LE PRIORITÀ DELLA CARITAS
Nell’aprile 1994 il Ruanda si è trasformato da «Paese delle mille colline» in Paese dei mille problemi e dei mille cimiteri. Il genocidio, durato ufficialmente poco più di tre mesi, ma poi proseguito con assassini, vendette, ritorsioni da una parte e, dall’altra, ha lasciato una nazione in rovina: morti dappertutto e un numero impressionante di orfani, vedove, persone senza casa, disabili. Gran parte della popolazione si è rifugiata nella Repubblica democratica del Congo e nei Paesi vicini. Poi, pian piano, è tornata la normalità, per quanto possa tornare normale un Paese nel quale più di un decimo della popolazione è stata massacrata in cento giorni. E’ cominciata la ricostruzione, tanto più difficile in una provincia, come quella di Cyangugu, che con il Congo confina e che prima ha dovuto registrare l’esodo dei ruandesi in fuga, poi l’arrivo dei profughi congolesi di diverse fazioni.
La Chiesa cattolica ha avuto un ruolo importante nel post-genocidio: nella diocesi di Cyangugu, in cui territorio coincide con quello della provincia omonima, la metà dei 566mila abitanti è cattolica. Nella ricostruzione, in quella umana prima ancora che materiale, il braccio operativo è stata
la Caritas, diretta da don Modeste Kajybwami. «Sono i gesti concreti a parlare più dei discorsi, perché rendono credibile il messaggio evangelico - osserva -. Noi, come strumento della pastorale della Chiesa, dobbiamo svolgere il nostro ruolo soprattutto nell’assistenza di coloro che non hanno niente e sono dimenticati dalla società.
La Caritas di Cyangugu, come del resto tutto il Paese, finito il genocidio non aveva più nulla Abbiamo chiesto aiuto alle Caritas europee e il nostro appello è stato ascoltato: abbiamo ricevuto cibo, vestiti, medicine, lastre di metallo per ricostruire i tetti delle case. Ma
la Caritas deve anche annunciare il Vangelo spingendo alla condivisione, alla pace, al perdono e all’amore: per fare questo lavoriamo con le strutture esistenti della Chiesa, come le comunità ecclesiali di base e le parrocchie».
Per concretizzare il suo ruolo sociale,
la Caritas ha dovuto fissare alcune priorità: il contributo alla ricostruzione delle case, l’aiuto agli orfani, la creazione e l’avvio delle associazioni delle famiglie che hanno accolto i bambini rimasti senza genitori, l’elaborazione di progetti in grado di generare reddito, gestiti da queste stesse associazioni (ad esempio, l’allevamento di mucche e capre), oppure a carattere cooperativo (la gestione dei mulini e la fabbrica dei mattoni), o, ancora, rivolti al piccolo commercio. Tra le altre esperienze e proposte messe in campo, l’aiuto alla scolarizzazione degli orfani, il sostegno per le cure sanitarie, l’alfabetizzazione. Nonostante gli sforzi profusi, però, restano ancora molte emergenze da affrontare: «Il numero degli indigenti aumenta, così come quello dei senza casa e dei malati di Aids che lascia nuovi orfani - prosegue don Modeste -. I poveri non hanno da mangiare a sufficienza, non possono farsi curare né pagare la scuola per i loro figli. Basta un problema climatico e la situazione si aggrava. Ci sono molti bambini malnutriti, il cui peso non corrisponde a quello che dovrebbero avere alla loro età, ragazzi di strada e giovani con meno di 15 anni che diventano capi-famiglia. Le carceri sono piene di detenuti: solo nella prigione di Cyangugu ce ne sono seimila, due volte alla settimana le loro famiglie vengono a portare qualcosa da mangiare per i loro congiunti Per tutto questo
la Caritas fa qualcosa, ma non può trovare vere soluzioni». Lavora sodo con gli orfani che hanno finito la scuola elementare, ma non possono frequentare le secondarie (sono 2.631 nella diocesi, divisi in 815 famiglie). Ha istituito un servizio che si occupa della lotta all’Aids e invita la gente ad associarsi in forme di mutua assistenza, per garantirsi la tutela della salute, ma il problema è sempre il numero degli indigenti. «Facciamo animazione alla carità, alla condivisione, al sostegno ai poveri, all’auto-promozione e al rispetto della vita - aggiunge don Kajyibwami -. Perché siamo convinti che
la Caritas è lo strumento della pastorale sociale della Chiesa, ma anche della pace e della riconciliazione. Riceviamo un aiuto dalla Caritas francese, ma è insufficiente. Vorremmo riuscire a realizzare un progetto generatore di risorse, in modo da auto-finanziare le nostre iniziative, ma l’obiettivo è ancora lontano. Del resto, lo sviluppo e la riconciliazione impongono un lungo cammino. Noi preghiamo sempre il Signore affinché non ci sia mai più un genocidio in Ruanda e in tutto il mondo».
a.m.
Popoli/Agosto-Settembre 2006