L’accompagnamento spirituale
(una relazione d’attualità)
L’ambito "spirituale" non si sottrae all’influsso dell’immenso mercato consumistico che offre, senza sosta, sempre nuovi prodotti. Le proposte, gli approcci e i metodi si moltiplicano rivendicando efficacia e successo.
In vista di un autentico servizio alla persona è importante avere chiari criteri per discernere la specificità dei diversi approcci.
Presentiamo alcune linee che il Padre Frank Janin, s.j., ha offerto e che permettono di comprendere gli aspetti peculiari dell’accompagnamento spirituale.
Un tentativo di definizione
La definizione di accompagnamento spirituale permette di delimitare il suo raggio d’azione e di verificare se questa particolare relazione raggiunge il suo scopo.
Questa è la definizione che Padre Janin, forte di un’esperienza pluriennale, ne dà: "L’accompagnamento spirituale ha come scopo di aiutare l’accompagnato a sviluppare una relazione personale cosciente e affettiva con Dio".
Questa definizione ci porta a dire che l’accompagnamento spirituale non è incontro psicologico o psicospirituale, che è adattamento all’attesa di chi chiede aiuto. Chi accoglie richieste d’aiuto deve palesare quale tipo di aiuto può e vuole fornire, per non ingenerare attese irrealistiche. Non bisogna illudere, altrimenti si impedisce alla persona di ottenere l’aiuto specifico e competenze di cui ha bisogno..
Lo scopo dell’accompagnamento spirituale non è quello di migliorare la vita morale di chi è accompagnato, né di risolvere i suoi problemi, né di farlo progredire nella conoscenza teologica, né aiutarlo a fare delle scelte, o a sentirsi bene o a essere più felice… o guarito. Lo scopo è essenzialmente la relazione con Dio.
Non ci si deve concentrare sui problemi, sulle scelte da compiere, sul desiderio di felicità per andare solo in seguito a Dio, con la conseguenza che non si va realmente a Dio,non essendo il soggetto centrale della relazione d’accompagnamento.
Accompagnare è aiutare
Se l’accompagnamento spirituale è l’aiuto a sviluppare una relazione personale affettuiva e cosciente con Dio, l’accompagnatore non si mette al posto di, ma al servizio di chi chiede di essere accompagnato. Il termine accompagnatore rivela il limite di evocare una prossimità eccessiva, dannosa quanto una relazione in cui non c’è spazio per la reciprocità.
S. Ignazio di Lodola raccomanda di "lasciare che il Creatore agisca senza intermediari con la sua creatura e la creatura con il suo Creatore e Signore" (ES 15). Potremmo dire che l’accompagnatore spirituale è un contemplatore, o semplicemente un contemplativo chiamato a facilitare lo svelamento, lo sviluppo di quanto è già presente. Anche l’attenzione contemplativa dell’accompagnatore deve essere rivolta in primo luogo a Dio e al modo del tutto personale con cui si rivela all’accompagnato. Non è la mia immagine di Dio che deve guidare la relazione d’accompagnamento, ma il Dio dell’altro.
Aiutare a sviluppare
Compito di chi accompagna spiritualmente una persona è di aiutare a sviluppare una relazione personale cosciente e affettiva con Dio. Il presupposto di tale compito sta nella convinzione che "Dio stabilisce con ogni creatura umana, senza eccezioni, una vera relazione personale. Dio non si impone mai alla libertà dell’uomo".
Anche se una persona non parla di Dio o afferma di non credere ciò non significa che Dio non ha una relazione con lei. L’accompagnatore attento può contemplare i segni di questa relazione e può aiutare l’accompagnatore a leggere tali segni.
Sviluppare una relazione personale è stabilire una relazione tra un "io" e un "tu" personale e non con un’idea o entità astratta. Segno di quest’avvenuta relazione personale è il dialogo. Nella relazione cosciente posso nominare colui con cui sono in relazione: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, Maria Vergine…? Non solo nominare, ma specificare le caratteristiche di questa relazione.
Una relazione affettiva, infine, è quella in cui è impegnata la propria affettività con tutti i colori dei sentimenti e delle emozioni.: gioia o tristezza, prossimità o lontananza, calore o freddezza, pace o inquietudine.
Guarigioni delle ferite?
A questo proposito dobbiamo distinguere le ferite che ostacolano la relazione da quelle che non sono d’ostacolo ma, paradossalmente, possono essere d’aiuto nel cammino d’unione con Dio. Inoltre teniamo presente che la guarigione non è lo scopo della vita spirituale, ma l’essenziale è incontrare Dio e vivere alla sua presenza.
Porre al centro il desiderio di guarigione può essere d’ostacolo al cammino spirituale, poiché distoglie dalla centralità di Dio. L’accentuazione della guarigione riflette una delle caratteristiche più attuali della nostra società: il culto della salute e la paura della sofferenza e della morte. Nel quadro dell’accompagnamento spirituale si tratta di invitare l’accompagnato a mettere nelle mani di Dio la sua preoccupazione e di concentrarsi su di lui così come la persona lo percepisce, lo sente in quel momento.
Quando la persona incontra veramente Dio fa l’esperienza di un amore incondizionato. Si sente amato così com’è. Non bisogna essere speciali per essere amati da Dio, e neppure per amare lui. Se avviene tale incontro autentico, si assiste ad una guarigione diversa da quella che la persona si attende.
Guarire l’immagine di Dio
Uno dei più importanti obiettivi dell’accompagnamento spirituale consiste nella guarigione delle immagini di Dio. L’immagine che abbiamo di Dio condiziona tutto il resto: la nostra preghiera, la nostra vita morale, etc. Non conta quanto una persona dice su Dio, ma come uno vive realmente. Si può sapere o dire che "Dio è amore", ma vivere una relazione con un Dio iroso. E il Dio dell’interiorità e non quello della testa che deve prendere possesso della mente dell’accompagnato.
La contemplazione concreta, affettiva di Cristo è un punto essenziale di confronto, in grado di guarire le immagini di Dio. Il lavoro della formazione consiste nel far sì che ha poco a poco tutto si interiorizzi. Bisogna che la persona non creda che la vita cristiana sia fatta di pratiche, gesti e riti da compiere alla perfezione.
"L’accompagnamento spirituale che aiuta a concentrarsi su Dio aiuterà a riordinare i "mezzi" in funzione dei "fini". Dio è colui che si cerca. È in funzione di lui che le pratiche della fede acquistano il loro vero senso".
Non si deve porre la questione "che cosa posso fare per Dio", ma nel "che cosa vuole il Signore che io faccia".
Il conduttore non deve prendere il posto di Dio, ma mettere Dio a condurre; deve cercare di essere nel "ritmo" di Dio senza anticiparlo, senza precederlo, affinché si costruisca questa relazione unica che egli vuole avere con la sua creatura.
E.B., L’accompagnamento spirituale. Una relazione d’attualità, in "Testimoni", 1 (2005), pp. 14-16. Riduzione di Cesare Filippini.