Ventesima domenica del Tempo Ordinario. Anno B
Omelia di Paolo Scquizzato
Prima Lettura Pr 9,1-6
Dal Libro dei Proverbi
La sapienza si è costruita la sua casa,
ha intagliato le sue sette colonne.
Ha ucciso il suo bestiame, ha preparato il suo vino
e ha imbandito la sua tavola.
Ha mandato le sue ancelle a proclamare
sui punti più alti della città:
«Chi è inesperto venga qui!».
A chi è privo di senno ella dice:
«Venite, mangiate il mio pane,
bevete il vino che io ho preparato.
Abbandonate l’inesperienza e vivrete,
andate diritti per la via dell’intelligenza».
Salmo Responsoriale Dal Salmo 33
Gustate e vedete com’è buono il Signore.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.
Temete il Signore, suoi santi:
nulla manca a coloro che lo temono.
I leoni sono miseri e affamati,
ma a chi cerca il Signore non manca alcun bene.
Venite, figli, ascoltatemi:
vi insegnerò il timore del Signore.
Chi è l’uomo che desidera la vita
e ama i giorni in cui vedere il bene?
Custodisci la lingua dal male,
le labbra da parole di menzogna.
Sta’ lontano dal male e fa’ il bene,
cerca e persegui la pace.
Seconda Lettura Ef 5, 15-20
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini
Fratelli, fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi, facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi. Non siate perciò sconsiderati, ma sappiate comprendere qual è la volontà del Signore.
E non ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé; siate invece ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.
Canto al Vangelo (Gv 6,56)
Alleluia, alleluia.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue,
dice il Signore, rimane in me e io in lui.
Alleluia.
Vangelo Gv 6,51-58
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
OMELIA
Mi capita spesso di ascoltare madri – in realtà più nonne – preoccupate le prime, angosciate le seconde – lamentarsi riguardo figli e nipoti lontani ormai dalla pratica religiosa, disertando Messe domenicale e snobbando serenamente sacramenti e addentellati.
Poche volte invece m’è capitato d’ascoltare le medesime madri e nonne domandarsi quale possa essere l’onestà profusa da figli e nipoti nei luoghi di lavoro, lo stile assunto nella convivenza civile; se il patrimonio accumulato sia solo per il proprio arricchimento personale, o piuttosto mezzo di condivisione per creare nuova ricchezza a beneficio di tutti; se le banche da loro scelte siano colluse o meno col commercio di armi, o se alle prossime elezioni appoggeranno partiti razzisti e xenofobi perché stanchi di orde d’immigrati immaginati causa dei molti crimini di questo nostro paese….
Perché tanta angoscia se le ‘nuove generazioni’ non si nutrono più alla mensa eucaristica del ‘corpo e sangue di nostro Signore’ nascosto in un’ostia, e così poca ‘attenzione’ nel vedere ‘la carne e il sangue’ agonizzante e straziata in luoghi di guerra, in infernali centri di accoglienza, nelle carceri sovraffollate, nei bambini abusati, nelle donne maltrattate, negli psichiatrici dimenticati, negli operai derubati, nei precari maltrattati…
Ecco cosa Gesù intendeva col dire ‘Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna’: entrare in una relazione viva con lui attraverso ogni relazione che possiamo vivere nel nostro quotidiano: toccare, guardare, curarsi della ‘carne e del sangue’ di tutti i poveri cristi con cui egli stesso ha voluto identificarsi, perché ancora una volta dagli altari delle nostre chiese egli continua a gridarci che «tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40).
Qui si verifica in ultima analisi la possibilità di vivere questa nostra breve vita in maniera eterna, ossia piena e realizzata.
Paolo Scquizzato