I Dossier

Domenica, 30 Aprile 2006 21:32

Apprendere le competenze interculturali (a cura di Alessio Surian)

Vota questo articolo
(4 Voti)

L’educazione interculturale in Italia corre spesso il rischio di una riduzione, di venire associata e confinata esclusivamente all'accoglienza degli alunni stranieri nella scuola, mentre meno presente è, invece, la riflessione sulle opportunità di sviluppare competenze interculturali in ambito educativo...

L’educazione interculturale in Italia corre spesso il rischio di una riduzione, di venire associata e confinata esclusivamente all'accoglienza degli alunni stranieri nella scuola, mentre meno presente è, invece, la riflessione sulle opportunità di sviluppare competenze interculturali in ambito educativo e su quali percorsi formativi siano necessari agli insegnanti che intendano raggiungere obiettivi, in questo ambito, per l'insieme della popolazione scolastica (Coulby, Gundara e Jones, 1997). Autori come Damiano (1998), Gobbo (2000), Cambi (2001) ritengono che un processo educativo che miri a favorire l'acquisizione di efficaci competenze interculturali implichi un profondo rinnovamento nell'impostazione pedagogica. Tale riflessione rimanda ad un'analisi più generale sulle opportunità di rinnovamento pedagogico della scuola all'interno delle dinamiche di globalizzazione a livello culturale (Delors, 1997).

Secondo il Rapporto Delors commissionato dall'Unesco i cambiamenti devono poter rispondere alle tensioni principali che caratterizzano il mondo contemporaneo fra cui spicca quella fra universale e particolare relativa alla globalizzazione della cultura e quindi ad obiettivi pedagogici relativi a favorire la comprensione reciproca; sviluppare il senso di responsabilità; incoraggiare la solidarietà; e la realizzazione delle condizioni per accettare differenze spirituali e culturali, una posizione già ribadita nel rapporto di Pieter Batelaan e Fons Coomans del 1995 in co-operazione con l'UNESCO e il Consiglio d'Europa.

Diviene essenziale in questa prospettiva saper individuare alcune delle tensioni che attraversano la riflessione sui valori guida nel mondo contemporaneo e nelle società multiculturali. Kymlicka (1999) ha sostenuto che le politiche di cittadinanza dovrebbero essere sensibili alle diversità (group specific, contrapposto a difference blind) a partire dal principio che misure che tendano ad intervenire sulle ingiustizie vadano sempre adottate, a meno che non risulti evidente che possano rappresentare un chiaro e attuale pericolo per l'ordine politico.

In ambito educativo il tema dell'abilità degli individui e dei gruppi nel confrontarsi con la diversità è stato affrontato da ricercatori come Bennett (1993), ripresi in ambito scolastico da Goebel e Resse (2000), in riferimento ad uno sviluppo di competenze intercuiturali che può essere riassunto in un modello di maggiore o minore sensibilità interculturale, il Developmental Model of Intercultural Sensitivity (DMIS), messo a punto da Milton Bennet, tra il 1986 e il 1993, articolato in sei fasi, suddivise in stadi etnocentrici (rifiuto, difesa, minimizzazione) e stadi etnorelativi (accettazione, adattamento, integrazione).

La definizione dei vari stadi del modello di Bennett e le relative implicazioni pedagogiche possono essere sintetizzate come segue.

Studi etnocentrici


Rifiuto

Il rifiuto caratterizza l'incapacità di interpretare e rapportarsi con la diversità culturale. Tratti caratteristici di questo comportamento sono stereotipi anche non malevoli e affermazioni superficiali di tolleranza. La tendenza generale è, però, a disumanizzare l'altro. Due sono gli atteggiamenti principali in questa fase, isolamento e separazione.

L'isolamento fa riferimento all'assenza di strumenti per descrivere la diversità e alla possibilità che il soggetto viva una vera e propria forma di isolamento fisico rispetto a chi viene percepito come diverso.

La separazione è invece la costruzione intenzionale di barriere fisiche o sociali che accentuino la distanza rispetto a chi viene percepito come diverso, in modo da mantenere l'isolamento. È in questo ambito che ritroviamo un accentuato nazionalismo e il relegare le persone considerate diverse nella categoria dell'altro. In merito a questa fase, finalità chiave per l'apprendimento è il riconoscimento delle differenze culturali. La principale sfida cognitiva riguarda la formulazione di una visione costruttiva delle relazioni interculturali, attraverso processi che stimolino la curiosità e facilitino il contatto strutturato con altre culture. In questa fase è da considerarsi come obiettivo per l'apprendimento lo sviluppo di almeno quattro tipi di competenze:

· saper raccogliere informazioni adeguate rispetto alle culture

· saper prendere l'iniziativa di esplorare aspetti della propria cultura soggettiva

· fiducia, disponibilità, cooperazione

· riconoscimento della diversità


Difesa

La difesa si caratterizza per una modalità polarizzata di pensiero (noi/loro), spesso accompagnata da un'aperta espressione di stereotipi negativi e da idee evoluzioniste dello sviluppo culturale che vedono la propria cultura in posizione privilegiata. Denigrare e assumere atteggiamenti di superiorità (o di inferiorità) caratterizzano la postura difensiva.

Denigrare presuppone che la diversità venga riconosciuta, ma anche che questo riconoscimento si accompagni ad una valutazione negativa, spesso legata a pregiudizi prevalenti in merito a categorie come l’appartenenza etnica o religiosa, o a caratteristiche legate al sesso, all'età etc.

Un atteggiamento di superiorità relega in genere la diversità, percepita come potenziale minaccia, in posizione di inferiorità. Sottolinea van Dijk (1994) presentando studi condotti sulla riproduzione del razzismo nei Paesi Bassi e negli Stati Uniti: "Le élite si immaginano tolleranti e contrarie al razzismo, mentre al tempo stesso tollerano e legittimano 'l'odio per lo straniero', attribuendolo alla classe operaia (...) A ciascun gruppo appare ovvio il voler mantenere e riprodurre la propria autonomia e il proprio potere politico, economico e simbolico".

In merito a questa fase, finalità chiave per l'apprendimento è mitigare la polarizzazione enfatizzando la "comune umanità", le somiglianze.

La principale sfida cognitiva, e l'ambito cui dedicare ampio sostegno nel processo educativo, riguarda l'esperienza diretta della diversità e il riuscire a mettere in evidenza. da una parte, i contesti storici e, allo stesso tempo, gli elementi di somiglianza fra gruppi che si ritengono diversi, per esempio bisogni e mete in comune. In termini relazionali ciò significa prestare attenzione alla trasformazione dei conflitti e alle dinamiche di gruppo, mettere in evidenza abilità che facilitano il confronto e la relazione con la diversità, il ricorso a attività di tipo cooperativo.

In questa fase è da considerarsi come obiettivo per l'apprendimento lo sviluppo di almeno quattro tipi di competenze:

· saper mantenere l'autocontrollo

· saper controllare le proprie ansie

· tolleranza

· pazienza


Minimizzazione

"Per cavarsela con ogni cultura l'importante è essere sé stessi, autentici ed onesti!", potrebbe essere fra i riferimenti acquisiti da chi pratica il riconoscimento e il rispetto per le differenze, ma tende a minimizzarle, prendendo in considerazione tratti culturali superficiali (per esempio riguardo alle abitudini alimentari), ma nella convinzione che tutti gli esseri umani siano uguali. Per molte organizzazioni che fanno riferimento all'intercultura, sembra proprio che sia questo stadio a costituire l'obiettivo di una crescita in senso interculturale. In questo ambito sono dominanti i concetti dell'universalismo fisico ("in fondo ci assomigliamo tutti"), che vede una. stretta relazione fra cultura e biologia, e dell'universalismo trascendente ("siamo tutti figli di Dio"), che subordina tutti gli esseri umani a entità religiose, soprannaturali o di filosofia sociale.

In merito a questa fase, finalità chiave per l'apprendimento è lo sviluppo di elementi di auto-consapevolezza a livello culturale. Le principali sfide cognitive riguardano il riconoscimento di categorie e elementi di riferimento per poter capire la propria cultura, compresi valori e credenze; confrontarsi con i privilegi dei gruppi dominanti; arrivare ad utilizzare materiali per la trasmissione culturale della propria cultura, per esempio messaggi pubblicitari e giornalistici. A livello dei processi educativi ciò implica riuscire attraverso attività strutturate a facilitare il contatto con persone che abbiano un atteggiamento di etnorelativismo; offrire opportunità di ricerca e confronto con la diversità; focalizzare l'attenzione sullo sviluppo dell'auto-consapevolezza a livello culturale.

In questa fase è da considerarsi come obiettivo per l'apprendimento lo sviluppo di almeno sei tipi di competenze:

· conoscenze generali di tipo culturale

· apertura

· conoscenze sulla propria cultura

· ascolto attivo

· cercare di percepire gli altri in modo accurato

· saper mantenere un atteggiamento di interazione non giudicante


Studi etnorelativi


Accettazione

La prospettiva etnorelativa ha origine con l'accettazione della diversità culturale. Ciò implica il rispetto per le differenze in merito ai comportamenti, per esempio le variazioni dei comportamenti verbali e non verbali nelle varie culture, guardando ai comportamenti nel loro contesto culturale. Acquisendo inoltre consapevolezza dei propri riferimenti valoriali e della costruzione culturale di questi valori, si rende possibile percepire i valori stessi come processi e come strumenti per organizzare il mondo, piuttosto che come una sorta di dotazione di partenza degli individui. In merito a questa fase, finalità chiave per l'apprendimento è l'analisi dei contrasti di tipo culturale.

La principale sfida cognitiva riguarda l'uso appropriato di categorie culturali generali (etiche) e specifiche (emiche), distinguendo il relativismo di tipo culturale dal relativismo morale o etico. A livello dei processi educativi è la fase in cui favorire la motivazione e l'entusiasmo per il confronto con la diversità per un'analisi dei contrasti profondi. Il contesto più efficace e favorevole a questo proposito è quello di esperienze interculturali relativamente guidate, quali periodi di soggiorno in altro contesto culturale, ma anche giochi e simulazioni che richiedono empatia a livello interculturale.

In questa fase è da considerarsi come obiettivo per l'apprendimento lo sviluppo di almeno sei tipi di competenze:

· conoscenze specifiche a livello culturale

· flessibilità cognitiva

· conoscenza di altre culture

· conoscenze di tipo contestuale

· rispetto per i valori e le credenze di altre culture

· tolleranza nei confronti dell'ambiguità.

Adattamento

A partire dall'accettazione delle differenze culturali si rende possibile lo sviluppo di atteggiamenti di adattamento ed in particolare di abilità di comunicazione interculturale. Sono i requisiti per poter entrare ed uscire dalle varie cornici di senso adottando posture che privilegiano l'empatia, la capacità di mettersi nei panni degli altri ed adottare altri punti di vista. Perfezionare tali competenze permette di comportarsi all'insegna del pluralismo, muovendosi a proprio agio fra diversi contesti di riferimento.

In merito a questa fase, finalità chiave per l'apprendimento è lo sviluppo di riferimenti per poter operare scelte fra le competenze a disposizione.

La principale sfida cognitiva riguarda lo sviluppo dell'identità culturale acquisendo consapevolezza dei modelli etnici di identità e dei modelli di sensibilità interculturale e preparando e gestendo le condizioni della re-immersione nella cultura di origine nel caso di scambi interculturali.

A livello dei processi educativi è utile in questa fase poter interagire con contesti culturali non ancora esplorati e affrontare elementi legati alle ansie profonde come le dinamiche individuali dello shock culturale e i conflitti di identità.

In questa fase è da considerarsi come obiettivo per l'apprendimento lo sviluppo di almeno cinque tipi di competenze:

· empatia

· affrontare e saper correre rischi

· risoluzione dei problemi

· gestione delle dinamiche relazionali

· flessibilità.


Integrazione

Mentre il precedente stadio di adattamento comporta l'abilità di saper far convivere nel proprio repertorio diversi contesti di riferimento, la progressiva interiorizzazione di queste cornici di senso permette di integrarle non allo scopo di far prevalere il proprio punto di vista culturale o di una semplice coesistenza, ma nella consapevolezza che il proprio sé è un processo dinamico e la propria identità può essere definita come "marginale" rispetto alle varie culture "date". Si tratta quindi di affinare le competenze in merito alla valutazione dei contesti e allo stesso tempo di fare i conti con una "marginalità costruttiva", non obiettivo ultimo per il processo di apprendimento, ma piuttosto un punto di partenza che permette un'efficace mediazione culturale, l'abilità di attraversare e mettere in comunicazione diverse visioni del mondo. In merito a questa fase, tema chiave per l'apprendimento è la messa a fuoco delle caratteristiche dell'identità multiculturale.

Le principali sfide cognitive riguardano l'acquisizione di modelli di mediazione culturale, la comprensione delle modalità multiculturali riferite al sé e alla società, la comprensione dei modelli dello sviluppo etico. A livello dei processi educativi si tratta di favorire un punto di vista sulla propria identità In quanto processo e soggetto di scelte, discutendo le strategie che caratterizzano la costruzione dell'identità culturale.

In questa fase è da considerarsi come obiettivo per l'apprendimento lo sviluppo di almeno quattro tipi di competenze:

· flessibilità di ruoli

· flessibilità in merito all'identità

· saper creare nuove categorie

· disporre di un senso dell'ironia sensibile alle diversità culturali.

Lo sviluppo di competenze interculturali studiando all'estero: l'esperienza Intercultura/AFS

È particolarmente interessante, in questo contesto, la ricerca condotta da Mitchell R. Hammer, docente di studi sulla pace e sulla risoluzione dei conflitti all'American University di Washington, "Developing intercultural competence through study abroad: the AFS experience", presentata il 14 gennaio nell'aula magna dell'Università Bocconi di Milano nell'ambito dell'anno cinquantenario di Intercultura/AFS rete di scambi studenteschi internazionali per la formazione interculturale. La ricerca ha coinvolto 1500 studenti liceali di nove Paesi (Austria, Brasile, Cina, Costa Rica, Ecuador, Germania, Giappone, Italia, Stati Uniti) utilizzando come strumento di rilevazione l'Intercultural Development Inventory (IDI) di Bennett e Hammer per verificare quali competenze interculturali abbiano acquisito gli studenti durante un soggiorno annuale all'estero all'età di 17 anni. Gli studenti italiani coinvolti nella ricerca sono stati 298.

Il programma tipo di AFS - quello oggetto dello studio di Hammer - muove ogni anno circa 10.000 studenti liceali di 54 Paesi che, dopo una accurata selezione ed una preparazione all'esperienza, vengono ospitati gratuitamente da una famiglia all'estero e là frequentano una scuola per un intero anno scolastico, assistiti da volontari AFS (Intercultura in Italia) che li aiutano ad inserirsi nella nuova comunità, a comprenderne i valori ed i comportamenti e ad intrecciare relazioni sociali soddisfacenti.

Una precedente ricerca promossa da AFS sui propri programmi fu realizzata da Cornelius Grove e Betsy Hansel tra il 1980 e il 1985 e mise in luce cinque aree in cui i borsisti AFS si distinguevano nettamente dai compagni di scuola rimasti a casa: l'interesse verso altri mondi e la capacità di accettarne gli stili di vita, la conoscenza o l'apprezzamento di un'altra cultura, la capacità di comunicare efficacemente in una lingua straniera, l'adattabilità a situazioni nuove ed inattese, il senso di appartenenza ad una comunità globale. La stessa ricerca aveva anche evidenziato che nei ragazzi tornati da un soggiorno all'estero - rispetto ai coetanei rimasti a casa - prevalevano

· un atteggiamento meno materialistico

· meno conformismo

· più capacità di comunicare anche in pubblico

· una consapevolezza maggiore delle proprie radici culturali.

Altre ricerche hanno ribadito queste conclusioni, che sono confermate dai messaggi che la scuola italiana trasmette ad Intercultura negli incontri frequenti con presidi ed insegnanti, nonché dai risultati brillanti che gli ex-borsisti AFS conseguono negli esami di ammissione all'università e nei curricula di studi e professionali successivi. Dando perciò per accertato che un anno di vita e di scuola all'estero favorisce l'acquisizione di competenze generali e la maturazione di un adolescente, Intercultura e AFS - che si definiscono "una ONLUS per costruire il dialogo interculturale" - hanno voluto investigare proprio gli aspetti interculturali della crescita che avviene, durante tale anno, in un ragazzo di 17 anni:

· quanto si sviluppano le sue capacità comunicative (verbali e non) in un contesto straniero?

· sino a che livello di spontaneità e naturalezza riesce ad interagire con persone di quel Paese?

· quanto riesce veramente a comprendere e interpretare della nuova cultura?

· quali strumenti acquisisce per affrontare in futuro altre situazioni interculturali?

A questo scopo si sono rivolte a Mitchell Hammer, per uno studio indipendente sulle competenze interculturali acquisite da un gruppo campione di borsisti AFS di nove Paesi, valutando in particolare l'impatto della loro esperienza sulla loro

· capacità di affrontare situazioni interculturali

· ansietà di fronte a situazioni culturalmente diverse

· conoscenza delle variabili culturali

· efficacia comunicativa in una lingua straniera

· abilità ad interagire con persone di altri Paesi

· rete di amicizie con gente straniera.

Dalla visione etnocentrica alla visione etnorelativa

Applicando ora il modello DMIS di Milton Bennett, quali passaggi si possono osservare in merito al superamento di una visione etnocentrica per adottarne una più aperta al mondo e alla diversità culturale?

I test di ingresso rivelano che la maggior parte degli studenti AFS, prima di trascorrere un anno all'estero, si trova in una fase di etnocentrismo o di moderato universalismo: a sei mesi dal rientro in patria si rileva invece un accentuato passaggio alla fase universalistica - con una variazione di ben sei punti nella scala IDI - mentre il gruppo di controllo rimasto a casa resta stabile sul punteggio di partenza. Si registrano anche casi di passaggio ad un etnocentrismo che privilegia le caratteristiche del Paese d'accoglienza (fase dì reversal). Esaminando i casi singolarmente, i cambiamenti maggiori si verificano in quegli studenti che sono partiti da una fase di etnocentrismo accentuato e che accedono a forme di universalismo, minimizzando quelle differenze nei confronti dello straniero che in partenza erano viste come insuperabili e non accettabili. Chi invece si trovava già in una fase di apertura verso le differenze culturali mostra cambiamenti minori. Pochi studenti (3%) si trovavano infine in una fase di etnorelativismo prima di partire per un anno all'estero (si tratta generalmente di studenti provenienti da famiglie internazionali o con precedenti soggiorni prolungati all'estero): anche in questo caso tuttavia il loro numero quasi raddoppia (5%) dopo il programma AFS.

Le conclusioni del prof. Hammer mostrano che un'esperienza di vita e scuola in un altro Paese in età adolescenziale contribuisce a ridurre i pregiudizi, gli stereotipi, le discriminazioni ed a creare una base comune per una risoluzione dei conflitti culturali. Ancora più importante è il dato relativo al percorso degli studenti che partono da condizioni di maggiore marginalità e di etnocentrismo più sostenuto: sono proprio loro ad evidenziare i cambiamenti più forti verso una visione del mondo più universalistica e di valori condivisibili. Ciò libera il terreno dal rischio di élitismo che circonda talvolta i programmi AFS: sembra infatti beneficiarne di più proprio chi ha avuto meno occasioni di esperienze internazionali precedenti.

Può essere oggetto di indagine ulteriore il fatto che pochi (5%) tra i soggetti studiati raggiungano la fase di etnorelativismo. La dimensione del campione studiato, la novità della metodologia applicata e l'indipendenza del ricercatore fanno di questo studio di Mitchell Hammer una tappa molto importante, su cui si potranno utilmente confrontare e misurare le ricerche future sull'educazione ai rapporti internazionali ed alla mondialità.

L’istituzione europea che ha dedicato particolare attenzione all'educazione interculturale è il Consiglio d'Europa che con le sue pubblicazioni recenti raccomanda di considerare all'interno dei processi educativi il modello dei Bennett o simili soprattutto in termini di strategie interculturali, piuttosto che come rigidi progressioni da uno stadio di apprendimento al successivo.

Due testi in italiano che presentano traduzioni o sintesi degli scritti di Bennett sono:

Bennett M.J. (a cura di) (2002), Principi di comunicazione interculturale, introduzione di Ida Castiglioni, Milano, Franco Angeli.

Miltenburg A., Surian A. (2002), Apprendimento e competenze interculturali. 20 giochi e attività per insegnanti e educatori, Bologna, EMI.


La ricerca di Hammer è sicuramente tra gli studi di maggiore ampiezza realizzati nel settore degli scambi educativi internazionali: 1500 studenti liceali seguiti per due anni e sino a sei mesi dopo il rientro a casa, contemporaneamente alle loro famiglie ed alle famiglie che li hanno ospitati all'estero, 638 compagni di scuola come gruppo di controllo, nove Paesi coinvolti, sei lingue con metodologie rigorose di verifica delle traduzioni. Oltre a test ed interviste, lo studio ha anche utilizzato i diari degli studenti per alcuni approfondimenti qualitativi. Il modello utilizzato per la ricerca e il Developemental Model of Intercultural Sensitivity (DMIS), ricordato qui sopra. A partire dal lavoro di Bennett, Mitchell Hammer ha creato l'Intercultural Developement Inventory (IDI) per misurare i livelli di competenza Interculturale del soggetti ed il loro passaggio da una fase a quella successiva. È lo strumento utilizzato per la ricerca sui borsisti AFS.

L'Idi sintetizza il modello DMIS in tre fasi principali. Si parte, in genere, da una fase di etnocentrismo che si manifesta come negazione o rifiuto delle differenze culturali (esaltazione della propria cultura e disprezzo per le altre: denial or defense nel linguaggio di Bennett). Un etnocentrismo (alla rovescia) può manifestarsi anche quando si adotta come propria una cultura altra (è il caso di chi va a vivere all'estero e si immedesima totalmente e acriticamente nei valori e nei comportamenti del nuovo Paese. Bennett chiama questo atteggiamento "reversal"). Da questa fase iniziale - se si hanno esperienze interculturali si può passare ad una fase dl universalismo in cui si tende a minimizzare le differenze tra le culture (minimization nel linguaggio di Bennett: siamo tutti esseri umani, tutti sostanzialmente uguali )

Se le esperienze interculturali proseguono in modo soddisfacente, può svilupparsi una fase di etnorelativismo, in cui la propria cultura è vista nel contesto delle altre senza idealizzazioni, e si impara a sentirsi a proprio agio a livello internazionale, accettando le norme ed i comportamenti delle culture con cui si entra in contatto, senza necessariamente condividerle (fase di acceptance and adaptation, secondo Bennett).

Il test di entrata somministrato da Hammer ai 1500 borsisti AFS prima del loro anno all'estero (2002-2003) delinea un identikit iniziale dei soggetto medio sotto esame come segue: una studentessa (le ragazze sono. più numerose dei ragazzi: 66% contro 34%) di 17 anni, europea, che non ha mai vissuto fuori del suo Paese, aspirante a trascorrere un anno negli Stati Uniti, con un livello medio-basso di conoscenza dell'inglese (livello 2 su una scala da 0 a 5). Come è cambiata questa "studentessa ideale" nel corso del suo anno all'estero e nei sei mesi successivi al rientro, rispetto ad una amica o compagna di scuola rimasta a casa?

È ovviamente aumentata la sua conoscenza del Paese straniero, non solo nella percezione sua, ma anche in quella della famiglia che l'ha ospitata.

È vistosamente aumentata la sua confidenza con la lingua straniera: il 12% degli studenti ha raggiunto un livello di bilinguismo perfetto (5), un altro 35% parla la lingua straniera "fluentemente" (livello 4), tutti sono progrediti di almeno due livelli rispetto a quello dl partenza.

È aumentato il tempo che, al rientro in Europa, passa con persone di altre nazionalità e sono più che raddoppiate le sue amicizie con stranieri.

Si sente più a suo agio in situazioni interculturali: è diminuito il suo livello di ansietà, quando deve familiarizzare con persone straniere.


Riferimenti bibliografici

Batelaan R, Coomans F. (1995), The International Basis for Intercultural Education including Anti-Racist and Human Rights Education, Strasburgo, IAIE-UNESCO-Consiglio d'Europa

Bannett, M. J. (1993), Towards ethnorelativism: A developmental model of intercultural sensitivity, in M. Palge (Ed.), Education for the intercultural experience, Yarmouth, MN: Intercultural Press.

Cambi F. (2001), Intercultura: fondamenti pedagogici, Roma, Carocci.

Coulby D., Gundara J., Jones J. (a cura di) (1997), Intercultural Education. World Yearbook of Education, Londra, Kogan Page.

Damiano E., (1998), L'Educazione interculturale come innovazione scolastica, in Damiano E. (a cura di), Homo Migrans. Discipline e concetti per un curricolo di educazione interculturale a prova di scuola, Milano, Franco Angeli.

Delors J., (a cura di) (1997), Nell'educazione un tesoro, rapporto all'UNESCO della Commissione Internazionale sull'educazione per il Ventunesimo Secolo, Armando, Roma. Gobbo F. (2000), Pedagogia interculturale. Il progetto educativo nelle società complesse, Roma, Carocci.

Göbel, K., Hesse H. – G. (2000), Outlines of the operationalization of the construct "intercultural competence", in DESI, working paper.

Kymlicka W. (1999), La cittadinanza multiculturale, Bologna, il Mulino.

Van Dijk T., (1994), Il discorso razzista, Rubettino, Soveria Mannelli e Messina.

a cura di Alessio Surian

(da Cem mondialità, aprile, 2005)

 

Letto 12356 volte Ultima modifica il Domenica, 31 Gennaio 2016 21:17
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search