Se ci lasciamo sollecitare dalle molte domande suscitate in noi dall'eredità di Bonhoeffer anche i giorni del nostro attuale isolamento domestico potranno essere fecondi.
La paura dell'epidemia, in realtà, non era assente dalla nostra vita quotidiana. Faceva parte di un vasto bagaglio di paure che continuiamo a considerare incerte e che incombono su di noi, ma che per la loro indefinitività tendiamo a confinarle nel sottofondo.
L'avere tempo rappresenta un elogio della lentezza. Quella lentezza che ci permette di poter sperimentare il gusto per ogni momento dell'esistenza. A coltivare ciò che facciamo, momento per momento...
Nel sentire comune è difficile pensare che la preghiera possa essere altro dal domandare. Abbiamo un lungo vissuto culturale e religioso che rinsalda in modo quasi indissolubile questo asse.
La normalità della vita è fatta dallo stupore e dal gusto per le mille, piccole cose quotidiane che la compongono. Il vivere richiede un'attenzione al particolare.
La solitudine è un'esperienza soggettiva un po' strana. Non si ha bisogno soltanto di luoghi solitari o di deserti per sperimentarla. Si vive anche nel mezzo di una folla, abitando in una popolosa metropoli...
Noi siamo nomi e volti. Noi siamo storie. Nessun numero riesce a descrivere – seppur lontanamente – quello che siamo.
L'attuale stato d'eccezione imposto dall'epidemia evidenzia ancora con più forza ed attualità la necessità di un altro tipo di livella, causata non dalla condizione della morte, ma resa indispensabile dallo stato della vita sul pianeta.
Mentre il toccare i corpi (compreso il nostro – o, almeno, una parte di esso) sta diventando un tabù, si è significativamente accentuato il nostro toccare gli oggetti. Possiamo anche toccare gli animali, ma non gli esseri umani...
Ma il dopo sarà anche il tempo di ragionare sul perché delle cose. Perché là ove si mostrano i limiti, soprattutto in uno stato d'eccezione, bisogna trovare le soluzioni migliori.