirituale (v. 8).
3. L 'incontro con tutti, soprattutto con i peccatori, appartiene alla missione di Gesù:
    - con Zaccheo, caso concreto (v. 9)
    - con tutti, prospettiva generale (v. 10).

Una proposta di lettura

Gesù passa attraverso Gerico. La città, posta a 250 m sotto il livello del mare e a circa 10 km dal Mar Morto, è un’oasi subtropicale stupenda, un fiore in mezzo ad un desolato paesaggio desertico. La natura lussurreggiante fa da sfondo all'incontro di due persone.
Gesù è di passaggio. Sicuramente è passato da qui tante altre volte, quando saliva a Gerusalemme. Egli è quindi conosciuto. A Gerico si trova un uomo chiamato Zaccheo. Il suo nome, abbreviazione di Zaccaria, che significa «il giusto», «il puro» - noi tradurremmo  «Innocenzo» - è una vera beffa del destino: in realtà egli è capo dei pubblicani e ricco, due qualifiche che gravano sulla sua reputazione come una spada di Damocle. In quanto pubblicano era un peccatore per i giudei, in quanto ricco era anche per Gesù «un caso difficile» (cf Lc 18,24: «Quant'è difficile per coloro che possiedono ricchezze entrare nel Regno di Dio»). La ricchezza del pubblicano non è pulita, lo si apprenderà in seguito dalla sua pubblica confessione. Il denaro era garantito dalla sua professione che poteva esercitare con profitto a Gerico, città di esportazione del balsamo, e perciò, serbatoio di facili business dei pubblicani. Avendo Luca precisato che egli è capo dei pubblicani, ci ha offerto una precisa caratterizzazione sociale del personaggio dandoci un quadro a tutto tondo. Le irregolarità commesse dai pubblicani erano numerose. Superfluo ricordare il disprezzo che circondava questo mestiere già detestato perché visto come collaborazione con l’occupante romano e poi, soprattutto, perché si trattava di un autentico strozzinaggio. Ecco perché il nome di pubblicano, etimologicamente «colui che riscuote il denaro pubblico», finisce per classificare non più una professione, ma una disprezzata categoria di persone che tutti temevano e che i farisei tenevano lontano da sé.
Zaccheo, capo dei pubblicani, si porta addosso l'odio rancido di tutti, coagulo di disprezzo e di isolamento.

1. L'incontro con Gesù

Con queste premesse c'è poco da sperare. Invece Zaccheo offre con il suo comportamento una prima nota positiva perché «cercava di vedere chi fosse Gesù», voleva cioè vederlo in faccia, non accontentandosi del «sentito dire». Il suo desiderio non si può dire estemporaneo o fugace perché «cercava»: il tempo imperfetto, denota un'azione che si prolunga nel tempo. Lo dimostrano le difficoltà della bassa statura e della numerosa folla che, iniziale handicap, vengono superate con l'ingegno e la ricerca di mezzi idonei.
Il suo desiderio è vivo, forse bruciante se lo spinge a tanto. Dove attecchisce questo desiderio? Su un fondo di pura curiosità? Sulla gratificazione di poter dire: anch'io l'ho visto, anch'io c'ero? Su qualcosa di più profondo? Il testo tace sulla motivazione e, di conseguenza, ogni conclusione non supera lo stadio della congettura. Del resto avviene spesso così e l'incontro con Gesù nasce da un desiderio difficilmente identificabile nella sua radice ultima. Sappiamo poi che Luca non intende descrivere la psicologia dei suoi personaggi, preferendo mostrare le grandi tappe di un cammino che può servire ai suoi lettori.
Zaccheo corre avanti per precedere il corteo che sta attraversando la città e trova rifugio su un albero. In quel momento non pensa alla sua dignità, alla ridicolaggine cui si espone davanti a quelli che lo conoscevano: a Gerico egli è di casa perché vi lavora e, con tutta probabilità vi abita. Non pensa a questo e sale come un monello su un albero, un sicomoro. L 'albero permette una facile ascesa perché ha un tronco basso; le foglie larghe garantiscono a Zaccheo un sicuro rifugio. La postazione è quindi ottima per vedere senza essere visto.
Questo atteggiamento è un punto a sfavore di Zaccheo. Non è corretto l'atteggiamento del «guardone» e chi vuol vedere deve anche lasciarsi vedere: solo così si crea una corrente alterna di dare e di ricevere, solo così si pongono i fondamenti del dialogo. Il senso unico, il solo vedere, è un arbitrio, una forma di sfruttamento dell'altro. Zaccheo vuole vedere Gesù, soddisfare la sua curiosità, forse anche rispondere ad un profondo desiderio, senza offrire la controparte, proprio come ricevere senza dare, ottenere senza nulla promettere. Con la involontaria complicità delle foglie pensa di riuscire facilmente nel suo intento.
Lascia che Gesù si avvicini a lui senza avvicinarsi a Gesù. In questo caso il movimento è solo da una parte, quella di Gesù. Si riflette qui la logica umana utilizzata spesso anche in campo religioso, quando si pretende la vicinanza di Dio, la gioia del cuore, l'armonia della vita, senza contemporaneamente offrire a Dio la disponibilità nell'andare a Lui con l'obbedienza del cuore e della vita. È un gioco egoistico che non può durare a lungo. Gesù passa sotto l'albero, è visto da Zaccheo e soddisfa il suo desiderio. Contemporaneamente gli rivolge la parola e lo invita a compiere quel movimento che Zaccheo non voleva o non poteva fare. Non poteva scomodarsi da una vita che, tutto sommato, aveva rivestito come un abito e forse non poteva sciogliersi dal giudizio glaciale dei benpensanti che spesso bloccano molto di più di una catena di ferro. Gesù lo invita in due modi, prima con lo sguardo e poi con la parola. Lo sguardo si differenzia dal semplice vedere quanto la volontà dall'istinto. Vedere è un fatto esterno, meccanico, tipico di tutti gli animali. Guardare invece coinvolge anche la volontà ed è proprio della persona. Per questo lo sguardo possiede spesso una carica tale da sostituire bene un fiume di parole. Con lo sguardo si esprimono i propri sentimenti di approvazione o di disapprovazione, con uno sguardo si può ferire o amare, con uno sguardo si può tenere a bada una scolaresca. Lo sguardo è un mezzo di comunicazione. In un'altra occasione Gesù aveva guardato attentamente il ricco interessato alla strada per il Regno dei cieli e gli aveva comunicato il suo amore: «Gesù, fissatolo, lo amò» (Mc 10,21). Ora lo sguardo è il primo elemento di comunicazione usato da Gesù per Zaccheo, il primo segno per dirgli che si interessa di lui.
Poi arriva la parola che, preparata dallo sguardo, non giunge più forestiera.

2. La parola di Gesù

La prima parola che risuona è «Zaccheo», il nome proprio, quello che identifica una persona e la distingue da un'altra. Zaccheo si sente chiamato per nome, conosciuto personalmente nella sua identità più vera e profonda. Forse gli altri lo chiamano «pubblicano», «strozzino», o con qualche altro nome generico o con un nomignolo. Gesù, un estraneo, uno di passaggio, lo conosce e lo chiama per nome. Chiamato per nome, Zaccheo è posto nella condizione di rispondere e, ben più, di entrare in dialogo con Gesù, da persona a persona, da eguali.
La seconda parola è un imperativo: «Scendi subito». Gesù invita Zaccheo a lasciare il suo rifugio per mettersi allo scoperto, lo invita a compiere quel. passo che prima non voleva o non poteva fare. Se prima Gesù si era avvicinato a Zaccheo, tocca ora a Zaccheo avvicinarsi a Gesù. È la logica del dialogo: guardare in faccia, parlarsi, compiere ciascuno un passo verso l'altro. L'imperativo non è una violenza nei confronti dell'altro, quanto piuttosto la garanzia che avvicinarsi non è proibito, anzi desiderato e richiesto. I farisei e tutti i benpensanti rifuggivano dalla compagnia dei pubblicani - e dei peccatori in genere - perché era gente «sporca» che contaminava. Con il suo imperativo Gesù dichiara che non teme nessun contagio, che non mantiene le distanze dell'indifferenza o del disprezzo. È un imperativo che avvicina e che rende uguali. Questo imperativo viene accompagnato, quasi rinforzato, dall'avverbio «subito» per aiutare Zaccheo a rompere ogni indugio, a superare eventuali perplessità che possono insorgere come elementi frenanti.
Proprio perché l'imperativo non suoni come violenza sull'altro e per mostrare la nuova situazione di rapporto, Gesù aggiunge la motivazione che vale quanto un concentrato di teologia: «Oggi devo fermarmi a casa tua». Esaminiamo le singole parole.
OGGI. L'avverbio può essere letto in modo atono o tonico: atono se lo si intende come una semplice precisazione temporale, nel senso di oggi e non di domani; tonico se prende più rilievo di quello che gli compete per il suo valore grammaticale. Conoscendo Luca e il suo modo di scrivere si deduce il valore tonico (cf Lc 2,10-11; 4,21; 5,26; 23,43). Luca colloca il termine «oggi» sempre in contesto di salvezza e soprattutto di salvezza che si realizza: nella nascita, nella profezia, nel miracolo, nella morte. Anche nel nostro caso l'oggi viene collegato con la salvezza, come confermato dalle successive parole di Gesù: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa» (v. 9a). Si conclude quindi per il valore tonico dell'avverbio e della sua rilevanza teologica.
DEVO. Il verbo esprime la volontà divina, il piano salvifico e la sua urgenza. Gesù intende arrivare a tutti, nessuno escluso, soprattutto a coloro che il fanatismo religioso giudaico aveva  emarginato. Il modo più completo per arrivare a tutti sarà il dono della sua vita. Intanto si manifesta nell'annuncio del Vangelo che è la rivelazione dell'amore di Dio per l'uomo. Gesù aveva già espresso questa sua obbedienza al piano divino quando aveva detto: «Bisogna (devo) che io annunzi il Regno di Dio anche alle altre città, per questo sono stato mandato» (Lc 4,43).
FERMARMI. Non è il verbo della fretta, del salutino e poi via di corsa perché c'è molto da fare. È il verbo della calma, dell'indugio, del tempo prolungato, tanto che in greco ha spesso il valore di «dimorare», «abitare» .È il verbo della residenza. Nel quarto Vangelo questo verbo si colora ancor più teologicamente ed esprime la comunione interpersonale, il legame intimo e profondo fra due persone che si amano.
A CASA TUA. Voler entrare in casa è una manifesta provocazione, uno strappo irrimediabile nel tessuto della teologia farisaica che disdegnava ogni contatto con i peccatori. Soggiornare in casa di uno di questi era il colmo della vergogna. Come sempre accade fra Gesù e i farisei, questi considerano la persona da una posizione di fissità: come è stata, così rimane e sempre sarà. Gesù, al contrario, la considera da una posizione di movimento, almeno possibile: nonostante un passato rovinoso, si può, anzi, si deve cambiare, progredire e migliorare. La persona può diventare diversa da quello che è stata.
Con queste parole Gesù crea le condizioni per una risposta.

3. La reazione di Zaccheo

Zaccheo raccoglie la felice provocazione, reagisce facendo quanto Gesù ha richiesto e scende in fretta. Il desiderio di vedere Gesù è finalmente appagato. Non sa che cosa l'aspetta, non aveva preventivato - e non poteva certo preventivarlo – ciò che ora prova e decide. Accoglie Gesù con gioia. È registrato il primo, nuovo ed inatteso sentimento che nasce dall'incontro con Gesù. Gioia che nasce, tra l'altro dalla possibilità offertagli di compiere quel passo che prima non voleva o non poteva compiere. La parola di Gesù lo ha messo in condizione di effettuarlo. Ora però deve giocare a carte scoperte e non gli è più consentito di mimetizzarsi, sia pure dietro le foglie di un albero. La gioia ha la sua sorgente intima nel cuore dell'uomo, però si travasa facilmente all'esterno. L 'affermazione della sua frettolosa discesa dall'albero implica un dinamismo interiore, esplicitato dall'annotazione «lo accolse pieno di gioia». In fondo, Zaccheo è stato l'oggetto di un interessamento che si chiama attenzione all'altro, riabilitazione, non timore di contagio; insomma, in una parola, Zaccheo è stato amato da Gesù. La gioia è sempre figlia primogenita dell'amore.
In stridente contrasto con la gioia di Zaccheo si colloca la mormorazione prolungata (ancora il tempo all'imperfetto), degli altri, conglobati in un generico quanto significativo «tutti». Si tratta dell'altra parte, quella diversa e in opposizione a Gesù, quella che raccoglieva i maggiori suffragi del pensiero dominante. È la parte che non capisce e non apprezza la gioia di Zaccheo. Prova esattamente il sentimento opposto, una specie di disgusto, di irritazione nei confronti di un comportamento che la ortodossia giudaica non poteva che biasimare: «È andato ad alloggiare da un "peccatore"». Inaudito! Uno scandalo! Certo, nella loro logica il comportamento di Gesù risulta tanto anomalo, addirittura offensivo nei confronti della teologia dominante, da diventare causa scatenante di quella valanga di critiche e di rampogne che si riversano come un fiume in piena su Gesù e sul povero Zaccheo. Le critiche dei benpensanti non raggiungono Gesù, non sfiorano neppure Zaccheo. Questi si alza in piedi, quasi a rendere più solenni le sue parole, e fa una promessa. Quello che egli dice dimostra la sua intima contrizione e blocca la reazione della gente. Alle parole vuote e denigratorie oppone dei fatti sostanziosi. Sono soprattutto questi a documentare la sincerità della sua conversione e la serietà del suo distacco dal denaro. Un atteggiamento giusto, genuino, coraggioso: anziché torturarsi nella sua mente con morbosità masochista si riconosce semplicemente colpevole e tenta di riparare. Segue due vie. La prima è quella di dare metà dei propri beni ai poveri. Già la predica sociale del Battista aveva orientato in tal senso: «Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare fa altrettanto» (Lc 3,11). È una sollecitazione alla «capacità contributiva» del peccatore chiamato al ravvedimento. Per Zaccheo gioca anche un altro fattore. Molti defraudati non sono più rintracciabili, altri non sono neppure identificabili. Dare la metà ai poveri, a fondo perduto, ha il valore di una restituzione. Si tiene l'altra metà per riparare il danno di persone conosciute. In che misura? La legge contemplava la restituzione dell'intero valore, più 1/5 per indennizzo (cf Lv 5,20-24), percentuale che, secondo i rabbini, doveva essere aumentata a 1/4.
Zaccheo decide di restituire il quadruplo. In questo si allinea o con la legge romana - a tanto obbligava il ladro sorpreso «con le mani nel sacco» - o con la legge di Es 21,37: «Quando un uomo ruba un bue o un montone e poi lo scanna e lo vende, darà come indennizzo cinque capi di grosso bestiame per il bue e quattro capi di bestiame minuto per il montone». Allineandosi con la legge più severa o con il caso estremo, Zaccheo dimostra di essere diventato un altro. Assistiamo con questo al salto acrobatico dal nulla al tutto, da una vita grigia di una professione disprezzata all'esultanza dell'incontro con Gesù, dall'attaccamento schiavistico al denaro alla gioiosa liberazione da esso. Sembra un preludio delle beatitudini, quando gli ultimi e i disprezzati riceveranno, gratuitamente, la pienezza della felicità.
Il suo comportamento appare un po' strano. Eppure le cose di Dio non sono fatte per essere capite intellettualmente, ma per essere vissute, e quando si vivono, tutto comincia ad essere capito. Il presente di Zaccheo è il punto nel quale il futuro si trasforma in passato. Non è più l'uomo di ieri, è già l'uomo di domani, quello che Gesù vuole rendere con il suo annuncio. Questo è confermato dalla parola conclusiva di Gesù: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa». La salvezza è un termine morale, politico. C'è l'idea di vittoria, di salvataggio da una condizione negativa e la restituzione della pienezza o della integrità. Parlando di Dio o di Cristo, la salvezza è liberazione dal peccato, stato di alienazione da Dio.
Alla fine, con un detto proverbiale per la sua missione, Gesù ricorda che Zaccheo non è che l'applicazione di qualcosa che per lui è costitutivo, cioè andare in cerca di ciò che è perduto per salvarlo (cf Ez 34,16; Mt 15,24). È come dire che finche c'è Gesù, nulla è definitivamente perduto. Brilla sempre un barlume di speranza, quella che Gesù ha fatto diventare rogo dalla fiammella del desiderio insito in Zaccheo.

Conclusione

Come dimostrato dall'incontro con Zaccheo, Cristo si è fatto pellegrino di ogni uomo, assicurandogli stima e restituendogli dignità. Con lui parte una nuova evangelizzazione. Se l’uomo è peccatore, bisogna dirgli o fargli capire che sbaglia: la solidarietà non è mimetismo e tanto meno menzogna. Questo non deve intaccare l'accoglienza, il perdono, la fiducia, anzi, favorirlo affinché possa ripartire da capo. Occorre aiutarlo a sentirsi accolto da Dio come padre universale, a scoprire il suo volto luminoso che risplende nella persona di Gesù. Grazie a lui è restituita quell'immagine che il peccato aveva deturpato. L'idea che Dio, in Cristo, con amore imperituro cerca ogni uomo che si è smarrito, conferisce all'individuo umano un valore eterno e una dignità senza precedenti; per questo la liturgia fa pregare nel giorno di Natale: «O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa' che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana».
Così la lieta notizia del Regno fa scaturire un duplice stupore: da un Iato l'immensità dell'amore di Dio per l'uomo e dall'altro la grandezza dell'uomo per Dio.

Mauro Orsatti

(tratto da Parole di Vita, n. 38, 1993, pp. 246-256)

 

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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