Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input
di Massimo Toschi
Per comprendere la posizione di Giovanni Paolo II bisogna saper distinguere tra impianto dottrinale e gesti profetici che contengono sempre un elemento di novità e di freschezza evangelica.
Sul piano della dottrina è necessario prendere atto che, con il Pontificato del papa polacco, c'è una ripresa esplicita della teologia della guerra-giusta. Già la discussione sulla deterrenza all'inizio degli anni '80 e poi la formulazione della teologia dell’ingerenza umanitaria rappresentano passi significativi in questa direzione, ma con il capitolo sulla legittima difesa e sulla guerra giusta nel catechismo della Chiesa universale si ha una piena legittimazione dottrinale di questa ripresa.
Comunità S. Egidio
Il profeta Isaia ci parla di un mondo in cui regna la pace, in cui tutti i popoli vanno "verso il monte del Signore". E oggi siamo riuniti per pregare insieme per la pace in tutte le terre. La preghiera ci raccoglie e ci sostiene in una via di pace.
La nostra domanda di pace non viene dal desiderio egoista di preservare il nostro benessere:
come se, succeda quello che succeda, volessimo comunque restare fuori dal problemi e dalle difficoltà di chi vive situazioni di guerra e di violenza. Non c'è un desiderio egoistico di tirarci fuori dalle responsabilità di un aiuto, di una solidarietà, di una vicinanza. La nostra domanda di pace viene dal constatare che tanti, troppi, conflitti sono ancora aperti. E non si fa niente o molto poco per chiuderli, per trasformare "le spade in vomeri" e "le lance in falci", come dice il passaggio del profeta Isaia. Sono i conflitti che si svolgono in tanti Paesi di questo mondo.
Comunità S. Egidio
I cristiani debbono sentirsi impegnati nella costruzione della pace in modo del tutto particolare, ed è impegno di sempre. Infatti, non possiamo dimenticare le tante altre guerre sparse nel mondo che continuano a mietere vittime innocenti. Dalla Terra Santa a quelle del Medio Oriente, a quelle africane o asiatiche, che dividono i paesi, che tengono in ostaggio intere popolazioni, che impediscono un futuro dignitoso a tanta gente. E poi la grande minaccia del terrorismo, con la sua violenza cieca e con la sua potenza capace di colpire in maniera drammatica.
di Lidia Maggi
Sono stati giorni intensi: tanti incontri pubblici per dire no alla guerra, per invocare la pace, uno sguardo più rivolto verso il mondo che all'interno delle nostre realtà ecclesiali, l'urgenza lo ha richiesto. Ed ora? Tutto passato? Abbassiamo la guardia? Si è pregato, digiunato, manifestato, firmato appelli e sperato che la pressione mondiale fermasse la furia omicida delle bombe. Ci sentiamo stanchi. Ma questa volta nel Getsemani gli occhi dei discepoli sono rimasti vigili, abbiamo vegliato, pregato, compreso la gravità del momento e provato a reagire. Tuttavia la speranza ha faticato a fluire. Nemmeno l'annuncio della risurrezione ha eliminato il buio di un mondo irredento... attendiamo ora lo spirito, spirito di pace che soffi nel mondo e nelle nostre chiese, ne abbiamo bisogno...
di Francesco Gesualdi
Mentre scrivo tutto lascia presagire che l'attacco all'Iraq ci sarà e quando questo articolo sarà apparso saremo in piena guerra. Bush si è sforzato di convincerci che la sua è una battaglia del bene contro il male, del paladino della libertà e della democrazia contro il mostro del terrore e delle dittatura. Tutto è stato studiato nei minimi dettagli per garantirgli consensi e assicurargli mano libera nell'uso di qualsiasi arma. A fargli scuola sono stati i cartoni animati giapponesi che raccontano sempre storie di un forte buono in lotta contro un potente cattivo. Gli psicologici hanno constatato che nonostante la sua violenza, il buono si attira sempre le simpatie degli spettatori che gli riconoscono il diritto di fare tutto ciò che è negato al cattivo.
di Vittorio Citterich
Giovanni Paolo II, la cui vocazione storica, sin dall’inizio del pontificato, sembra essere quelle di abbattere mura di divisione e costruire ponti di riconciliazione, ha indetto per il 5 marzo, mercoledì delle ceneri del 2003, una giornata di preghiera e digiuno per la causa della pace, ancora una volta minacciata da turbinosi venti di guerra verso l'Iraq, preannunciando una nuova "tempesta del deserto" come quella già duramente sperimentata nel l991. Già in quella drammatica occasione il Papa aveva ammonito contro il ricorso alla guerra, "avventura senza ritorno". E nel marzo del 2003, ha ripetuto essere "doveroso per i credenti, a qualunque religione appartengano, proclamare che mai potremo essere felici gli uni contro gli altri, mai il futuro dell'umanità potrà essere assicurato dal terrorismo e dalla logica della guerra".
di Alberto Bobbio
Quando gli americani hanno chiesto a tutte le organizzazioni non governative di registrarsi presso i propri uffici militari per poter lavorare in Iraq, la maschera è del tutto caduta. La scelta statunitense andava ben al di là di una semplice offerta di protezione. Rivelava che la campagna militare aveva avuto come scopo principale il controllo di un paese e dei suoi affari.
Anche gli affari umanitari servono allo scopo politico. La discussione che è seguita a livello planetario ha diviso gli "umanitari", ma non ha fatto recedere gli uomini del Pentagono, i quali in pratica hanno spiegato che si accettava, oppure l'unica cooperazione sarebbe stata quella militare. Ma l'attenzione dei media si è concentrata solo sulla cooperazione umanitaria veicolata all'intervento militare, quasi che ci fosse una strategia internazionale per escludere dagli schermi tv chi non accetta protezione e controllo degli eserciti. Anche la missione militare italiana, che costa circa 270 milioni di euro, ne prevede61 in aiuti umanitari.
di Drew Christiansen
* Drew Christiansen è gesuita. L'articolo è stato pubblicato sul settimanale statunitense "America" (rivista dei gesuiti) il 24/372003.
E’ stata una mossa audace. Mentre numerosi funzionari vaticani e lo stesso Giovanni Paolo II esprimevano una critica vigorosa a una possibile guerra all'Iraq, l'ambasciatore statunitense presso la Santa Sede ed ex presidente nazionale del partito repubblicano, Jim Nicholson, invitava a Roma Michael Novak dell'American Enterprise Institute di Washington per sostenere la fondatezza di una "guerra preventiva" contro l'Iraq. L'invito di Nicholson è stato una contromossa rispetto alla coraggiosa resistenza vaticana alla politica bellicista dell'Amministrazione Bush, in atto da mesi.
"Se il 10 di settembre avessimo saputo cosa sarebbe successo l'11", ha chiesto Nicholson, "non saremmo stati giustificati nel correre ai ripari contro quella minaccia?". La guerra giusta, ha sostenuto l'ambasciatore, deve essere compresa nel "contesto dell'epoca in cui stiamo operando, cioè velocità quasi istantanea con cui le armi, con il loro potere di distruzione di massa, vengono rese operative".
di Emmanuel C. Mac Carthy
Per gran parte della mia vita, certamente gli anni in cui indossavo l’uniforme di generale dell’esercito, pensavo in modo diametralmente opposto a quanto ora esporrò.
Il presupposto di queste riflessioni è che Cristo ha qualcosa d’importante da dirci sul modo di vivere la vita cristiana. Lo scopo è di ricercare la verità di Cristo, con la comunità dei cristiani e all’interno di essa. È un testo serio perché il problema è serio: si tratta della guerra e di ciò che Cristo attende nei suoi confronti da coloro che lo seguono. Non procede da uno spirito ostile verso qualcuno nella comunità cristiana. Ma vi sono fatti terribili e spiacevoli nella storia cristiana e nella vita cristiana di oggi, che dobbiamo esaminare. Abbiamo 1.600 anni di cristianità postcostantiniana che hanno giustificato la guerra e la violenza. Ogni secolo ha visto un crescendo di brutalità e di vittime della guerra. Una percentuale impressionante di queste distruzioni disumane può essere attribuita a coloro che si confessano cristiani, discepoli del Principe della pace.
di Enzo Bianchi
Da alcuni mesi da quando una nuova guerra nel Golfo ha cominciato a profilarsi all'orizzonte, non passa praticamente giorno in cui non si levi un’autorevole voce cristiana per invocare la pace, per condannare la guerra, per proclamare che la guerra non è inevitabile. Giovanni Paolo II continua ad affermare in modo ossessivo e senza ambiguità che "la guerra è sempre una sconfitta dell’umanità", "un’avventura senza ritorno", ha ridestato con forza il messaggio della Pacem in terris di Papa Giovanni, l'apice del magistero cattolico sulla pace, insiste nel chiedere a tutte le Chiese locali veglie di preghiere e giorni di digiuno per implorare la pace così fortemente minacciata. Parallelamente, il Papa ha voluto che la diplomazia vaticana in un’azione a tutto campo in favore della pace presso i governi e le istituzioni internazionali, spingendosi fino a ricevere personalmente il ministro irakeno Tarek Aziz e a inviare a Baghdad il cardinale Etchegaray, l’uomo a cui ricorre per le missioni in cui bisogna continuare a "sperare contro ogni speranza". Molte Chiese locali – a cominciare dall'episcopato degli Stati Uniti - e numerose se associazioni cattoliche hanno fatto proprio con convinzione questo anelito e si può dire che mai come in questi ultimi mesi l’area cattolica aveva conosciuto un impegno così concorde ed esteso per la pace, mai si era riscontrata una convergenza così universale.