Formazione Religiosa

Domenica, 22 Marzo 2020 16:58

Stato d'eccezione e nuove vie spirituali (Faustino Ferrari)

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È un'occasione unica che ci viene offerta per iniziare a sperimentarci su nuove vie per vivere la nostra comune fede cristiana. In questo stato d'eccezione.

 Da alcune settimane le liturgie sono sospese. Solamente alcune chiese sono rimaste aperte per la preghiera personale, ma non vi si svolgono più celebrazioni con fedeli. Neppure i sempre più numerosi funerali sono celebrati. I preti continuano a celebrare l'eucaristia in chiese chiuse e vuote, senza la partecipazione dei fedeli, sine populo. Le campane di richiamo suonano ai soliti orari, ma nessuno può recarsi in chiesa per partecipare alla liturgia.

Si tratta di una situazione completamente nuova. Mai sperimentata prima d'ora. In passato ci sono stati casi nei quali l'autorità ecclesiastica lanciava un interdetto su di una città o una nazione. Una misura ecclesiastica estrema (spesso con motivazioni più politiche che religiose) che proibiva la celebrazione dei sacramenti. La novità odierna è rappresentata dal fatto che un'epidemia perniciosa e molto contagiosa ha portato ad uno stato d'eccezione: l'arresto di (quasi) tutte le attività umane e l'isolamento domestico. Quasi tutto è stato proibito e la libertà resta confinata tra le mura di casa.

Ogni stato d'eccezione, ci dice la storia, rappresenta un passaggio forzato. Non si ritorna mai allo stato precedente. Nessuno è in grado di predire come sarà il dopo. E, spesso, alcuni elementi che si sono imposti nel periodo dello stato d'eccezione, permangono. Non vengono mai ripristinate le condizioni iniziali. È come se un corso d'acqua, avendo trovato un grosso ostacolo sul suo percorso, deviasse per un altro tratto.

Uno stato d'eccezione non ha soltanto valenze politiche, militari ed economiche. È anche un fatto sociale, culturale, valoriale. Si modificano gli usi, i costumi, i comportamenti. Basti un semplice esempio: il tornare ad abbracciarsi e baciarsi in pubblico sarà poi così scontato dopo l'esperienza del coronavirus? Oppure si finirà col considerarli riprovevoli, inopportuni e magari anche sanzionabili?

Anche le dimensioni spirituali e religiose ne restano pienamente coinvolte, sia a livello personale sia per quello collettivo, comunitario. Dobbiamo dunque iniziare a considerare che questa sospensione della vita liturgica comunitaria non è semplicemente temporanea, ma obbliga a ripensare alcuni ambiti del vivere e praticare la fede cristiana.

La vicenda del coronavirus, infatti, sta facendo affiorare alcuni nodi problematici che la normale pastorale non era in grado di rilevare. Vale la pena di soffermarsi su uno di questi: il posto della celebrazione eucaristica nella vita dei fedeli. Il Concilio Vaticano II ha parlato della liturgia (in particolare, l'eucaristia) come fonte e culmine della vita cristiana (1). Ora, ciascun singolo fedele si trova privato di accedervi direttamente. Le celebrazioni seguite in streaming o alla televisione sono dei surrogati. Possono essere seguite con tutta la buona volontà che si vuole, ma restano spettacolo (2).

Il timore di molti vescovi italiani di fronte all'eccezionalità del momento e delle misure prese per contenere il contagio rivela la presenza di un aspetto problematico. Sembrerebbe che la partecipazione all'eucaristia festiva sia rimasta quasi come ultimo elemento persistente della comune prassi cristiana. E il venirne meno comporterebbe una gravosa, irreversibile crisi di partecipazione.

Sorge quindi una domanda: se l'eucaristia è la fonte ed il culmine della vita cristiana, cos'altro fa parte di questa vita? Tra la fonte ed il culmine c'è di mezzo un vasto territorio. Ci si può chiedere, allora, quanto sia stato coltivato tutto ciò attraverso la pastorale e la catechesi di questi ultimi decenni. Dobbiamo forse ammettere che si poteva – e andava fatto – di più? La crisi provocata dall'attuale epidemia ci svela quanto sia importante coltivare una dimensione ecclesiale che sia anche domestica e laicale. Ove l'eucaristia resta la fonte ed il culmine, ma ove la prassi inizia a modularsi attraverso nuove esperienze. La crisi che questo stato d'eccezione ci svela è l'urgenza improcrastinabile di una vita cristiana che ha la necessità di svilupparsi in una maniera diversa da come è stato sinora.

Provo ad indicare quattro ambiti di questo territorio da coltivare: preghiera personale, lettura della Parola di Dio, carità, digiuno e penitenza.
Preghiera personale. Da tempo sono venuti meno i ritmi di preghiera tradizionali. E, al tempo stesso, molte preghiere che hanno nutrito le generazioni precedenti sono diventate desuete. Ma persiste un diffuso bisogno di pregare che rischia spesso di non trovare ascolto, proprio perché estraneo ai tradizionali moduli. Pregare con parole proprie o con l'uso dei Salmi – o anche restando in silenzio, senza parole… Forse si tratta di liberarsi dall'idea che la preghiera personale debba coincidere o essere prossima alla preghiera liturgica. E lasciarla sviluppare per quello che è: preghiera personale.
Lettura della Parola di Dio. Negli anni del dopo concilio sono stati fatti notevoli progressi in questo campo. Molte energie sono state usate per spiegare la Bibbia. Itinerari, di solito, per gruppi ristretti. Quello che manca ancora è un uso frequente, quotidiano della Parola di Dio attraverso la sua lettura. Una lettura continua, che aiuti a rendere familiare la Bibbia – questo testo che resta ancora sconosciuto, ritenuto difficile e libro di specialisti. Un'esperienza domestica e laicale richiede una comune familiarità del testo biblico.
Carità. L'attuale stato d'eccezione ci porta a riformulare la prassi del credente. Non si può restare ancorati solo all'elemosina e alle buone opere. L'urgenza caritativa odierna è rappresentata da un radicato senso di responsabilità nei confronti del prossimo. In un'attenzione fattiva per impedire di essere veicolo d'infezione per quanti ci stanno intorno, soprattutto per i soggetti più deboli e vulnerabili. Imporsi l'autoisolamento diventa gravoso e difficile, ma può essere vissuto come carità, come atto di grazia.
Digiuno e penitenza. Il digiuno è rimasto ormai appannaggio di diete salutistiche o di movimenti new age. In ambito cattolico è stato ridotto al mangiare un po' di meno nel corso di due giorni all'anno. Viene considerato ormai, in ambito religioso, desueto e sorpassato. Ma lo stato d'eccezione che impone il digiuno eucaristico richiama il ruolo che possa avere il digiuno nell'esperienza di fede vissuta a livello domestico. Ove l'esperienza della fame e della sete sostiene la fame e la sete di Dio. Mentre uno stile di vita sobrio può contraddistinguere sempre più la vita dei credenti.

Sono solo alcuni frammenti di una riflessione che avrebbe bisogno di ben maggiori approfondimenti. Quel che è certo è che non ci sarà un ritorno a com'era prima. È un'occasione unica che ci viene offerta per iniziare a sperimentarci su nuove vie per vivere la nostra comune fede cristiana. In questo stato d'eccezione.

Faustino Ferrari

1) Sacrosanctum Concilium 10.

2) Nell'epoca barocca le liturgie sono diventate sempre più rappresentazioni, veri e propri spettacoli a cui assistere, ma senza una partecipazione diretta dei fedeli. Il Concilio Vaticano II ha voluto superare questa concezione e attraverso un ritorno alle fonti, ripristinare una reale partecipazione liturgica dei fedeli.

 

Letto 964 volte Ultima modifica il Domenica, 22 Marzo 2020 17:19
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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