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Giovedì, 03 Marzo 2016 12:06

Il senso dell'incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill (Marco Galloni)

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Nel pomeriggio di sabato 20 febbraio 2016 si è tenuta a Roma, presso la sede della rivista “La Civiltà Cattolica”, una tavola rotonda sull’incontro tra Francesco I e Kirill, patriarca di Mosca: «Papa Francesco e il patriarca ortodosso Kirill. Il senso di un incontro», questo il titolo della tavola rotonda.

Nel pomeriggio di sabato 20 febbraio 2016 si è tenuta a Roma, presso la sede della rivista “La Civiltà Cattolica”, una tavola rotonda sull’incontro tra Francesco I e Kirill, patriarca di Mosca: «Papa Francesco e il patriarca ortodosso Kirill. Il senso di un incontro», questo il titolo della tavola rotonda. Tre i relatori, tutti appartenenti alla Compagnia di Gesù: padre Antonio Spadaro, direttore della rivista; padre David Nazar, rettore del Pontificio Istituto Orientale; padre Germano Marani, docente di teologia orientale e missiologia; a moderare la tavola rotonda ha provveduto padre Francesco Occhetta, anch’egli gesuita e giornalista de “La Civiltà Cattolica”. Dopo aver sottolineato che Kirill I è a capo di una Chiesa di circa 200 milioni di fedeli, padre Occhetta ha ricordato che l’incontro tra il papa e il patriarca, avvenuto a Cuba il 12 febbraio scorso, è stato definito in un comunicato introduttivo con due parole oltremodo significative: tappa e segno.

 

INCONTRARSI IN UN NON-LUOGO DI UN NUOVO MONDO

Padre Antonio Spadaro, che all’incontro era presente, ha ripreso queste due parole. L’abbraccio tra Francesco e Kirill non è stato né un punto di partenza né tantomeno un punto di arrivo ma una tappa intermedia, dal momento che le relazioni tra le chiese cattolica e russa hanno le loro radici nel passato, non sono nate oggi. Oltre che tappa, ha aggiunto Spadaro, l’incontro è stato anche un segno di speranza per tutti gli uomini di buona volontà. Papa Bergoglio non sposa mai meccanismi interpretativi rigidi nell’affrontare le situazioni. Il suo agire risponde a una logica talvolta imprevedibile, frutto di una visione profetica e poliedrica: profetica perché lancia la palla oltre il campo, forza in qualche modo il gioco; poliedrica perché mette insieme aspetti diversi, a volte complessi e perfino conflittuali. Questo è tipico di ciò che in un’intervista rilasciata nel 2013 papa Francesco definì “pensiero incompleto” o “pensiero aperto”.

L’incontro di Cuba non si è tenuto in una curia né in altra sede istituzionale, ma in una sala dell’aeroporto José Martí de L’Avana. Un ambiente spartano in stile anni ’70, con mobili demodé e sedie di legno, che qualcuno ha definito un “non-luogo”; l’aeroporto è un posto di passaggio, non di permanenza. Non-luogo, però, non significa utopia. Francesco I non ama le utopie, le astrazioni: ama incontrare le persone, se necessario, anche in posti non consolidati, non canonici, capaci di generare dinamiche nuove. In questo senso la scelta dell’aeroporto della capitale cubana non poteva essere più indovinata. L’incontro tra Bergoglio e Kirill non è avvenuto in Europa, dove il conflitto tra le due chiese è nato e si è sviluppato, ma in un non-luogo del nuovo mondo. Come a dire: se in Europa è nato lo scontro, speriamo che dal nuovo mondo possa venire la riconciliazione.

 

L’UNITÀ SI FA CAMMINANDO

Una riconciliazione cui pervenire attraverso un percorso di cui l’incontro di Cuba è per l’appunto solo una tappa: «L’unità si fa camminando», ha detto il papa. Atterrato al José Martí alle 14,00 ora locale, Bergoglio è stato ricevuto dal presidente Raúl Castro che, consapevole del significato di questo incontro, lo ha favorito. Il dialogo tra Francesco e Kirill è durato quasi due ore. Nessuno sa esattamente cosa il papa e il patriarca si siano detti, a parte forse i traduttori e pochi altri. Bergoglio ha parlato solo di gioia e di soddisfazione profonda: «Sentivo una gioia interiore che era proprio del Signore. Kirill parlava liberamente e anche io lo facevo. Si sentiva la gioia». Francesco ha poi donato al patriarca un calice dicendo queste parole: «Glielo regalo perché quando lei dirà la Messa possa ricordarsi di me che sono un peccatore».

Le motivazioni dell’incontro non sono di carattere teologico, teoretico. Si tratta di qualcosa di assai più concreto e, se così si può dire, di più laico: la persecuzione dei cristiani. Il dramma storico che stiamo vivendo ha mosso due leader cristiani, che pure hanno molte divergenze tra loro, a incontrarsi e abbracciarsi, perché non si può rimanere indietro nei confronti della storia. Bisognava mettere da parte i disaccordi e unire gli sforzi. Per disaccordi non si intendono solo quelli tra cattolici e ortodossi ma anche quelli interni a ciascuna confessione. Perché quando questo papa incontra altri leader religiosi, è già avvenuto con il pastore Kruse o, a Caserta, col pastore Traettino, suscita tensioni. In questo senso il pontificato di Francesco I è drammatico, perché sviluppa drammi, attriti, che però sono fondamentali per la crescita.

 

IL CONFLITTO RUSSIA UCRAINA E LA QUESTIONE MEDIORIENTALE

Bergoglio non ha posto alcuna condizione per questo incontro. Lo aveva già detto nel novembre 2014 quando, di ritorno da Istanbul, si era rivolto al patriarca Kirill con queste parole: «Io vengo dove tu vuoi. Tu mi chiami e io vengo». Questo non porre condizioni esprime tutto il primato della carità che è proprio del vescovo di Roma: aprire cuore, braccia, mente e incontrare i leader cristiani. All’incontro ha fatto seguito un documento ufficiale, ma il vero fulcro è l’abbraccio tra questi uomini che non si erano mai incontrati. Il documento è importante, ma l’abbraccio lo è forse di più. Le questioni tra le due chiese sono tutt’altro che risolte: le accuse da parte russa di proselitismo, il problema dell’uniatismo, il conflitto tra Russia e Ucraina, e così via. La posizione del papa su questo conflitto è quella che prese il 4 febbraio 2015, quando disse: «Ancora una volta il mio pensiero va all’amato popolo ucraino. Purtroppo la situazione sta peggiorando e si aggrava la contrapposizione tra le parti. Io penso a voi, sorelle e fratelli ucraini: questa è una guerra tra cristiani. Voi tutti avete lo stesso battesimo: state lottando tra cristiani, pensate a questo scandalo». Nel documento si fa cenno a tutto questo, si dice che l’uniatismo non è il modo per ristabilire l’unità, ma anche che le comunità greco cattoliche hanno il diritto di esistere e di intraprendere ciò che è necessario per soddisfare le esigenze spirituali dei fedeli, cercando nello stesso tempo di vivere in pace con i vicini; ortodossi e greco cattolici hanno bisogno di riconciliarsi e di trovare forme di convivenza reciprocamente accettabili.

Nel documento ci sono anche ampi riferimenti al medio oriente. Il dramma mediorientale è stato evocato tra le motivazioni dell’incontro cubano. Già nel settembre 2013, scrivendo a proposito della situazione siriana al presidente Putin in occasione del G20 di San Pietroburgo, Francesco I affermava: «Duole constatare che troppi interessi di parte hanno prevalso da quando è iniziato il conflitto siriano, impedendo di trovare una soluzione che evitasse l’inutile massacro cui stiamo assistendo». Per combattere il cosiddetto stato islamico servirebbe che sunniti, sciiti, occidente e Russia facessero causa comune. La posizione del papa non consiste nel dare torti o ragioni a questo o a quell’altro, perché lui sa perfettamente, e lo ha detto, che alla radice degli interventi c’è una lotta di potere per la supremazia regionale: ma questa supremazia, ha dichiarato Bergoglio, è «una vana pretesa». Però bisogna venirne fuori, occorre parlare con tutti, si impone la necessità di vedere la cosa da un’ottica differente. Le chiese hanno il dovere morale di far pressione, di chiedere alla comunità internazionale di agire urgentemente.

 

L’UNITÀ DELLA CHIESA A FAVORE DEL MONDO

Durante il viaggio di ritorno il papa, in riferimento alla dichiarazione seguita all’incontro, ha detto ai giornalisti una cosa importante: attenzione, questo non è un documento politico, sociologico; ha invece un valore pastorale. Quando lo si legge si può restare colpiti da alcuni toni un po’ rigoristi, da un giudizio piuttosto duro sulla secolarizzazione in occidente. Ma l’obiettivo di Francesco e Kirill non è quello di fare una santa alleanza contro l’occidente scristianizzato. Il papa e il patriarca vogliono fare l’unità della chiesa a favore del mondo, anche se questo costa fatica. Ostilità ed equivoci ci sono e ci saranno, ma alla fine cadranno se il cammino proseguirà. È questa la politica ecclesiastica della misericordia. I punti caldi saranno stati trattati a tu per tu, ma certo nell’incontro di Cuba si è colta una determinazione che è andata al di là di ogni cautela. Per papa Francesco il primato della cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale di carità (“Lumen gentium”, 13), impone gesti di questo tipo, generosi e profetici. Per alcuni critici questo può essere visto come un “hacer lío”, espressione usata dal papa e da lui stesso tradotta con «fare casino». Il papa suscita scalpore quando fa gesti del genere, ma questo fa parte del discernimento e del progresso della chiesa. La politica evangelica non sempre richiede cautela ed equilibrio; a volte esige anche gesti incompresi ma profetici. Come ha dichiarato il cardinal Péter Herdö, la chiesa in Europa considera questo evento avvenuto al di là dell’Atlantico come un ulteriore passo compiuto per l’unità e per la comune testimonianza dei cristiani.

 

L’ECUMENISMO INIZIA DALLA BASE

Nativo di Toronto, padre David Nazar è vissuto per 13 anni in Ucraina. Il gesuita canadese ha ripreso quanto detto dal direttore Spadaro, ma da un punto di vista diverso: quello della sofferenza vissuta dagli ucraini e dai russi nel XX secolo. Si stima che nel periodo compreso fra la prima e la seconda guerra mondiale siano morte, a causa dei conflitti, delle persecuzioni staliniste, delle carestie e via dicendo, non meno di 25 milioni di persone, solo calcolando gli ucraini. Eppure durante il periodo sovietico non si poteva parlare di questa sofferenza, un po’ come in Germania, dopo il secondo conflitto mondiale, per lungo tempo non è stato possibile parlare di guerra. Solo oggi, a circa 25 anni dalla caduta dell’Unione Sovietica, è possibile affrontare il tema delle sofferenze patite dai russi, dagli ucraini e dalle loro chiese durante il cosiddetto secolo breve. Ma la memoria della sofferenza rimane nella cultura e nella mentalità, impedendo di parlare con franchezza, con sincerità: «Per questo» – ha detto padre Nazar – «io ripeto come un ritornello che quello tra Francesco e Kirill è stato un incontro fraterno, come il pontefice ha detto di ritorno dal Messico». Questo è molto importante perché senza la fraternità è impossibile parlare delle complessità storiche tra questi due paesi, Ucraina e Russia. Né, senza fraternità, la Chiesa russa può parlare col mondo. Ogni passo, adesso, è un passo storico. Il gesuita canadese ha poi aggiunto: «Ora è possibile pensare a un secondo incontro e a conversazioni più profonde, e questo sarà molto importante per le chiese cattoliche e ortodosse. Ho un cauto ottimismo dopo questo primo incontro».

Secondo Nazar, tuttavia, sarebbe un errore pensare che l’ecumenismo inizi con i leader delle chiese. Durante la sua permanenza in Ucraina il gesuita di Toronto ha fatto l’esperienza di un ecumenismo di base molto attivo. In Ucraina la Compagnia di Gesù organizza una quarantina di ritiri della durata di 8 giorni: ebbene la metà delle persone che vi prende parte è laica e un buon 30% ortodossa. In un villaggio del centro del paese, altro esempio, c’è un gesuita che insegna catechismo a tutti i ragazzi, ortodossi e cattolici.

L’incontro tra il papa e il patriarca di Mosca, secondo padre Nazar, ha prodotto effetti importanti anche sotto l’aspetto teologico. Per la Chiesa ortodossa è molto difficile sviluppare una teologia che possa rivolgersi al mondo moderno. Ma la Chiesa russa ha l’opportunità straordinaria di parlare degli effetti dell’ateismo di stato, che ben conosce. Già Paolo VI, ha ricordato Nazar, chiese alla Compagnia di Gesù di studiare le conseguenze di un ateismo che permea la cultura di un popolo, entra nelle strutture di governo, penetra in modo capillare. Ebbene la Chiesa russa è forse la più qualificata per un’analisi del genere. Può essere una cosa molto importante per il mondo, anche occidentale; c’è un aspetto profetico in questo. E sarebbe bello fare un simile lavoro insieme alla Chiesa cattolica, perché questa ha una tradizione lunghissima negli studi superiori, universitari. La Chiesa russa, invece, è una chiesa giovane; ha una tradizione anziana ma è una chiesa giovane. Ciononostante esistono divisioni anche nella Chiesa russa, come esistono in quella cattolica. Molti preti ortodossi della vecchia scuola non tollerano di sentir parlare di ecumenismo, di unità con la Chiesa cattolica, e il patriarca deve tener conto anche di loro; è una cosa molto difficile. Difficile è anche definire il rapporto tra chiesa e stato a livello teologico. La teologia ortodossa parla di una chiesa, un governo, una cultura, una nazione. Questo oggi non esiste più: ma proprio per tale ragione è il momento buono per un nuovo sviluppo della teologia ortodossa.

 

LA STORIA RUSSA, UN CONTINUO OSCILLARE TRA OCCIDENTE E ORIENTE

Da poco rientrato in Italia dalla Russia, padre Germano Marani ha collaborato a lungo con la Chiesa greco cattolica di Ucraina, con l’attuale arcivescovo maggiore, con la Chiesa ortodossa russa, con i seminaristi e i professori. Di recente, per esempio, è stato convocato dal lontanissimo seminario di Khabarovsk – che si trova vicino alla Cina, a pochi chilometri dal fiume Amur – per valutare l’ammissione all’insegnamento di un giovane sacerdote ortodosso, autore di un ottimo lavoro su san Basilio. Pochi giorni fa, ancora, padre Marani ha tenuto presso l’accademia delle scienze di Mosca una conferenza sul tema “La persona e la misericordia dal Concilio Vaticano II a oggi”, da cui sono nate discussioni interessantissime con docenti e con persone che hanno fatto l’esperienza dell’Unione Sovietica. Il tema della centralità della persona e della misericordia, ha ricordato Marani, fu presente nel Vaticano II fin dal primo discorso di Giovanni XXIII all’apertura dei lavori. Disse papa Giovanni: «Noi non useremo la forza. Useremo la misericordia verso il mondo». E Paolo VI, nel discorso di chiusura, parlò di «teologia del buon samaritano».

Anche per padre Marani l’incontro tra Francesco I e Kirill è stato un segno e un simbolo. Non dobbiamo però avere fretta. L’incontro tra Paolo VI e Atenagora, per rifarci a questo importante precedente, non ha dato frutti immediati. Il dialogo teologico è iniziato solo dopo vent’anni. Trarre subito le conclusioni dell’abbraccio tra papa Bergoglio e l’attuale patriarca di Mosca non è possibile, e non sarebbe nemmeno saggio cercare di farlo. In fondo la storia russa è un continuo andirivieni tra occidente e oriente, un incessante oscillare tra questi due poli. Marani ha ricordato a tal proposito il caso di Anna di Kiev, figlia di Jaroslav il Saggio. Dopo lo scisma del 1054, Anna andò in sposa a Enrico I re di Francia; ebbene, ancora oggi il presidente francese, all’inizio del suo mandato, giura sulla Bibbia in paleoslavo di Anna figlia di Jaroslav. Occidente e oriente, insomma, continuano a interagire, ad avere relazioni.

Germano Marani ha parlato poi, in riferimento al “senza condizioni” di Bergoglio, di una spiritualità, di un’ascesi e di una cultura dell’incontro. Incontrarsi senza porre condizioni vuol dire praticare una vera e propria ascesi, significa impegnarsi sul piano spirituale. Purtroppo, a detta di Marani, questa spiritualità, ascesi e cultura dell’incontro manca non soltanto nella Chiesa ortodossa ma anche nella Chiesa cattolica. Il gesuita mantovano ha parlato anche della sua idea di missione dossologica, che sta cercando di sviluppare all’università Gregoriana. La missione è dossologica o non è missione, ha detto padre Marani, perché non porterà altro che a innalzare il «gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo»: e allora un «gloria al Padre» per questo incontro tra Francesco e Kirill. Si tratta, ha ripetuto Marani, di una promessa nel tempo: vedremo quali conseguenze avrà questo incontro e se saprà dare un senso a tutto il dolore, ai milioni di morti, alle carestie che in qualche modo stanno dietro all’abbraccio tra Francesco e Kirill.

Di grande importanza, secondo il gesuita, è l’insistenza del papa sulla natura pastorale del documento nato dall’incontro di Cuba: «So bene cosa significhi lavorare insieme a persone di mentalità, lingua e cultura diverse, che magari pensano ancora secondo schemi preconciliari. Perché facciamo presto a dire, ma noi il Vaticano II lo viviamo da almeno cinquant’anni. Loro non hanno ancora vissuto questo momento, e forse neanche il Concilio panortodosso che si terrà a giugno segnerà questo passaggio definitivo, perché probabilmente lì inizierà solo una serie di incontri, come ha detto il patriarca Daniel di Romania a Chambésy qualche mese fa».

L’incontro tra Francesco e Kirill sta riempiendo le pagine dei giornali russi. Poco dopo l’abbraccio di Cuba uno dei più antichi settimanali russi, “Ogoniok”, pubblicava in copertina una miniatura del XIV secolo con papa Leone IX che scomunica Cerulario. All’interno c’era la didascalia: «È da tanto che non ci vedevamo». E di recente Komsomól'skaja Pravda”, un giornale fondato da Lenin nel 1925, titolava: «In Russia sta avvenendo una crescita del cristianesimo senza precedenti». Forse è proprio vero, come ha confidato a padre Marani un famoso docente, che stiamo assistendo all’europeizzazione del “russkiy mir”, del mondo russo. Niente trionfalismi, ma qualcosa sta veramente cambiando. A livello di base, come abbiamo visto, l’ecumenismo esiste da tempo. E ora comincia a manifestarsi anche a livello di vertice, tra i leader religiosi.

Marco Galloni

 

Letto 2837 volte Ultima modifica il Giovedì, 03 Marzo 2016 13:04
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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