Formazione Religiosa

Domenica, 31 Ottobre 2004 18:24

Il tempo, il monaco ed il nomade (Fausto Ferrari)

Vota questo articolo
(2 Voti)

Il tempo è il luogo della rivelazione di Dio. Il Dio biblico è un Dio nomade e resta tale nonostante l'edificazione del tempio salomonico.

Nel Sancta Sanctorum l'arca dell'alleanza ha le stanghe pronte per il trasferimento, proprio per indicare la provvisorietà della collocazione (Es. 25,15; 2Cr. 5,9). Non esiste un luogo particolare, privilegiato, per incontrare questo Dio, nonostante il valore del tempio di Gerusalemme. Non resta traccia, nella memoria, di dove potesse essere avvenuta la rivelazione del roveto ardente (la rivelazione del Nome impronunziabile, Es. 3).

Il luogo stesso della rivelazione sinaitica rimane incerto. La diffidenza biblica per il luogo è la diffidenza verso concezioni di Dio che possano far scivolare l'uomo nell'idolatria e nel magismo. La terra promessa è innanzi tutto terra che appartiene a Dio e in secondo luogo terra donata ad Israele (Lv. 25,23). La dolcezza di Sion non è dovuta alle particolarità del luogo, ma al fatto che rappresenta un segno della realizzazione delle promesse di Dio nella storia. L'oggi, l'ora, l'hic, questo presente fatto di un futuro che è donato da Dio e viene a noi è il luogo sempre attuale dove è possibile incontrate Dio. Dio entra nel tempo e nella storia - ed anche se circoscritto alle contrade della Palestina il ministero di Gesù è pur sempre un ministero itinerante. Il presente è l'occasione opportuna per incontrare Dio. Un tempo contemporaneamente dilatato e contratto ci permette questo sempre rinnovato incontro di Dio nel tempo, con il Signore del tempo. Per questo l'azione liturgica ci permette nel nostro oggi di attraversare le acque del Mar Rosso, entrare nella terra promessa, salire con Cristo la via della croce e con Lui risorgere nel mattino di Pasqua. Per questo l'ebraismo celebrava il giubileo ed il sabato (la sposa) ha assunto un significato così particolare. Per questo nell'esperienza cristiana la Pasqua domenicale diventa il momento privilegiato dello scandire del tempo.

Perché l'uomo contemporaneo manifesta un continuo bisogno di viaggiare? Perché è sempre in movimento e si sposta da un luogo all'altro? E' un inarrestabile nomade? Oppure vive la terribile condizione dell'errante? Probabilmente per compensare, lenire, controllare - inconsciamente - l'angoscia che deriva dal procedere del tempo. Dall'inesorabile scorrere del tempo. Dal canto suo il monaco - tipico esempio di uomo sedentario, che non avverte il bisogno di spostarsi dal un luogo all'altro, ma che fa di un eremo, di un angolo remoto la sua dimora per i giorni che gli restano - è la persona che possiamo considerare riconciliata con il tempo. Il monaco non sente il bisogno di viaggiare perché possiede il tempo. Il tempo è entrato a far parte della sua vita, è una parte di lui. Infatti non vive più immerso nel tempo cosmico, bensì nel tempo liturgico. Oppure si può anche dire che vive il tempo cosmico a tal punto che esso coincide con il tempo liturgico. Non a caso S. Benedetto metteva in guardia da certi falsi monaci, tra cui i monachi vagantes. Oggi la clausura viene considerata spesso come una costrizione inaudita, come una misura priva di senso. Da noi che siamo tormentati dal morboso ritirarsi del tempo. Ma la clausura può essere un incubo soltanto per quelli che sono angosciati dal tempo. Per chi si è riconciliato con il tempo lo spazio non è fonte di inquietudine ed egli non ha bisogno di sempre nuovi orizzonti per ubriacare le sue angosce. Il significato vero, profondo della clausura credo che possa essere compreso soltanto da quelli che "possiedono" il tempo. Essi sanno che essendo il tempo un dono prezioso anche lo spazio - qualsiasi spazio e perciò questo spazio - quello nel quale ora mi trovo, è prezioso, unico, valevole di essere abitato per il resto del tempo. Perché il monaco "possiede" il tempo e lo spazio? Perché egli sa che tempo e spazio sono ridotti, sono relativizzati attraverso la sua incessante ricerca dell'unicum. Di quel centro vitale, che in sé tutto unisce e risolve, di quel primordio che tutto abbraccia, ma che non è abbracciato né dal tempo né dallo spazio, di quell'inizio che rappresenta anche il compimento. Perché egli è il perenne, insaziabile cercatore di Dio.

"Mio padre e mia madre erano aramei erranti" (Dt. 26,5). Non possiamo pensare che al nomade sia preclusa l'esperienza spirituale. Anzi. Ciò che distingue il monaco dal nomade è soltanto un diverso modo di rapportarsi rispetto al tempo e allo spazio. Mentre il monaco conosce a fondo la relatività del tempo, il nomade a sua volta conosce la relatività dello spazio. Il nomade sa quello che lascia ma non sa verso cosa sta andando incontro. E' mosso da una nostalgia che non è volta verso il passato, ma verso il futuro. Per lui un luogo o l'altro hanno poca importanza. Ogni luogo è il luogo per viverci il proprio tempo. Un nomade può essere anche errante. Può quindi sbagliare. L'errante è tormentato dall'angoscia. Da una perfida angoscia che lo costringe ad ubriacarsi di sempre nuove esperienze. Al contrario colui che fa della precarietà della sua esistenza, del suo non possedere spazio per sé e per i suoi cari il luogo di un itinerario spirituale - difficile a decifrarsi, ma vera peregrinatio fidei - si trova a vivere idealmente la stessa condizione del monaco.

Fausto Ferrari

 

Letto 2296 volte Ultima modifica il Martedì, 22 Maggio 2012 18:58
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search