Anche oggi la porta dell'eremo è aperta, il suo focolare brucia ancora avidamente legna secca. E, a vent'anni dalla sua morte, padre Giovarni è sempre lì. Anzi, sui nostri tempi inquieti soffia ancora più forte il suo vento di libertà: libertà dai troppi rumori del mondo, libertà di cercare la propria, personale strada verso Dio. Per questo il ventennale dalla sua scomparsa. non è tanto una scadenza per celebrarlo, quanto un'occasione per riascoltarlo, nella sua attualità profetica. Nato nel 1913 a Pistoia, padre Giovanni entra, giovanissimo, nel convento dei Servi di Maria. Frate e poi sacerdote, dimostra prestissimo una passione profonda per lo studio delle lingue antiche e delle materie bibliche. "Bisogna conoscere", dirà sempre, "per amare di più". Quando però il giovane frate cerca di trasferire nella vita le parole rivoluzionarie del Vangelo, sente aprirsi stridenti contraddizioni, amplificate dalla rigidità della Chiesa preconciliare. La sua fedeltà alla Chiesa passa attraverso durissime prove di obbedienza: la serie di rinunce e di esili si apre nel 1951 quando, dopo pochi mesi, deve lasciare la comunità di Nomadelfia dove si era trasferito per partecipare a "un'esperienza di vita cristiana comunitaria completa", e poi prosegue per quasi vent'anni culminando, a metà degli anni Sessanta, nell'allontanamento dalla diocesi di Firenze. Eppure, è proprio sfregando con la pietra dura delle incomprensioni e delle ostilità, che la scintilla di fede si fa, sempre più, fuoco. Tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, Vannucci è tra i protagonisti del rinascimento spirituale fiorentino. Alle "Messe della carità", presso la chiesa della Santissima Annunziata, la sua voce pacata si alterna a quella tuonante di Turoldo. I corsi di ebraico, i suoi articoli, le lezioni bibliche appassionano un pubblico sempre più vasto di giovani che si riconoscono in questo stile aperto e libero di incontro con il mistero divino, e nella sua attenzione a tutte le espressioni religiose. A differenza di Turoldo, che lo considererà sempre suo maestro e confessore oltre che amico, la dimensione più congeniale a Vannucci, è quella dell'eremo. E finalmente nel 1967, trova, nel cuore del Chianti, il posto che gli assomiglia. "In questo piccolo spazio", scriverà a un amico, "vorrei che ogni uomo si sentisse a casa sua e, libero da costrizioni, potesse raggiungere la conoscenza di sé stesso e incamminarsi nella sua strada forte e fiducioso. Vorrei che fosse una sosta di pace, di riflessione, per ogni viandante che vi giunge, un posto dove l'ideale diventa realtà e la gioia è il flutto spontaneo". L'eremo è un posto nascosto, ma in comunicazione col mondo. Ogni mattina la preghiera crea una sintonia con una diversa religione. Il libro della preghiera universale, pubblicato nel 1978, è il primo tentativo di incontro di tutte le religioni. Padre Giovanni non incoraggia accostamenti o raffronti, non propone sintesi o semplificazioni: per lui ecumenismo è sedersi, fare silenzio e pregare insieme. Il clima delle Stinche vive di questo respiro universale, ma anche di una semplicità di fondo: nell'eremo non ci sono regole, ma un clima di silenzio e sacralità che pervade ogni momento, dal lavoro nell'orto alla cena conviviale, dalla preghiera comune alle passeggiate nel bosco.
Introverso, a volte anche un po' ruvido, austero, ma anche acutamente ironico, padre Giovanni offre ai suoi ospiti il suo silenzio e il suo ascolto. Ma quando, in che sa, o durante le sue lectio divine, si immerge nei mari infiniti della Scrittura, estrae sempre delle perle rare. Sono intuizioni, spunti, vedute che allargano l'orizzonte e che spingono ciascun cercatore di Dio a compiere a sua volta lo stesso percorso di ricerca: "Il Vangelo", scrive, "è la parola scritta che a noi comunica l'energia di Gesù".
Nonostante la sua immensa cultura (la biblioteca delle Stinche conta oltre dodicimila volumi), padre Giovanni non strutturerà mai le sue idee in un sistema. Dio, questo il suo pensiero, è sempre al di là delle nostre definizioni, e ciascuno di noi può incontrarlo solo in un cammino personale di incontro, di apertura, di comunione con gli altri.
Il 18 giugno 1984, un infarto lo mette in contatto diretto con quel Dio cui si è rivolto per tutta la vita. Ma non interrompe il suo cammino sulla terra: "La morte", aveva detto durante un'omelia, "è un'intensificazione della presenza. Quando il fiore si dischiude e lancia il suo polline a fecondare altri fiori non crea assenze: intensifica la sua presenza, rende più forte e fertile la sua vita". In occasione del ventennale, oltre a incontri, commemorazioni e a un convegno sul suo rapporto con la Chiesa fiorentina, una nuova pubblicazione si ripromette di trasformare ancora la sua vita in terra fertile per il cammino spirituale di ognuno. Giovanni Vannucci custode della luce, questo è il titolo, è pubblicato dalla Fraternità di Romena, una realtà nata in Casentino, nella valle di Camaldoli e La Verna, proprio seguendo le idee e le intuizioni di Vannucci. "Non si tratta di una biografia", sottolinea don Luigi Verdi, responsabile della Fraternità, "ma di un tentativo di incontro: a venti anni dalla morte le parole di padre Giovanni si ascoltano ancora al presente".
(da Jesus, luglio 2004)