Vita nello Spirito

Domenica, 27 Febbraio 2005 18:42

Il linguaggio delle lacrime (Luciano Manicardi)

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«Il paese dette lacrime è così misterioso», fa dire Antoine de Saint-Exupéry al suo piccolo principe. Ma il pianto è anche quanto di più noto e sperimentato vi possa essere tra gli uomini: è una caratteristica umana tipica e universale, un'espressione specifica dell'umanità.

Il linguaggio delle lacrime

di Luciano Manicardi

«Il paese dette lacrime è così misterioso», fa dire Antoine de Saint-Exupéry al suo piccolo principe. Ma il pianto è anche quanto di più noto e sperimentato vi possa essere tra gli uomini: è una caratteristica umana tipica e universale, un'espressione specifica dell'umanità. Noi nasciamo con la capacità di piangere, dotati di questa abilità, eppure sappiamo ben poco sul pianto: perché piangiamo? Perché esprimiamo con questo medesimo linguaggio emozionale sia gioia che dolore?

«Le lacrime non sono mai sono e semplicemente un segno di piacere, sofferenza, sincerità, doppiezza, paura o eroismo. Non esistono lacrime pure» (Tom Lutz). Se spesso il pianto è individuale e nascosto, abbiamo poi gli usi culturali e rituali, religiosi e sacrali, sociali e pubblici del pianto. Insomma, il pianto è un linguaggio, le lacrime sono parole non verbali, sono una forma di comunicazione. Interessante, da questo punto di vista, la tesi di chi ritiene che la vocalizzazione evolutivamente più antica sia il pianto di separazione: poiché i primi mammiferi erano nottambuli abitatori delle foreste, questo pianto serviva ai genitori per ritrovare la prole dispersa, e, più in generale, alla comunicazione interna al gruppo.
Il pianto davanti a un'altra persona mira a suscitare una sua reazione, esprime una richiesta di attenzione. Col pianto cerchiamo di trasformare in sostegno la negatività degli altri: chi assiste al pianto altrui si sente colpito da tale esternazione di vulnerabilità e normalmente tende a farsi vicino, a consolare, a confortare. Le fragili e quasi evanescenti lacrime hanno un grande potere! Il pianto è un mezzo usato dagli umani per restare in contatto tra di loro. Lo stesso pianto infantile non esprime solo il bisogno che chiede di essere soddisfatto, ma tende anche a creare un legame tra il piccolo e i genitori. Il pianto poi non sempre è di facile o univoca interpretazione: di fronte a chi piange spesso siamo in imbarazzo e cerchiamo parole e, soprattutto, gesti, che siano adeguati alla pregnanza del linguaggio di pianto dell'altro) e tentiamo di interpretare le sue lacrime.

Le lacrime svelano un aspetto dell'anima, e quasi la mettono a nudo. Esse sono l'eloquenza discreta dell'anima, il linguaggio del cuore. Sono la parte visibile, per quanto tremula e trasparente, del nostro desiderio. Esse uniscono mirabilmente interiorità ed esteriorità, corpo e anima. «Le lacrime consumano la loro vita fuori dal corpo, testimoniando al suo esterno la sua più autentica interiorità» (Jean-Loup Charvet). Sono la visibilità dell'invisibile. Questa loro tipicità le rende un linguaggio spesso sentito come più autentico e profondo delle parole stesse: «Che sono mai le parole? Una lacrima le supera tutte in eloquenza» (August Wilhelm von Schlegel); «Grazie alle lacrime io posso vivere con il dolore perché, piangendo, mi do un interlocutore empatico che riceve il messaggio "più vero": quello del mio corpo e non già quello della mia lingua» (Roland Barthes). Le lacrime ci dicono qualcosa sulla sapienza del corpo, esprimendo una dimensione della verità insita nel corpo e che le parole e il discorso concettuale non sanno manifestare. Del resto, il pianto si verifica spesso quando meno siamo capaci di verbalizzare adeguatamente emozioni complesse e travolgenti: esso sa dar voce a una miscela di stati d'animo contrastanti.

Come linguaggio comunicativo esso esprime desiderio, aspettativa, preghiera. Nei Salmi la preghiera dell'orante è spesso accompagnata dalle lacrime. Nella malattia («Sono stremato dai lunghi lamenti, ogni notte inondo di pianto il mio giaciglio, irroro di lacrime il mio letto. I miei occhi si consumano nel dolore... Il Signore ascolta la voce del mio pianto»: Sal 6,7-9; «Di cenere mi nutro come di pane, alla mia bevanda mescolo le lacrime»: Sal 102,10, ma anche in altre situazioni difficili (Sal 39,13; 42,4; 80,6). Il pianto, sempre effuso dal salmista «davanti al volto del Signore» (Sal 142,3), è così una preghiera che il Signore gradisce e ascolta: «Hai contato i passi del mio vagare, hai raccolto le mie lacrime in un vaso» (Sal 56,9). Un bel testo della tradizione ebraica recita: «La preghiera è fatta in silenzio, il grido ad alta voce, ma le lacrime sorpassano tutto». Le lacrime cadono a terra, ma la loro efficacia sale al Cielo: in un certo senso esse cadono verso l'alto. Secondo Pier Crisologo le lacrime sono la terra che irrora il cielo. Si comprende che le lacrime abbiano potuto acquisire un'importanza straordinaria nella tradizione spirituale cristiana sia d'Oriente che d'Occidente.

Esse manifestano la sincerità del pentimento e della compunzione di colui che sa riconoscere i propri peccati davanti al Signore: «Chi prega con lacrime è simile a colui che, ai piedi del Signore, gli chiede pietà, come quella prostituta che in poco tempo lavò con le sue lacrime tutti i suoi peccati» (cfr. Lc 7,36-50). Le lacrime per i propri peccati divengono invocazione di purificazione e non a caso esse sono viste addirittura come rinnovamento (non sostituzione!) del lavacro battesimale. Gregorio di Nazianzo parla delle lacrime come di un quinto battesimo, dopo quello allegorico, avvenuto nell'acqua del Mar Rosso, di Mosè (cfr. 1 Cor 10,2), quello solamente penitenziale di Giovanni Battista, quello di Cristo avvenuto nello Spirito Santo e quello dei martiri che avviene nel sangue (e che anche Cristo ha conosciuto). Un detto di un anziano afferma: «Ogni opera buona che l'uomo può fare è fuori del corpo, mentre colui che piange purifica anima e corpo; le lacrime infatti lavano il corpo e lo santificano». Le lacrime sono presto state sentite come un dono (tò charisma tòn dakr on; gratia lacrimarum) e invocate esse stesse, nella convinzione che esse «conducano alle soglie della regione misteriosa» (Isacco di Ninive)

In effetti, il pianto che accompagna la preghiera non è semplicemente dovuto al ricordo dei propri peccati commessi e al pentimento, ma anche alla compassione di chi vede le sofferenze da cui altri sono schiacciati, al dolore provocato dalla visione della durezza di cuore e indifferenza di altre persone, al desiderio della comunione con il Signore, alla percezione nella fede della visita del Verbo durante la pratica dell'ascolto della Parola di Dio nella lectio divina (e si tratta allora di lacrime gioiose e dolci), al timore del giudizio...
La preghiera accompagnata da lacrime opera quella purificazione del cuore che consente al credente di «vedere Dio» (Mt 5,8), di esprimere, nella fede, la presenza: «Bisogna sapere che non saremo esauditi per le nostre parole, ma per la purezza del cuore e la compunzione che strappa le lacrime» (Regola. di san Benedetto 20,8).

Preghiera esse stesse, le lacrime appaiono anche come condizione di veridicità della preghiera e sono implorate. La preghiera è «la madre e anche la figlia delle lacrime» (Giovanni Climaco). Un Oremus della liturgia cattolica romana precedente la riforma liturgica chiedeva così il dono delle lacrime: «Dio onnipotente e mitissimo, che hai fatto scaturire dalla roccia una fontana d'acqua viva per il popolo assetato, strappa dalla durezza del nostro cuore lacrime di compunzione, affinché possiamo piangere i nostri peccati e meritare, perla tua misericordia, il perdono». Linguaggio silenzioso ed eloquente, materia dell’anima e trasparenza del corpo, le lacrime esprimono la gioia e la dolcezza della presenza del Signore così come l'angoscia per la distanza dell'uomo da Dio. E così dicono qualcosa circa il mistero dell'uomo e della sua relazione con Dio.

E paradossalmente, esse invocano la propria fine. Come noi sperimentiamo la fine dei nostri pianti, così la rivelazione biblica profetizza la fine del pianto con l'immagine del Dio che, nella Gerusalemme celeste, asciugherà le lacrime da ogni volto. L'Apocalisse spera la fine del pianto e la morte della "morte": «Non ci sarà più morte, né lutto, né affanno... Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap 21,4). La nostra personale storia e la storia dell'umanità intera sono spesso storie scritte dalle lacrime, da pianti sommessi o disperati, irrefrenabili o contenuti, pianti che sono la richiesta a Dio perché consoli, faccia giustizia, risani le ferite, mostri il suo volto, instauri par sempre e per tutti il suo regno di pace e giustizia. Le lacrime versate davanti a Dio invocano: «Venga il tuo Regno!».

(da L'Ancora, 11-12, 2004)

Letto 4654 volte Ultima modifica il Venerdì, 05 Aprile 2013 09:02
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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