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Martedì, 09 Gennaio 2007 12:05

LA CHIESA DI FRONTE ALLE SFIDE DELLA «NUOVA CINA»

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Cina / A confronto le comunità «ufficiali» e sotterranee

LA CHIESA DI FRONTE ALLE SFIDE DELLA «NUOVA CINA»

La Chiesa di Cina, ufficiale e sotterranea, è più viva che mai. E’ una Chiesa che soffre ed evangelizza, e che non attende i rapporti diplomatici fra Cina e Vaticano come una panacea. Anche se schiacciata da controlli, arresti, persecuzioni, cresce al ritmo di 150 mila battesimi di adulti ogni anno.

E’ questa l’immagine che emerge dal Colloquium Cina-Europa, svoltosi aTriuggio (Milano) dal 6 al 10 settembre scorsi. All’incontro hanno partecipato circa 200 persone dalla Cina e dal mondo cattolico e missionario. Fra i maggiori rappresentanti del mondo asiatico, erano presenti mons. John Tong, vescovo ausiliare di Hong Kong, personalità ortodosse del Patriarcato di Mosca e del mondo protestante. Fra gli italiani intervenuti, mons. Luigi Bressan, arcivescovo di Trento e presidente della Commissione episcopale per l’evangelizzazione; mons. Giovanni Giudici, vescovo di Pavia; mons. Angelo Mascheroni, vescovo ausiliare di Milano, rappresentante del cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo della diocesi ospitante il convegno.

Quest’anno il Colloquium ha celebrato la sua settima edizione. Iniziato in modo informale nel 1992, dall’interesse e la passione per

la Cina di alcuni missionari europei, il Colloquium è divenuto poco a poco un punto di riferimento importante per il rapporto fra Chiese europee e Chiesa cinese. Ma la ripresa dei rapporti fra cristiani europei e cinesi risale ad almeno 25 anni fa, dopo la morte di Mao Zedong e le prime timide aperture di Deng Xiaoping. Il tema di quest’anno è stato proprio «25 anni di incontro con

la Chiesa in Cina. Una valutazione guardando al futuro».

È toccato a padre Jeroom Heyndrickx tracciare un primo bilancio di questi 25 anni, dal 1981 al 2006. Nella sua relazione ha sottolineato che «

la Cina di oggi non è quelia di 25 anni fa»: l’ideologia comunista è ormai crollata e lo stesso Partito comunista cerca di modernizzarsi; anzi, negli stessi vertici vi sono divisioni molto forti fra conservatori e progressisti. Proprio queste tensioni spiegano il carattere «a pendolo» della politica cinese sulla libertà religiosa, che alterna aperture e chiusure, novità e durezze. Nel corso del Colloquium, altri relatori - fra cui padre Roman Malek e padre Giancarlo Politi - hanno invece sottolineato che, pur con qualche aggiustamento, la politica religiosa di Pechino non è cambiata in questi 60 anni di comunismo. Ne è causa l’eredità confuciana e imperiale, che impone il controllo sulla vita dei cinesi, e il progetto comunista di distruggere le religioni o perlomeno dominarle.

Ciò su cui tutti gli intervenuti sono d’accordo, invece, è il fatto che

la Chiesa in Cina non è più quella di 25 anni fa. Agli inizi degli anni Ottanta.

la Chiesa cinese, appena uscita dall’uragano della Rivoluzione culturale, era una Chiesa povera di clero, con sacerdoti molto anziani, senza religiosi o religiose.

Dalle testimonianza presenti al convegno - sacerdoti, religiose, laici dei quali non ci è possibile fare i nomi per sicurezza - emerge con chiarezza che oggi

la Chiesa della Cina è giovane: in molte diocesi l’età media dei sacerdoti è sui 34-35 anni; in molte aree fioriscono vocazioni religiose femminili a carattere diocesano, anche se rimane il divieto governativo a far nascere e radunare vocazioni religiose maschili. Anche gli impegni ecclesiali sono maturati. Da una semplice pastorale di sopravvivenza, oggi le comunità cristiane sono passate a un impegno massiccio nella carità verso orfani, anziani, malati di Aids. In molti casi, nella Cina che ha eliminato ogni sostegno sociale, essi offrono cure mediche gratuite ai poveri. Tutti questi impegni della Chiesa ufficiale e non ufficiale sono ben visti dal governo, perché rispondono a bisogni che lo Stato stesso ignora o non riesce a soddisfare.

I problemi di questa Chiesa - al di là di quelli esterni causati dalla persecuzione - sono dovuti proprio al divario fra la relativa giovinezza dei nuovi convertiti e la profonda vecchiaia delle sue leve più anziane, con un marcato gap generazionale. Fra i sacerdoti e le suore cinesi presenti, varie testimonianze hanno sottolineato che nel clero e fra le religiose mancano figure di mezz’età (50- 60 anni, corrispondenti agli anni della Rivoluzione culturale), che dovrebbero avere funzione di leadership, o di direttori spirituali, con i quali i più giovani potrebbero trovarsi più facilmente in sintonia. Il rischio sottolineato da molti e in particolare da mons. John Tong, è che i giovani, senza modelli da seguire, si esauriscono nell’attivismo e nelle pratiche di pietà senza maturare nella contemplazione.

Un altro problema è l’urgenza di accompagnare il passaggio da una fede tradizionale e poco ragionata - fatta di devozioni e precetti - a una fede più adulta, capace di vivere e testimoniare la gioia del rapporto con Gesù Cristo.

La carenza di direttori spirituali e di figure vicine ai giovani, come anche l’esigenza di una formazione più profonda e moderna, ha spinto da tempo le diocesi della Cina a inviare all’estero seminaristi, sacerdoti, religiose. A tutt’oggi, i preti e le suore cinesi che studiano in Europa e America sono alcune centinaia. Al Colloquium sono stati verificati i pro e i contro di questo rapporto.

Pur dentro queste difficoltà, i partecipanti sono rimasti stupiti della vitalità dei cristiani cinesi e della capacità che essi hanno a offrire una risposta di fede al problemi della società. Un professore cinese ha fatto notare che la società cinese contemporanea presenta tante sfide: «Il materialismo nella vita quotidiana, l’individualismo sfrenato, che spinge all’egoismo e a non fare attenzione alle persone, al futuro e all’ ambiente».

La Chiesa - ha continuato l’accademico - è chiamata «ad ascoltare il grido silenzioso nel cuore della gente», mostrando che «una sana collaborazione fra la fede e la ragione migliora la vita umana».

di Bernardo Cervellera

direttore di AsiaNews

Mondo e Missione/Novembre 2006

I numeri dei cattolici in Cina

Non è facile offrire dati certi circa la presenza cattolica in Cina. Le stime più attendibili, aggiornate all’ottobre 2005, sono fornite dall’HoIy Spirit Study Centre. In base ad esse il numero dei cattolici in Cina si aggira Intorno ai 12-13 milioni, 4-5 della comunità ufficiale, il resto «clandestini».

Nelle 138 diocesi si contano 64 vescovi della Chiesa ufficiale (aperta), mentre i pastori della comunità non ufficiale (clandestina) risultano essere 39. Significativa la presenza dei sacerdoti, soprattutto ordinati da pochi anni: nella Chiesa ufficiale ce ne sono 1.620, mentre 180 preti sono già anziani. Rilevante anche nella Chiesa non ufficiale il numero di presbiteri: 900 giovani e 200 anziani. Anche In questo caso, si evidenzia il «buco» generazionale tra i 35 e I 60 anni, creatosi negli anni della Rivoluzione culturale.

In ogni caso, il numero di seminari fa ben sperare per Il futuro della Chiesa cinese: 14 seminari maggiori (con 640 seminaristi), 18 minori (con circa 500 seminaristi), 10 della Chiesa non ufficiale, che registrano la presenza di circa 800 giovani. Rilevante anche la componente femminile nel tessuto ecclesiale del Paese asiatico: infatti nella Chiesa ufficiale operano 3.600 religiose, con 40 novizie e 600 giovani in formazione; circa 1.200, invece, le suore nelle fila della Chiesa non ufficiale, con 20 novizie e 600 sorelle che si stanno formando. Ma bisogna considerare che si tratta di stime ancora provvisorie, destinate a crescere.

(l.bad.)

Letto 1723 volte Ultima modifica il Mercoledì, 14 Marzo 2007 00:08
Fabrizio Foti

Architetto
Area Mondo Oggi - Rubrica Ecclesiale

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