Algeria – Islam - Chiesa
La scelta (obbligata) del nascondimento
Una volta al mese si ritrovano In una saletta della Maison diocesaine, luogo di residenza, ospitalità e di molte attività della diocesi di Algeri. E’ Il cuore della comunità cristiana della capitale, questa grande casa, che regolarmente accoglie anche quello che è il suo nucleo più intimo, fragile, discreto e, nondimeno, orgoglioso: il piccolo «gregge» di cristiani algerini.
Questa domenica, sono solo un gruppetto che non arriva alla decina; la maggior parte sono donne, dl età diverse. C’è anche una coppia e alcuni uomini.
Leggono il Vangelo, insieme a mons. Teissier, lo commentano e pregano. Poi discutono. Con molta libertà e apertura. La nuova legge sui culti non musulmani inquieta tutti. Come comportarsi nei confronti del governo? E rispetto agli evangelici, che fanno apertamente proselitismo? Occorre essere solidali con gli altri cristiani, sostiene qualcuno. Si, ma occorre anche distinguersi, asseriscono i più:
la Chiesa cattolica è qui per servire, non per convertire. Quel modo di fare proselitismo, dicono, è deleterio innanzitutto per gli altri cristiani.
Eppure loro stessi sono dei convertiti. Anzi, proprio per questo, ribadiscono che non bisogna fare di tutta un’erba un fascio. Le loro sono storie molto speciali e specifiche, uniche, estremamente personali. I numeri così esigui sono lì a dimostrarlo.
Le loro vicende, dicono, non hanno nulla a che vedere con l’incremento di conversioni che si sta registrando In questi ultimi tempi specialmente in Cabilia, regione berbera e con velleità indipendentiste, dove la religione sta diventando strumento anche per rivendicazioni politiche e identitarie.
La posizione della Chiesa cattolica, sottolineano, è sempre stata di grande prudenza. Anche mons. Teissier lo ribadisce: «Noi siamo qui in una relazione di rispetto e di servizio gratuito. E’ quello che ci chiede il Vangelo che ci invia per servire, non per convertire». E rincara convinto: «Il centro della nostra missione, della nostra vita e della nostra preghiera non è la costituzione della nostra Chiesa, ma la vita dei nostri fratelli algerini».
Ecco perché anche le richieste di coloro che manifestano l’intenzione di conoscere il cristianesimo vengono vagliate con grande discernimento, così come le motivazioni che hanno spinto queste persone ad avvicinarsi a un’altra religione. Una donna ricorda che suo padre ha iniziato il cammino a13 anni ed è stato battezzato a 67. Quanto a tenacia non c’è che dire... La maggior parte di loro è diventata cristiana molti anni fa: una donna nel ‘64, l’altra nel ‘76, alcuni in anni più recenti. Spesso sono casi unici all’interno della loro famiglia, in una condizione di grande fatica e spesso di sofferenza. Tuttavia, a coloro che vengono battezzati si chiede che almeno un membro della propria famiglia ne sia a conoscenza. È l’unica condizione. «Per il resto - spiega padre Jean Belaïd Ould Aoudia, uno dei due preti algerini, presenti nel Paese, attualmente a Tizi Ouzou, capoluogo della Cabilia - si chiede discrezione, non per paura o tattica, ma per carità cristiana. La scelta di essere cristiani non deve arrecare danno alla propria famiglia o all’ambiente in cui si vive. Nessuno ha diritto di mettere in difficoltà i propri cari».
Una coppia racconta la sua esperienza dolorosa: il marito non ha mai voluto nascondere la propria identità religiosa e per questo subisce una progressiva emarginazione. Di qui la crescente difficoltà a vivere e lavorare nel contesto in cui i due erano inseriti, fino all’emigrazione all’estero. Poi, quando decidono di ritornare in patria, ricominciano da zero, tra mille difficoltà e con molta più discrezione, lontani dalla loro regione d’origine. Ma senza mai tradire la loro fede.
Un’altra donna racconta che nella sua famiglia sono al corrente della sua scelta solo la figlia e il marito. «A mio figlio, invece, non posso proprio dirlo. Non capirebbe». Le dispiace, ma non è triste. «Solo Dio sa…..»
Mondo Missione/Novembre 2006