Religioni: sorelle, non nemiche
di André Chouraqui
Tutto è stato vissuto, detto e scritto sui conflitti che ancora oggi insanguinano il mondo. L'essenziale lo esprime la Bibbia nella descrizione del primo delitto, quello di Caino che uccide Abele (Genesi 4,8). Abele e Caino sono fratelli. Uno è pastore, l'altro agricoltore. Essi non accettano la loro diversità. Sono lacerati dalla gelosia fino al delitto. Data l'unità della razza umana, nata da un'unica coppia - Adamo ed Eva -, tutti gli umani sono necessariamente fratelli. Ogni omicidio è un fratricidio.
Si apre così la via al primo e al più difficile dovere dell'uomo o della donna: quello di accettare la propria differenza, origine di tutti i conflitti e di tutte le guerre. Il dialogo è possibile solo nell'accettazione primaria delle differenze dell'Altro. Io posso conoscere l'Altro e dialogare con lui solo nella misura in cui conosco e accetto la sua differenza, quella della sua persona, del colore della sua pelle, della sua razza, della sua lingua, della sua cultura, della sua religione, del suo carattere.
Il primo dovere dell'uomo nuovo sarà perciò di vincere l'infermità congenita che lo porta a rinchiudersi in se stesso nell'illusione di essere il centro e la misura unica dell'universo. Questa illusione ingenera tutti i conflitti tribali, nazionali, internazionali e, cosa forse ancor più grave, le guerre di religione che hanno insanguinato e seguitano a insanguinare il pianeta.
La loro estrema gravità deriva dal fatto che sono condotte nel nome di Dio. Si può venire a patti su interessi umani. Gli interessi di Dio non si contrattano. Di qui il carattere implacabile delle guerre di religione. Esse imperversano tuttora in ogni continente così come hanno imperversato in ogni secolo. Le peggiori sono probabilmente quelle che hanno contrapposto le religioni abramiche: giudaismo, cristianesimo e islam. Queste religioni adorano il medesimo Elohim. I loro testi sacri sono la Bibbia ebraica, il Nuovo Testamento e il Corano, che proclamano i medesimi valori di amore, giustizia e fratellanza universale annunciati dai medesimi profeti.
Ho sempre provato un senso di stupore e ribellione nei confronti dei conflitti nati dallo scontro di queste tre religioni, sorelle nemiche, che perpetuavano le loro guerre fratricide su qualunque frontiera e in qualunque secolo s'incontrassero. Ai loro occhi, i conflitti avevano cause tanto più irrefutabili quanto più erano inscindibili dalla loro identità. Per gli ebrei i conflitti, connaturati alla loro stessa identità, cominciano fin dai tempi più remoti e sono legati agli esili subiti.
Il regno d'Israele, distrutto dagli assiri nel 721 a.C., e il regno di Giudea, occupato dai babilonesi nel 586 a.C., costringono gli ebrei a imboccare la via senza fine dell'esilio, fino a quando i romani occupano il loro Paese nell'anno 63 prima dell'era cristiana e distruggono Gerusalemme nell'anno 70 della nostra era. In quell'occasione crocifiggono, secondo Tacito, circa 600 mila vittime e costringono i superstiti della guerra di Roma ad abbandonare il loro Paese conquistato per imboccare la via senza fine dell'esilio. Per salvaguardare le vestigia della propria identità perduta, gli ebrei non hanno altra scelta che quella di barricarsi nei loro ghetti. Lì riusciranno a salvaguardare la memoria della loro storia, i loro scritti, la loro lingua e i sogni dei loro profeti, tramandati nella Bibbia ebraica.
Il ritorno, pressoché contemporaneo, dei peggiori massacri della storia, quelli delle ultime due guerre mondiali, avviene nelle nostre generazioni, sotto i nostri occhi, nell'epoca dei mutamenti più radicali dell'umanità. Essa scopre con orrore i crimini, le omissioni e gli errori di cui si è resa colpevole e, contemporaneamente, la portata del suo genio che è in grado di penetrare i più reconditi segreti dell'infinitamente grande e dell'infinitamente piccolo.
Dipende dalla scelta di ognuno di noi se orientare il nostro futuro globale verso le distruzioni che minacciano il pianeta, oppure verso l'infinito di un nuovo futuro che il genio dell'uomo dischiude all'umanità. L'ostacolo più arduo su questa via d'innovazione consiste per l'uomo nel consentire il sacrificio della propria identità, senza il quale nessun futuro sarebbe per lui possibile sulla terra.
Paradossalmente le stesse religioni che sono all'origine dei peggiori conflitti della storia detengono anche, nei Dieci Comandamenti, la chiave del futuro. Esse sono unanimi nell'indicare questo testo come essenziale per il futuro dell'umanità, soprattutto in questo anno 2000, proclamato anno internazionale della pace dalle Nazioni Unite, che su iniziativa dell'Unesco hanno redatto un manifesto che sollecita tutti i Paesi del mondo ad aderire al Mouvement international pour la culture de la paix et de la non-violence, e ognuno di noi cittadini ad assumere nella vita quotidiana, nella famiglia, nel lavoro, nella nostra comunità, nel nostro Paese, l'impegno di: rispettare la vita, in particolare quella di qualunque persona senza discriminazioni né pregiudizi; respingere la violenza, fisica, sessuale e psicologica in particolare; liberare la nostra generosità; ascoltare per comprendere meglio; preservare il pianeta, difendendo l'equilibrio delle sue risorse naturali; reinventare la solidarietà.
A questi sei principi proclamati dal Manifesto dell'anno 2000 aggiungo una settima raccomandazione, invitando tutti coloro che si rifanno alla Torah, ai Vangeli o al Corano, a eliminare ogni reciproca barriera di misconoscimento e di odio. Cristiani, musulmani ed ebrei devono ritenersi particolarmente responsabili di questo Manifesto, che in ogni sua parte è implicito nel Decalogo.
Il nostro sogno, quello dei profeti di Israele, degli apostoli di Gesù Cristo, dei compagni di Muhammad, come pure dei fondatori delle Nazioni Unite, diventa ai giorni nostri un'esigenza politica. Essa condiziona non solo la sopravvivenza dell'umanità, ma anche quella del pianeta stesso, minacciato dalla corsa agli armamenti da parte di tutti i governi del mondo. In questo senso le religioni, che hanno agito da potente freno, potrebbero, con la loro riconciliazione e riunione, accelerare il cammino dell'umanità verso l'adempimento della sua unità originaria.
Un primo passo in questa direzione è stato compiuto durante lo storico pellegrinaggio di papa Giovanni Paolo II a Gerusalemme, in occasione della sua preghiera ai piedi del muro del pianto. L'ulivo della pace, piantato a Gerusalemme da un ebreo, un musulmano e dal Papa stesso, apre la prospettiva nuova di una sinergia fra le tre religioni un tempo concorrenti.